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di Kit Klaremberg e Tom Secker*
Su Strategic Culture un ampio resoconto di numerosi documenti declassificati delle forze di pace canadesi di stanza in Bosnia dimostra come le guerre per procura statunitensi siano caratterizzate da un modello ricorrente di operazioni sotto falsa bandiera e messe in scena a scopo propagandistico, con l'obiettivo di sabotare ogni possibile negoziato di pace e spianare la strada ai falchi della guerra della NATO
Una serie di file di intelligence inviati dalle forze di pace canadesi espongono operazioni segrete della CIA, spedizioni illegali di armi, importazione di combattenti jihadisti, potenziali 'false flag' e messe in scena su atrocità di guerra.
Il mito consolidato della guerra in Bosnia è che i separatisti serbi, incoraggiati e diretti da Slobodan Milošević e dai suoi accoliti a Belgrado, cercarono di impadronirsi con la forza del territorio croato e bosniaco al fine della creazione di una "Grande Serbia" irredentista. Ad ogni passo, hanno epurato i musulmani di quelle terre in un genocidio deliberato e concertato, rifiutandosi a qualsiasi colloquio di pace costruttivo.
Questa narrazione è stata diffusa in modo aggressivo dai media mainstream dell'epoca e ulteriormente legittimata dal Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (ICTY) creato dalle Nazioni Unite una volta terminato il conflitto. Da allora nella coscienza occidentale questa storia è diventata assiomatica e indiscutibile, rafforzando la sensazione che il negoziato equivalga invariabilmente ad arrendevolezza, una mentalità che ha consentito ai falchi della guerra della NATO di giustificare molteplici interventi militari negli anni successivi.
Tuttavia, una vasta raccolta di cablogrammi di intelligence inviati dalle truppe di peacekeeping canadesi in Bosnia al quartier generale della difesa nazionale di Ottawa, pubblicato per la prima volta da Canada Declassified all'inizio del 2022, smaschera questa narrazione come una cinica farsa.
I documenti offrono una visione ineguagliabile, di prima mano e in tempo reale della guerra durante il suo svolgersi, con la prospettiva di una pace che rapidamente svaniva, lasciando spazio a uno spargimento di sangue che alla fine ha causato la fine dolorosa della Jugoslavia multireligiosa e multietnica.
I soldati canadesi facevano parte di una più ampia Forza di Protezione delle Nazioni Unite (UNPROFOR) inviata nell'ex Jugoslavia nel 1992, nella vana speranza che le tensioni non si trasformassero in una guerra totale e che le parti potessero raggiungere un accordo amichevole. Questi soldati rimasero fino alla fine, ben oltre il punto in cui la loro missione si ridusse a un miserabile pericoloso fallimento.
L'analisi sempre più cupa della realtà sul campo da parte delle forze di pace fornisce una prospettiva autentica e genuina della storia della guerra che è stata in gran parte nascosta al pubblico. È una storia di operazioni segrete della CIA, provocazioni letteralmente esplosive, spedizioni illegali di armi, combattenti jihadisti importati, potenziali operazioni di false flag e messa in scena di atrocità di guerra.
“Interferenze esterne nel processo di pace”
È un fatto poco noto ma apertamente riconosciuto che gli Stati Uniti hanno gettato le basi per la guerra in Bosnia, sabotando un accordo di pace negoziato dalla Comunità Europea all'inizio del 1992. Secondo gli auspici di questo accordo, il Paese sarebbe stato una confederazione, divisa in tre regioni semi-autonome su base etnica. Sebbene l’accordo fosse ancora perfettibile, ciascuna delle parti generalmente otteneva ciò che voleva - in particolare, l'autogoverno - e almeno godeva di un risultato senz’altro preferibile rispetto al conflitto a tutto campo.
