martedì 17 giugno 2014

Classe Dirigente. L'eterno ritorno di Gianni Letta nelle inchieste.

L'eterno ritorno di Gianni Letta nelle inchiesteIl nome dell’ex sottosegretario Letta compare nelle carte sul Mose e sull’Expo. Come in quasi tutte le indagini-scandalo degli ultimi anni. A conferma di un potere soft ma pressoché sconfinato. Impermeabile ai cambi di governo e durato ben oltre la permanenza di Berlusconi a Palazzo Chigi.

L'Espresso di Paolo Fantauzzi

"Non è la prima volta che il mio nome viene evocato o citato in una delle tante inchieste che riempiono le cronache di questi mesi. Ed è ovvio che lo sia, perché negli anni di governo mi sono occupato di tutte le più importanti vicende». Proprio non è andata giù a Gianni Letta l’accostamento della sua persona con l’inchiesta sul Mose che sta facendo tremare la politica. E in effetti - per quanto mai indagato e spesso solo citato nelle conversazioni («ho sempre agito con correttezza e trasparenza» ha rivendicato lui) - quasi non c’è stato scandalo piccolo o grande in cui non sia comparsa nelle carte anche l’eminenza grigia del berlusconismo, dalla P4 alla Banca popolare di Milano, dal caso Rai-Agcom ai prezzi dei farmaci gonfiati. E da ultimo, il Mose e l’Expo.


Una ricorrenza che, al di là dell’assenza di rilievi penali, racconta meglio di tante parole il sistema di potere incarnato da Letta, da molti osannato quale statista e impagabile servitore dello Stato . Un potere soft, il suo, ma pressoché sterminato. Soprattutto, impermeabile ai cambi di governo. Tanto da essere un po’ in declino, forse, ma da durare tuttora.
SOVRAESPOSIZIONE UNIVERSALE
Prima del Mose il nome dell’ex sottosegretario era già apparso poche settimane fa nell’inchiesta sull’Expo. Nella quale Letta, come quasi sempre, appare il Richelieu da cui tutti vanno in processione per chiedere una referenza, una intercessione o una buona parola. «Ma perché non metti in campo tutto il tuo prestigio con Gianni Letta e il presidente?» domanda ad esempio il presunto “corriere” delle tangenti Sergio Cattozzo all’ex parlamentare di Forza Italia Gianstefano Frigerio a maggio 2013. Ovvero quando Berlusconi non era più a Palazzo Chigi da un anno e mezzo e al governo sedeva da meno di un mese Letta junior.

Il motivo per cui spendersi? Le nomine nelle società pubbliche, in cui gli organizzatori della cupola, non contenti degli appalti, cercavano di mettere il becco. E infatti, secondo quanto emerso, lo stesso Letta alcuni mesi prima avrebbe ricevuto l’allora senatore Pdl Luigi Grillo, poi arrestato, interessato a promuovere (senza successo) la candidatura del manager Giuseppe Nucci. Tramite del contatto, Cesare Previti. «Ecco Giuseppe (...) son stato da Cesare (Previti, ndr) … abbiamo parlato al telefono con Gianni Letta. Domani ci riceve, domani mattina ci dice a che ora, perché c'è anche il Presidente» riferisce Grillo al telefono. «Appena andiamo a parlare con Gianni poi ci vediamo io e te e ti racconto». Ma Da Letta, a quanto emerso, sarebbero andati anche i toscani Denis Verdini e Altero Matteoli per perorare il nome dell’ex sottosegretario Stefano Saglia per la guida di Sogin.

L’ANGIOLILLO CUSTODE
Altro passo indietro di poche settimane: ad aprile vengono depositati gli atti dell'indagine sulla Banca popolare di Milano (Bpm), per la quale l’ex presidente Massimo Ponzellini rischia il processo. Analizzando le intercettazioni fatte nell’arco di due mesi (relative al 2009) la Guardia di finanzia è giunta alla conclusione che il rapporto tra Ponzellini e Letta “è apparso solido, duraturo e confidenziale da permettere” all'ex sottosegretario “senza particolari filtri, di raccomandare al banchiere persone o aziende in cerca di finanziamenti”. Come nel caso di Marco Bianchi Milella, figlio di primo letto della regina romana dei salotti e vecchia amica Maria Angiolillo, al quale il sottosegretario cerca di far ottenere un incarico. Oppure lo sforzo per aiutare “ imprese amiche bisognose di una sponda finanziaria ”.

