L'ad di Novartis Vaccines and diagnostics, Francesco Gulli, è indagato dalla procura di Siena con l'accusa di truffa aggravata. Gli investigatori ipotizzano un danno erariale di 2,7 milioni legato al risarcimento che nel 2012 lo Stato versò a Novartis, a cui aveva chiesto l'interruzione della fornitura delle dosi di vaccino contro la pandemia acquistate nel 2009.
Perquisizioni sono in corso nelle sedi del gruppo farmaceutico Novartis, a Siena e a Origgio (Varese), nell’ambito di un’inchiesta dei carabinieri del Nas di Firenze, coordinata dalla procura di Siena, che ipotizza nei confronti dell’ad della divisione vaccini dell’azienda, Francesco Gulli, il reato di truffa aggravata nell’ambito della fornitura al ministero della Salute, nel 2009, del vaccino contro l’influenza suina. Gli investigatori ipotizzano un danno all’erario di 2,7 milioni di euro legato al risarcimento che nel 2012 lo Stato versò a Novartis, a cui nel 2010, in seguito al cessato allarme sulla pandemia, il ministero aveva chiesto l’interruzione della fornitura. Secondo l’accusa il risarcimento fu calcolato sulla base del prezzo fittiziamente gonfiato da Novartis di un componente essenziale del vaccino, l’adiuvante MF59. Il costo sarebbe stato incrementato grazie a una serie di sovra-fatturazioni fra le società dal gruppo.Durante la pandemia del 2009, il governo Berlusconi aveva sottoscritto con la multinazionale del farmaco un contratto per la fornitura di 24 milioni di dosi di vaccino contro il virus A-H1N1, per un corrispettivo previsto di 184 milioni. Accordo finito subito nel mirino della Corte dei Conti perché l’esecutivo avrebbe accettato clausole troppo favorevoli all’azienda, come l’assenza di penali per il mancato rispetto delle date di consegna.
Per la multinazionale del farmaco non è la prima tegola che arriva dalla giustizia italiana. Il 28 maggio il ministero guidato da Beatrice Lorenzin ha chiesto alla stessa Novartis e a Roche un risarcimento da 1,2 miliardi per i presunti comportamenti anticoncorrenziali nella vendita di farmaci per la cura degli occhi. Secondo l’Antitrust le due società svizzere avrebbero infatti fatto cartello per ostacolare la diffusione di un medicinale più economico, Avastin, a vantaggio di uno molto più costoso, Lucentis, differenziandoli in maniera artificiosa.
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