Tuttavia, il 28 marzo 1992, l'ambasciatore degli Stati Uniti in Jugoslavia Warren Zimmerman incontrò il presidente bosniaco Alija Izetbegovic, un musulmano bosniaco, per offrirgli il riconoscimento del paese come stato indipendente da parte di Washington. Promise inoltre un sostegno incondizionato nell'inevitabile guerra successiva, se la proposta comunitaria fosse stata respinta. Ore dopo, Izetbegovic si mise sul sentiero di guerra e quasi immediatamente scoppiarono i combattimenti.
Opinione comune vuole che gli americani fossero preoccupati che il ruolo guida di Bruxelles nei negoziati avrebbe indebolito il prestigio internazionale di Washington e avrebbe aiutato la futura Unione europea a emergere come blocco di potere indipendente dopo il crollo del comunismo.
Sebbene tali preoccupazioni fossero senza dubbio sostenute dai funzionari statunitensi, i cablogrammi UNPROFOR rivelano come fosse in opera un'agenda molto più oscura. Washington voleva che la Jugoslavia fosse ridotta in macerie e progettava di mettere in ginocchio i serbi con la violenza, prolungando la guerra il più a lungo possibile. Per gli Stati Uniti, i serbi erano il gruppo etnico più determinato a preservare l'esistenza della fastidiosa repubblica indipendente.
Questi obiettivi sono stati raggiunti molto efficacemente grazie all'assoluta assistenza di Washington ai bosniaci. Era un articolo di fede nel mainstream occidentale dell'epoca, e lo è ancora oggi, che sia stata l'intransigenza serba nei negoziati a bloccare il cammino verso la pace in Bosnia. Tuttavia, i cablogrammi UNPROFOR chiariscono ripetutamente che non era così.
Nei cablogrammi inviati nel luglio-settembre 1993, epoca del cessate il fuoco e del rinnovato tentativo di spartire amichevolmente il paese, le forze di pace canadesi attribuiscono ripetutamente un atteggiamento ostinato ai bosniaci, non ai serbi. Come afferma un estratto rappresentativo, l'obiettivo "irraggiungibile" di "soddisfare le richieste musulmane sarà un ostacolo insormontabile in qualsiasi colloquio di pace".
Vari passaggi fanno anche riferimento a come “delle interferenze esterne nel processo di pace” “non hanno aiutato la situazione” e “nessuna pace” può essere raggiunta “se le parti esterne continuano a incoraggiare i musulmani a essere esigenti e inflessibili nei negoziati”.
Per assistenza "esterna", UNPROFOR ovviamente intendeva Washington. Il suo sostegno incondizionato ai bosniaci li ha motivati a "[negoziare] come se avessero vinto la guerra", che fino a quel momento avevano "perso".
"Incoraggiare Izetbegovic a insistere per ulteriori concessioni" e "il chiaro desiderio degli Stati Uniti di revocare l'embargo sulle armi ai musulmani e di bombardare i serbi sono seri ostacoli alla fine dei combattimenti nell'ex Jugoslavia". Così è stato registrato dalle forze di pace il 7 settembre 1993.
Il giorno successivo, hanno riferito al quartier generale che "i serbi sono stati i più conformi ai termini del cessate il fuoco". Nel frattempo, Izetbegovic stava basando la sua posizione negoziale su "l'immagine che veniva diffusa dei serbi come i cattivi". Dal convalidare questa illusione ne conseguiva un vantaggio, vale a dire, far precipitare gli attacchi aerei della NATO sulle aree serbe. Questo è stato colto dagli operatori delle forze di pace:
“Non ci saranno colloqui seri a Ginevra finché Izetbegovic crederà che saranno lanciati attacchi aerei contro i serbi. Questi attacchi aerei rafforzeranno notevolmente la sua posizione e probabilmente lo renderanno ancor meno collaborativo nei negoziati”.
Allo stesso tempo, i combattenti musulmani "non stavano dando nessuna possibilità ai colloqui di pace, semplicemente ci davano dentro", ed erano molto disposti e pronti ad aiutare Izetbegovic nel suo obiettivo. Durante gli ultimi mesi del 1993, hanno lanciato innumerevoli bordate sul territorio serbo in tutta la Bosnia, in violazione del cessate il fuoco.
