Oggi, mentre ancora sembra in questione chi sarà infine il Presidente
della Commissione Europea, se sarà nominato in base all’indicazione
uscita dalle urne – purtroppo non incoraggiante per il rinnovamento
radicale dell’Unione Europea che sarebbe necessario – credo che sarebbe
doveroso per ogni cittadino, studioso, studente, docente, pubblicista
interessato ai destini della democrazia riflettere a fondo
sull’intuizione che governò la vita di Altiero Spinelli (1907-1986),
alla quale il pensiero filosofico e politico contemporaneo non ha ancora
affatto reso giustizia – né l’ha tradotta nel nuovo linguaggio dei fini
– e dei mezzi appropriati – di cui oggi abbiamo tanto bisogno, se
continuiamo a riconoscerci nei sei valori che sorreggono la Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione Europea (Nizza 2000, Strasburgo 2007):
Dignità, Libertà, Eguaglianza, Solidarietà, Cittadinanza e Giustizia.
Spero che queste poche note servano ad aprire una libera e non
frettolosa discussione che potrà servire anche a suggerire iniziative di
studio, libri da leggere, seminari e attività per il prossimo anno
(anche) accademico.
di Roberta De Monticelli
Nel luglio 1939 Spinelli sbarcava a
Ventotene, dopo aver scontato fra carcere e confino dodici anni dei
sedici inflittigli – a neppure vent’anni – dal Tribunale Speciale
fascista per la sua opposizione attiva al regime. Nel ’37, a Ponza, era
stato espulso dal Partito Comunista, perché, come Spinelli scrive nella
sua autobiografia – una delle più intense della letteratura mondiale (Come ho cercato di diventare saggio,
Il Mulino 1999) – era stato “tutto un monologo sulla libertà” quello
che aveva iniziato “dal momento che le porte del carcere si erano chiuse
alle [sue] spalle”. Nel ’41 nasce – sotto la sua penna e in parte
quella di Ernesto Rossi, frutto delle conversazioni con Eugenio Colorni e
pochi altri, il Manifesto di Ventotene, con il suo memorabile
attacco: “La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il
principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero
strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla
mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli
aspetti della vita sociale, che non lo rispettassero”. Tutti: e fra
questi il contrasto fra la politica concepita sulla base degli Stati
nazionali e l’economia globale. Vere democrazie che siano esclusivamente
interne ai singoli stati – soprattutto quelli europei – , oggi, non
sono più possibili. Quell’uomo visionario, eppure profondamente
realista, lo vide settant’anni fa.
Chi ne dubita vada a rileggersi passi come questo: “…oggi lottare per
la democrazia significa rendersi anzitutto conto che occorre arrestare
questa insensata corsa, non solo italiana, ma europea, verso una società
polarizzata in interessi organizzati che si precipitano sullo Stato e
lo paralizzano quando sono in equilibrio, e ne rafforzano sempre più il
carattere dispotico, quando un gruppo o una coalizione di gruppi ha
potuto sopraffare l’avversario e prendere il potere…”
E’ del ’46 ’(Relazione al II Congresso del Partito d’Azione, in A. Spinelli, Come ho tentato di divenire saggio, II, La goccia e la roccia,
Il Mulino 1987, pp. 105-106). E vi chiedete come abbia a tal punto
saputo cogliere l’essenziale che il suo pensiero sembra attraversare la
stagione dei partiti di massa – e da noi della Prima Repubblica – poi
volare alto sulla “liquidità” post-ideologica – e da noi sopra il
liquame immobile della cosiddetta Seconda Repubblica – fino a
fotografare il perdurante terribile ingranaggio delle “macchine
d’affari” partitiche di oggi e della loro ormai spensierata delinquenza,
con il tristo contrappeso delle involuzioni autoritarie con annesse
rottamazioni della Costituzione.
Il 3 luglio del 1970 Spinelli
entrava a far parte della Commissione – di quella Comunità Europea che
dal suo pensiero e da quello di pochi altri “legislatori del futuro”
aveva – tanto faticosamente, tanto contraddittoriamente anche – preso le
mosse. Erano passati esattamente quarantatre anni e un mese dal suo
arresto a Milano, il 3 giugno del 1927, e quasi ventisette dal primo
convegno del Movimento Federalista Europeo a casa Rollier in via Poerio
38 a Milano, il 27 agosto 1943.
Ebbe, questa Europa “figlia
dell’economia ma orfana della politica”, anche grandi momenti o almeno
grandi progetti. Come scrive Salvatore Veca nel suo recente Non c’è alternativa – Falso! (Laterza 2014, 9) sono le politiche dell’austerità che “hanno condannato alla damnatio memoriae
il grande progetto alla Delors di uno spazio sociale europeo”. Eppure
anche durante la presidenza di Delors alla commissione, il Parlamento
Europeo stentò a inserirsi nella dialettica sempre intergovernativa
delle decisioni, nonostante l’approvazione su iniziativa di Spinelli,
nel luglio dell’81 di una Commissione istituzionale permanente, che
finalmente doveva dare all’Europa il volto di una Unione sovranazionale
europea, invece che di un’istituzione intergovernativa.
