Giornali, tv, mass media
assortiti, si sono scatenati sulla cattura del boss Matteo Messina
Denaro, con risultati miseri. La verità e la memoria storica latitano.
Nessuno ha ricordato Mauro Rostagno, che per le sue inchieste sulla
mafia di Trapani, e quindi dei Messina Denaro, venne ucciso.
(DI MASSIMO NOVELLI – Il Fatto Quotidiano)
Se non
fosse stato assassinato, il prossimo 6 marzo sarebbe stato il suo
ottantunesimo compleanno.
Ma l’ex militante di Lotta Continua, che i
giudici della Corte di Appello di Trapani definirono “una delle menti
più lucide e delle personalità più coraggiose del giornalismo
siciliano”, venne ammazzato da un killer della mafia trapanese il 26
settembre del 1988. Si legge nella sentenza di primo grado del processo
ai suoi assassini, che lo eliminarono con lo scopo di “mettere a tacere
per sempre quella voce che come un tarlo insidiava e minava la sicurezza
degli affari e le trame collusive delle cosche con altri ambienti di
potere”.
Trame che intrecciano Cosa nostra e politica, istituzioni,
mondo degli affari (imprese, finanza, ecc.), massoneria: lo scenario in
cui si è mosso Messina Denaro.
Del resto, Messina Denaro e i suoi sodali, con e senza coppola, non
sembrano essere estranei al delitto Rostagno.
Scrivevano le agenzie di
stampa il 26 gennaio del 2021: “Francesco Messina Denaro [il padre di
Matteo] disse di aver dato incarico a Vincenzo Virga di eseguire
l’omicidio di Mauro Rostagno, e questo particolare non è per nulla
incompatibile con la ricostruzione di come operassero gli organi di
vertice di Cosa nostra nella deliberazione di omicidi eccellenti”.
Lo
scrive la prima sezione penale della Cassazione, nelle motivazioni della
sentenza con cui spiega perché, lo scorso 27 novembre, confermò
l’ergastolo per Vincenzo Virga – confermando anche l’assoluzione di Vito
Mazzara – per l’omicidio di Mauro Rostagno, il giornalista e sociologo
ucciso nel settembre 1988”.
Antimafia Duemila rammentava nel settembre 2022 che “quando
si parla di Francesco Messina Denaro e di Matteo Messina Denaro è
inevitabile che si parli anche di mafia trapanese: una mafia non
tipicamente violenta o dedita solo ai traffici di droga, ai commerci e
scambi di armi, al riciclaggio di denaro, alle estorsioni, agli appalti
pilotati, ma capace di essere già in quel 1988 quella Cosa Nostra 2.0 al
cui interno è facile trovare pezzi di istituzioni, servizi segreti
deviati e che sa come saper mantenere il controllo sulla vita di una
città, di una provincia, di una regione e, perché no, dell’intero Stato.
Rostagno fu ucciso dalla mafia perché aveva individuato questa
ragnatela, per cui è sbagliato parlare di un omicidio voluto da entità
esterne a Cosa Nostra ed eseguito dalla mafia. In questa provincia
siciliana, quella di Trapani, mafia ed entità esterne da decenni sono
un’unica cosa”.
È doveroso dire tutto ciò quando una sbracata truppa mediatica pare
avere scoperto, dopo l’arresto del Messina Denaro, l’esistenza della
borghesia mafiosa, composta, secondo i suddetti media, da qualche
medico, qualche ex massone e qualche imprenditore.
La realtà è ben
diversa: è quella “ragnatela” mai squarciata, la “ragnatela”
politico-mafiosa che impedì al magistrato Teresa Principato di arrivare
all’arresto di Matteo Messina Denaro.
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