A dicembre, quando le forze serbe da parte loro hanno lanciato un loro "grande attacco", un cablogramma di quel mese affermava che dall'inizio dell'estate "la maggior parte dell'attività serba è stata difensiva o in risposta alle provocazioni musulmane".
Un cablogramma dell'UNPROFOR del 13 settembre ha rilevato che a Sarajevo "le forze musulmane continuano a infiltrarsi nell'area del Monte Igman e a bombardare quotidianamente le posizioni della BSA [Esercito serbo-bosniaco] intorno alla città", l'"obiettivo prefissato" è quello di "aumentare la simpatia occidentale provocando un incidente e incolpando i serbi”.
Due giorni dopo, le "provocazioni" dell'esercito serbo-bosniaco (BSA) erano continue, anche se "si dice che il BSA si sta muovendo con moderazione". Quest'area è rimasta un obiettivo bosniaco chiave per qualche tempo anche in seguito. Il volume di luglio-settembre si conclude con un cablogramma minaccioso:
“L'occupazione da parte del BSA del Monte Igman non sta influenzando negativamente la situazione a Sarajevo. È semplicemente una scusa per Izetbegovic per ritardare i negoziati. Sono state le sue truppe a compiere le peggiori trasgressori [enfasi aggiunta] dell'accordo di cessate il fuoco [del 30 luglio]”.
Entrano i mujaheddin: “I musulmani non disdegnano di sparare contro la loro stessa gente o sulle aree delle Nazioni Unite”
Durante il conflitto, i mujaheddin bosniaci hanno lavorato incessantemente per intensificare la violenza. Musulmani provenienti da tutto il mondo si sono riversati nel paese a partire dalla seconda metà del 1992, intraprendendo la jihad contro croati e serbi. Molti avevano già acquisito esperienza sul campo di battaglia afghano negli anni '80 e nei primi anni '90 dopo essere arrivati da gruppi fondamentalisti infiltrati dalla CIA e dal MI6 in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Per loro, la Jugoslavia era il successivo terreno di reclutamento.
I mujaheddin arrivavano spesso con "voli non ufficiali", insieme a un flusso infinito di armi in violazione dell'embargo delle Nazioni Unite. Questa è iniziata come un'operazione congiunta iraniana e turca, con il sostegno finanziario dell'Arabia Saudita, anche se con l'aumento del volume di armi gli Stati Uniti hanno preso il sopravvento, trasportando il carico mortale verso l'aeroporto di Tuzla utilizzando flotte di aerei C-130 Hercules.
Le stime sui numeri dei mujaheddin bosniaci variano notevolmente, ma il loro contributo fondamentale alla guerra civile sembra chiaro. Il negoziatore statunitense per i Balcani Richard Holbrooke nel 2001 dichiarò che i bosniaci "non sarebbero sopravvissuti" senza il loro aiuto, e definì il loro ruolo nel conflitto un "patto con il diavolo" da cui Sarajevo non si sarebbe ripresa.
I combattenti mujaheddin non sono mai menzionati esplicitamente nei cablogrammi UNPROFOR, e nemmeno i bosniaci – è usato liberamente il termine “i musulmani”. Tuttavia, i riferimenti indiretti sono abbondanti.
Un rapporto dell'intelligence dell'inverno 1993 osservava che "i sistemi di comando e controllo deboli e decentralizzati" delle tre parti opposte producevano "un'ampia proliferazione di armi e l'esistenza di vari gruppi paramilitari ufficiali e non ufficiali, che spesso hanno agende individuali e locali". Tra quei gruppi "non ufficiali" c'erano i Mujahideen, ovviamente.
Più chiaramente, nel dicembre di quell'anno, le forze di pace hanno registrato come David Owen, un ex politico britannico che ha servito come capo negoziatore della Comunità europea nell'ex Jugoslavia, “era stato condannato a morte per essere responsabile della morte di 130.000 musulmani in Bosnia”, e la sentenza era stata “emessa dalla 'Corte d'Onore dei Musulmani'”. Si sapeva che "45 persone erano impegnate in tutta Europa per eseguire la sentenza".