E’ il progetto per cui Spinelli chiedeva il voto positivo del Parlamento nel 1984:
“Il nostro progetto fa della Commissione un vero esecutivo politico,
mantiene un ruolo legislativo e di bilancio per il Consiglio
dell’Unione, ma lo definisce e lo limita, dà al Parlamento un vero
potere legislativo e di bilancio….” (P.S. Graglia, Altiero Spinelli, Il Mulino 2008, p. 603).
Era
ancora quella, la speranza suscitata da queste ultime elezioni del
Parlamento Europeo, che – su iniziativa, va riconosciuto, del suo
Presidente nella passata legislatura, Martin Schultz (Il gigante incatenato – Un’ultima opportunità per l’Europa? Fazi
2014) le aveva promosse con l’esplicita indicazione che le famiglie
politiche europee si riunissero in raggruppamenti sovranazionali.
Proprio perché erano concepite per passare dall’Europa inter-governativa del Consiglio europeo,
(quello che riunisce i capi di Stato e di governo europei, e che fa
dell’Europa sostanzialmente il luogo del dominio degli interessi
nazionali più forti) all’Europa sovranazionale della cittadinanza,
che sarà effettivamente rappresentata nel Parlamento solo quando la
Commissione europea sarà l’effettivo governo dell’Unione. Proprio la
Risoluzione del Parlamento del 4 luglio 2013 aveva stabilito la
necessità di “parlamentarizzare” l’elezione del Presidente della
Commissione, e cambiare i rapporti di forza fra la Commissione e il
Consiglio, in modo che la prima diventasse gradualmente il vero organo
di governo dell’Unione Europea, e il suo presidente, il capo del
governo, al diretto servizio del bene comune dell’intera Unione.
Peccato
che pochissimi in Italia abbiano compreso che era questa la posta in
gioco – e che perfino i pochi sostenitori della sola lista nata
internazionale, che da noi ha preso il nome de l’Altra Europa con
Tsipras, non abbiano fatto abbastanza per dare questo spinelliano
respiro progettuale, in primo luogo europeo e solo in quanto tale anche
italiano, all’esigenza radicale di rinnovamento della sinistra italiana.
Che la renda capace di portare e realizzare la domanda di dignità,
libertà, eguaglianza, solidarietà e giustizia. E legalità, onorabilità
delle istituzioni, decenza di pubblici costumi.
E allora bisogna ricominciare a chiedersi il perché di questa tenace rimozione dell’intuizione di Altiero Spinelli.
Che sembra – a voler prendere sul serio certe polemiche piccine nate e
speriamo defunte nei giorni passati – ignorata perfino da quei piccoli
partiti italiani che oggi hanno contribuito a portare al Parlamento
Europeo chi per nome e impegno rappresenta, pur nella sua completa
autonomia di studiosa e pensatrice – anche l’eredità di Altiero: Barbara Spinelli.
Sì,
bisogna capire le ragioni dell'infinita solitudine di Spinelli, e della
ricorrente sua sconfitta – che ancora una volta sembra delinearsi in
questa grigia Europa della quale peraltro non si ha più notizia da
giorni dalla stampa italiana, totalmente disinteressata a questo fronte.
Bisogna, per capire come trasformare in nuova speranza quella
che fu speranza ricorrente e rinascente, e se ogni volta fu, alla fine,
sconfitta, ogni volta si lasciò alle spalle il meglio che l’umanità
europea di questa nostra epoca abbia saputo costruire. Spinelli ebbe
come compagni vicini e lontani, oltre a Ernesto Rossi, a Eugenio
Colorni, a Ursula Hirschmann, e agli amici ed eredi più prossimi, i
migliori europei della sua generazione: da Albert Camus a Ignazio
Silone, da Adriano Olivetti ad André Malraux, da Jeanne Hersch a Czeslaw
Milosz, da Norberto Bobbio a Mario Dal Pra….
Le radici del suo
pensiero affondano profondissime, nel socratismo del faccia a faccia e
del ragionare pacatamente dei fini, più che nel potere delle piazze
ateniesi. E nei dolci lumi della notte stellata di Kant, e poi – io
credo – nell'Idea husserliana di Europa, che vedeva il culmine dei Lumi
moderni nell’inno alla gioia di Schiller e Beethoven.
Questo
almeno dobbiamo a noi stessi: spiegarci come abbiamo potuto
quasi-dimenticare le scoperte di tutti quei grandi, e di molti altri.
Disinteressarci di quella ragione pratica che alle nostre menti e alle
nostre mani affidava i suoi fini.
E’ anche colpa nostra, della
nostra latitanza e della nostra sfiducia infine. Se il linguaggio della
politica si è ridotto a quell'urlìo di imbonitori che è divenuto oggi. E
in assenza ormai di un governo della legge, il governo degli uomini
italiani si è ridotto, secondo le facili profezie degli antichi, a
qualcosa di troppo simile a una banda di briganti.
(18 giugno 2014).
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