La
denuncia del consorzio che gestisce l'area protetta. Liquami e schiuma
degli impianti fognari scaricheranno direttamente nel Canale che sfocia
in una delle aree più tutelate della regione. Almeno per i prossimi due
mesi, ovvero il tempo necessario a mettere in funzione il sistema di
filtraggio che deve depurare i liquidi.
di Andrea Tundo
Schiuma bianca e liquami a getto continuo. In piena riserva naturale di Torre Guaceto,
una delle aree marine incontaminate della Puglia, presa d’assalto in
estate da migliaia di turisti. L’allarme è stato lanciato venerdì, con
foto e video, dal Consorzio di gestione dell’area protetta dopo
l’attivazione, il 22 settembre, del depuratore dell’Acquedotto Pugliese che raccoglie le acque fognarie dei comuni di San Michele Salentino e San Vito dei Normanni, in provincia di Brindisi, alle quali si aggiungeranno quelle di Carovigno.
Dalle
case al mare, insomma. Senza filtri, denunciano dal Consorzio. La
situazione continuerà per i prossimi due mesi. Ovvero i tempi tecnici
per portare a regime l’impianto che scaricherà ogni giorno 10mila metri cubi
di acque depurate nel canale Reale, la cui foce è nella zona A della
riserva naturale brindisina, la più tutelata e nella quale è perfino
vietata la balneazione per non alterare l’ecosistema marino. Una
situazione che mette a rischio l’area nel punto di maggiore interesse
naturalistico e ambientale.
Sull’operazione c’è il via libera della Regione, governata dal leader di Sel Nichi Vendola.
L’ok all’Acquedotto Pugliese è arrivato il 2 settembre grazie alla
firma del direttore del Servizio Risorse Idriche regionale. Un atto che
ha chiuso una querelle iniziata cinque anni fa e finita anche
dinanzi al Tar nel 2012. Una strada, quella della giustizia
amministrativa, che il Consorzio ha percorso nuovamente (udienza 8
ottobre). Ma la decisione dell’Aqp di avviare in maniera rapida il
depuratore ha spinto il gestore dell’oasi a un passo in più. Il 19
settembre, infatti, ha presentato denuncia alla Procura di Brindisi,
alla Capitaneria di porto del capoluogo pugliese, al Noe dei carabinieri
e al Corpo forestale dello Stato, che in seguito all’esposto ha
effettuato i controlli nel sito del depuratore e denunciato Aqp per la
mancanza dell’autorizzazione per le emissioni in atmosfera.
Ma
quel che preoccupa di più il Consorzio sono gli effetti sull’ecosistema
marino. L’onda marrone ha spinto anche a sospendere “le autorizzazioni
per la pesca sportiva – si legge in una nota dei gestori – in attesa di
valutare le conseguenze a livello sanitario sugli stock ittici della
riserva”. Aspettando di capire se e quali danni siano stati prodotti
(sabato mattina è stata effettuata la campionatura delle acque) restano i
dubbi anche sulla possibilità che il depuratore possa effettivamente
scaricare nel mare della riserva, anche terminato il periodo di
avviamento. Il Consorzio si appella al decreto interministeriale del 4
dicembre 1991, quello istitutivo dell’oasi che vieta con l’articolo 4
all’interno dell’area “l’alterazione, con qualsiasi mezzo, diretta o
indiretta, dell’ambiente geofisico e delle caratteristiche chimiche e
biologiche delle acque, nonché la discarica di rifiuti solidi o liquidi e
in genere l’immissione di qualsiasi sostanza che possa modificare,
anche transitoriamente, le caratteristiche dell’ambiente marino”.
Mentre
dalla Regione tutto tace, l’Acquedotto Pugliese denuncia il sabotaggio
della struttura, avvenuto giovedì, e difende il progetto: “Il nuovo
depuratore consortile di Carovigno è un presidio sanitario a tutela del
territorio e della qualità di vita complessiva dell’area servita, con
l’esclusivo compito di restituire al loro ciclo naturale e con modalità
compatibili e rispettose dell’ambiente, le acque provenienti dalle
abitazioni dei cittadini allacciate regolarmente alla pubblica fogna”.
Tutto il contrario di quel che pensano i gestori della riserva, che
insistono perché lo scarico avvenga ad almeno due chilometri dalla
costa, oltre la prateria di posidonia, essenziale per l’intero
ecosistema della riserva. Un progetto fattibile se venisse ripristinata
una vecchia condotta sottomarina. “Nel 2009 il Consiglio regionale aveva
già deciso che era quella la strada da percorrere. Perché non sono mai
partiti i lavori? Non siamo contro le acque depurate e sappiamo bene che
i liquami prima finivano in falda, in un’area esterna alla riserva. E
non andava bene – dice a ilfattoquotidiano.it il direttore del Consorzio Alessandro Ciccolella
– ma continueremo a chiedere interventi rapidi per garantire maggiore
tutela dell’area marina protetta. Non ci sono studi che ci dicano qual è
l’impatto né esiste un sistema d’emergenza in caso di problemi al
depuratore, il che comporterebbe lo scarico in mare del ‘tal quale’.
Ripristinare la condotta è una necessità”. Secondo le stime più
ottimistiche ci vorrebbero almeno due anni, pari a circa 7 milioni di
metri cubi di acque dolce depurata sfociata sotto costa.
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