Owen non era certamente responsabile della morte di 130.000 musulmani, dato che nel corso della guerra non sono stati uccisi neanche lontanamente in totale così tanti bosniaci, croati e serbi. Ciononostante gli estremisti religiosi bosniaci, con la loro rete di agenti in tutto il continente pronti a eseguire la fatwa, nella narrazione sono stati considerati come una "corte d'onore".
In seguito a questo incidente, che non è mai stato rivelato pubblicamente in precedenza, ci sono segnalazioni di "musulmani" che preparano provocazioni sotto falsa bandiera. Nel gennaio 1994, un cablogramma osservava:
“I musulmani non disdegnano di sparare contro la loro stessa gente o aree delle Nazioni Unite e poi affermano che i serbi sono i colpevoli per guadagnarsi ulteriormente le simpatie occidentali. I musulmani spesso posizionano la loro artiglieria estremamente vicino agli edifici delle Nazioni Unite e ad aree sensibili come gli ospedali, nella speranza che il fuoco di controartiglieria serbo colpisca questi siti sotto lo sguardo dei media internazionali”.
Un altro cablogramma registra come "truppe musulmane mascherate da forze delle Nazioni Unite" fossero state avvistate con addosso i caschi blu dell'UNPROFOR e "un abbigliamento da combattimento misto norvegese/britannico", alla guida di veicoli dipinti di bianco e contrassegnati ONU. Il direttore generale delle forze di pace temeva che se tale connivenza fosse diventata "diffusa" o "utilizzata per l'infiltrazione nelle linee croate", avrebbe "aumentato notevolmente le possibilità che le legittime forze delle Nazioni Unite fossero prese di mira dai croati".
"Questo potrebbe essere esattamente ciò che vogliono i musulmani, possibilmente per poter fare ulteriori pressioni per attacchi aerei sui croati", aggiunge il cablogramma.
Quello stesso mese, cablogrammi UNPROFOR ipotizzavano che "i musulmani" avrebbero preso di mira l'aeroporto di Sarajevo, destinazione degli aiuti umanitari ai bosniaci, con un attacco false flag. Poiché in uno scenario del genere "i serbi sarebbero gli ovvi colpevoli, i musulmani ne otterrebbero una buona propaganda ", ed era "quindi molto allettante per i musulmani condurre i bombardamenti e dare la colpa ai serbi.”
Guerre per procura statunitensi, allora e adesso
In questo contesto, i cablogrammi relativi al massacro di Markale colpiscono in modo particolare. Il 5 febbraio 1994 un'esplosione distrusse un mercato civile, provocando 68 morti e 144 feriti.
La responsabilità dell'attacco - e i mezzi con cui è stato eseguito - sono stati da allora oggetto di accese contestazioni, con indagini ufficiali distinte che hanno prodotto risultati inconcludenti. Le Nazioni Unite all'epoca non sono state in grado attribuire la responsabilità dell’attentato, sebbene allora le truppe dell'UNPROFOR abbiano testimoniato di sospettare che la responsabilità fosse della parte bosniaca.
Di conseguenza, i cablogrammi di questo periodo fanno riferimento ad "aspetti inquietanti" dell'evento, compresi i giornalisti "indirizzati sulla scena così rapidamente" e "una presenza molto visibile dell'esercito musulmano nell'area".
"Sappiamo che in passato i musulmani hanno sparato sui propri civili e sull'aeroporto per attirare l'attenzione dei media", ha concluso uno. Un promemoria successivo osserva: “Le forze musulmane al di fuori di Sarajevo, in passato, hanno piazzato esplosivi ad alto potenziale nelle loro stesse posizioni e poi li hanno fatti esplodere sotto lo sguardo dei media, rivendicando un bombardamento serbo. Questo è stato poi usato come pretesto per il 'contrattacco' dei musulmani e gli attacchi ai serbi”.