Ed è proprio con la mediazione della Angiolillo che, sempre nel 2009, i vertici della casa farmaceutica Menarini, posseduta dalla famiglia Aleotti, arrivarono fino al sottosegretario per far approvare un emendamento contro i medicinali generici , più economici in quanto non coperti da brevetto. Una vicenda, scrivono i Nas di Firenze, in cui ci fu “una volontà politica di altissimo livello costituita dal Capo del Governo e da Gianni Letta nel condurre in porto l’emendamento” e nella quale ci fu “l’appoggio decisivo di Berlusconi”.

E poco cambia quando a Palazzo Chigi arrivano i Professori, come traspare dalle carte dell’inchiesta sulla tav di Firenze. Anche col governo Monti l’ex sottosegretario continua infatti ad avere peso nelle nomine istituzionali, considerato anche che il suo posto alla presidenza del Consiglio lo ha preso proprio un Letta-boy: Antonio Catricalà. Una situazione evidente nella scelta dei componenti dell’Authority sui trasporti, come ha raccontato l’Espresso , dove in una “telefonata imbarazzata” (così la definisce, intercettata, l’ex governatrice umbra Maria Rita Lorenzetti, poi arrestata) l’allora vicesegretario Pd Enrico Letta fa sapere “che suo zio Gianni non vuole sentire ragioni a mollare  Pasquale De Lise ”, il consigliere di Stato già apparso nelle carte dell’inchiesta su Guido Bertolaso, Angelo Balducci e Fabio Anemone.

L’AMICO BISI
Per quanto ampio, il potere di Letta fonda su una riservatezza assoluta che si manifesta anche al telefono. Al punto che anche quando finisce direttamente nelle intercettazioni, mentre i suoi interlocutori mostrano una loquacità assai poco avveduta, lui si limita a poche parole. Come nell’inchiesta Rai-Agcom. Il 3 dicembre 2009 il commissario Agcom Giancarlo Innocenzi, pressato da Berlusconi per far chiudere “Annozero”, lo chiama per chiedergli di contattare il presidente dell’Authority Corrado Calabrò. Innocenzi si profonde con foga in un lungo monologo («Tu sei l’ultima spiaggia», arriva a dirgli) e Letta si limita a un telegrafico: «Proverò a cercarlo, grazie, ciao».

Una accortezza messa a rischio solo dalla “disinvoltura” telefonica dell’amico di vecchia data Luigi Bisignani, di cui Letta è stato testimone di nozze («Bisignani si muoveva e veniva individuato come l'uomo di Letta» ha detto l’ex responsabile delle relazioni esterne di Finmeccanica, Lorenzo Borgogni, sentito nell’inchiesta sulla P4). Un rapporto di amicizia gestito «in modo istituzionale e corretto» ha sottolineato Letta. Di certo, motivo di qualche imbarazzo per il sottosegretario. Come quando l’amico gli dice di essere «oggetto di attenzioni da parte dell'autorità giudiziaria» e lui gli suggerisce di «non parlare troppo al telefono, visto che è piuttosto facondo».

Oppure quando Bisignani afferma ai pm di Napoli che «sicuramente» lo informava delle informazioni avute dal deputato Pdl Alfonso Papa, «in particolare tutte le vicende che potevano riguardarlo direttamente o indirettamente come la vicenda riguardante Verdini». O ancora quando, intercettato, Bisignani parla della cena per festeggiare la nomina a giudice costituzionale di Giorgio Lattanzi e Letta si trova costretto a smentire ai magistrati di avervi partecipato.

L’IMPRESENTABILE DA ASSUMERE
Ma il nome di Letta è spuntato nei mesi scorsi anche nell’inchiesta su un appalto pilotato per l’informatizzazione di Palazzo Chigi, uno stralcio della P4 che ha visto coinvolto l’ex capo dipartimento di Palazzo Chigi, Antonio Ragusa e, ancora una volta, Luigi Bisignani, che ha patteggiato una pena di due mesi (un altro anno e sette mesi il faccendiere lo aveva patteggiato per il filone principale). I pm di Roma sentono Borgogni e il discorso cade su un’assunzione nella galassia Finmeccanica relativa a un familiare di Ragusa, che i magistrati ipotizzano sia uno scambio corruttivo relativo all’appalto. «Non c’è nesso» afferma Borgogni: «Sarebbe stata sufficiente una telefonata con il sottosegretario Gianni Letta, che con il Guarguaglini (presidente Finmeccanica, ndr) era in contatti giornalieri e al quale Ragusa era molto vicino, per ottenere l’effetto».


Che sia vero o no quanto sostenuto, l’ex sottosegretario si sarebbe speso personalmente per caldeggiare un’assunzione. Anche se con parametri non proprio meritocratici, a detta di Borgogni: «Che Letta fosse in condizioni per fare tali richieste e che concretamente le facesse mi risulta personalmente perché aveva raccomandato a Guarguaglini una persona proveniente da Telecom e io mi opposi perché era impresentabile».

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