Lo sciacallo non è certo un animale simpatico. Sua caratteristica è quella di nutrirsi di cadaveri. Uno sciacallo cannibale sarebbe ovviamente anche peggio. Non so se esista in natura.
Esiste però all’interno di determinate società umane. Non si nutre necessariamente di cadaveri ma certo approfitta, senza nutrire alcuno scrupolo, delle difficoltà altrui e quindi prospera in modo davvero inquietante nell’attuale contesto di crisi economica, specialmente in alcuni settori particolarmente colpiti. Fra di essi quello agricolo merita attenzione particolare.Non è facile fare il contadino in Italia oggi: vessazioni fiscali, scarso accesso a credito e servizi, concorrenza accanita da parte di agricolture industriali basate sul latifondo, lo sfruttamento selvaggio della manodopera e investimenti poderosi da parte delle multinazionali, come quelle che si sono insediate sulla sponda Sud del Mediterraneo.
Non protetti da uno Stato cinico e assente, assillati dai creditori, molte volte gli agricoltori sono costretti a gettare le spugna e a vendere le loro aziende, su cui si gettano come avvoltoi gli stessi poteri forti che li hanno messi in condizione di chiudere: banche e simili, a volte anche personaggi legati alla criminalità organizzata. E’ appunto per stigmatizzare il comportamento di questi soggetti, che ricorda determinate fasi della storia del Far West statunitense, che viene utilizzata l’espressione, davvero indovinata, di “sciacallaggio sociale”.
Ogni tre minuti chiude un’azienda agricola. Come altri settori dell’economia nazionale, anche quello cosiddetto primario si trova in condizioni di crescente inagibilità. Ne deriva cibo per gli sciacalli di cui sopra, anche se la produzione di altri, più gustosi ed utili alimenti, quelli destinati a soddisfare esigenze fondamentali di tutti noi cittadini, subisce danni notevoli, compromettendo quella sovranità alimentare che richiede la possibilità di rifornirsi di prodotti genuini, prodotti in modo ambientalmente sostenibile e salvaguardando le tradizioni gastronomiche ed alimentari del nostro Paese, che sono come è noto ricche ed importanti.
La crisi dell’agricoltura, determinata dai fattori menzionati e agevolata dall’assenza di politiche pubbliche degne di questo nome, sia a livello nazionale che europeo, determina un enorme danno sociale. Solo il contadino infatti, per la sua dedizione alla terra e la sua cultura, è in grado di svolgere a fondo i compiti che devono spettare all’azienda agricola in termini di sostenibilità ambientale, sovranità alimentare, tenuta del tessuto sociale, difesa dell’occupazione. Non sono questi certo compiti cui siano all’altezza i predatori che si avventano sulle terre solo per ricavarne il massimo profitto nel breve periodo, nella logica tipica del capitale finanziario, intento a valorizzare solo se stesso a scapito di ogni considerazione di carattere sociale, ma anche economico di più lungo periodo e superiore razionalità.
In alcune zone il fenomeno ha assunto proporzioni davvero inquietanti. Ad esempio in Basilicata, spingendo i contadini organizzati da Altragricoltura a boicottare la svendita dei terreni e delle aziende agricole. Dato il possibile coinvolgimento in questo processo di svendita da parte della criminalità organizzata è stato anche richiesto alla Commissione antimafia di interessarsi al problema.
In relazione agli sviluppi di una delle vertenze, è stato chiesto, da parte della Procura di Potenza, l’arresto del dirigente dell’Associazione Altragricoltura Gianni Fabbris con accuse di reati gravissimi quali la rapina aggravata e l’estorsione aggravata continuata e tentata. Al riguardo l’Associazione Altragricoltura ha annunciato iniziative di autodifesa legale.
Occorre sperare, nell’interesse dell’agricoltura e del Paese, che la campagna contro lo sciacallaggio continui e si consolidi. Uno sviluppo sostenibile e armonioso dell’agricoltura e dell’insieme dell’economia nazionale pare infatti scarsamente compatibile con il proliferare degli sciacalli, animali certamente utili in natura ma estremamente dannosi all’interno della società umana.
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