Tuttavia, nella sua sentenza di condanna del 2003 del generale serbo Stanislav Galić per il suo ruolo nell'assedio di Sarajevo, l'ICTY (International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia) ha concluso che il massacro è stato deliberatamente perpetrato dalle forze serbe, con una sentenza di appello.
Gli autori di questo articolo non esprimono alcun giudizio su ciò che accadde o non accadde a Markale quel fatidico giorno. Tuttavia, l'oscurità che circonda l'evento prefigura uno di quegli eventi cruciali che sono serviti a giustificare l'escalation in ogni successiva guerra per procura occidentale, dall'Iraq alla Libia, alla Siria, all'Ucraina.
Dall'inizio della guerra per procura in Ucraina questo 24 febbraio, crimini di guerra deliberati, incidenti reali interpretati in modo fuorviante come crimini di guerra ed eventi potenzialmente messi in scena, sono praticamente un fenomeno quotidiano, insieme a scambi di accuse e controdeduzioni di colpevolezza. In alcuni casi, i funzionari di una parte sono persino passati dal celebrare e rivendicare il merito di un attacco ad incolpare l'altra parte nel giro di pochi giorni o semplicemente poche ore. Sostanza e spin sono diventati inseparabili, se non simbiotici.
Negli anni a venire, chi ha fatto cosa a chi e quando potrebbe benissimo diventare materia decisa nei tribunali internazionali, secondo il modello dell'ICTY. Ci sono già iniziative per istituire un organismo simile una volta terminata la guerra in Ucraina.
Dei parlamentari nei Paesi Bassi hanno chiesto che Vladimir Putin sia processato all'Aia. Il ministero degli Esteri francese ha chiesto la creazione di un tribunale speciale. La ONG Truth Hounds, con sede a Kiev, raccoglie ogni giorno prove di presunte atrocità russe in tutto il paese, al servizio di un tribunale internazionale.
Non ci possono essere dubbi sul fatto che sia le forze di Kiev che quelle di Mosca abbiano commesso atrocità e ucciso civili in questo conflitto, così come è indiscutibile che tutte e tre le parti nella guerra in Bosnia si siano rese colpevoli di atti atroci e massacri di persone innocenti e/o indifese. È ragionevole presumere che la ferocia diventerà sempre più spietata man mano che la guerra in Ucraina andrà avanti, esattamente come durante la disgregazione della Jugoslavia.
Non è certo quanto dureranno i combattimenti, anche se i funzionari dell'UE e della NATO hanno previsto che potrebbero durare diversi anni e le potenze occidentali intendono chiaramente mantenere attiva la guerra per procura il più a lungo possibile. L'11 ottobre, il Washington Post ha riferito che gli Stati Uniti hanno ammesso privatamente che Kiev non era in grado di "vincere la guerra a titolo definitivo", ma avevano anche "escluso l'idea di spingere o almeno incoraggiare l'Ucraina a sedersi al tavolo dei negoziati".
Ciò evidenzia un altro mito sorto a seguito delle guerre jugoslave e che dura ancora oggi. È opinione diffusa che i negoziati e i tentativi di garantire una soluzione pacifica abbiano solo incoraggiato gli "aggressori" serbi.
Questo pericoloso mito è servito da giustificazione per ogni sorta di distruttivi interventi occidentali. I cittadini di questi paesi vivono ancora oggi le conseguenze di quelle azioni, spesso come migranti fuggiti da città e paesi bruciati dalle guerre per il cambio di regime.
Persiste anche un'altra eredità tossica delle guerre balcaniche: la preoccupazione degli occidentali per la vita umana dipende da quale parte si schiereranno i loro governi in un dato conflitto. Come dimostrano i cablogrammi canadesi dell'UNPROFOR, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno coltivato il sostegno alle loro guerre nascondendo una realtà documentata in dettaglio anche dai loro stessi militari.
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