sabato 28 gennaio 2023

La settima dose: Zelensky a Sanremo

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Sembra che qualcuno si diverta regolarmente a prendere a schiaffi gli italiani. L’ipocrita Macron che dava del “disgustoso” a Salvini per la politica leghista sui migranti può apparire un innocuo dilettante, in confronto a grandi professionisti come Conte, Speranza e Draghi: sono riusciti a trattare come bestiame umano sessanta milioni di persone, sottoposte in pochi mesi a una grandine di inaudite vessazioni, quasi sempre motivate sulla base di spudorate menzogne.

Se i recenti libri di Giovanni Fasanella (“Il golpe inglese”, “Colonia Italia”) e Lamberto Rimondini (“L’altra storia d’Italia”) dimostrano il ruolo decisivo di Londra nel sabotare la sovranità sostanziale del Belpaese già dai tempi di Mattei, Moro e poi anche Craxi, i lavori di Gigi Moncalvo sulle ombre della dinastia Agnelli-Elkann certificano la vocazione ancillare e “collaborazionistica” di un’élite nazionale sempre pronta a ogni trasformismo e regolarmente funzionale ai grandi disegni anti-italiani.

COLONIA ITALIA, SOTTOPOSTA AL POTERE STRANIERO

Fu la nipote di Churchill – ricorda Moncalvo – a riabilitare agli occhi di Wall Street il giovane Agnelli, erede di un impero coperto d’oro dalle commesse belliche di Mussolini: da allora, grazie ai generosi finanziamenti per la ricostruzione, la Fiat sarebbe rimasta sotto l’occhiuto controllo invisibile dei finanzieri anglosassoni, fino alla designazione esplicita del loro uomo, il manager bancario Marchionne, in piena sintonia con la maggiore “fake” politica del periodo: Barack Obama.

Parallelismi che confermano la regola: mentre l’Avvocato firmò la prefazione italiana della “Crisi della democrazia”, libro-manifesto voluto dalla Trilaterale di Kissinger per fermare l’avanzata dei diritti sociali in Occidente, suo nipote John Elkann – proprietario di “Repubblica” e di una bella fetta di editoria nazionale – ha ora introdotto l’edizione italiana della nuova Bibbia globalista post-democratica, data alle stampe dal gran signore di Davos, sua eminenza Klaus Schwab.

MASSONI-CONTRO: KISSINGER E I GIOCHI SEGRETI

I tempi stanno per cambiare? Travolto dall’accelerazione Covid rapidamente trasformata nello strano derby Greta-Putin (il transumanesimo “green” e politicamente corretto contro l’obsoleto tradizionalismo dittatoriale delle fonti fossili), il mondo sembra improvvisamente danzare sull’orlo di un baratro che vede lo scontro ormai pericolosamente ravvicinato tra armamenti, diplomazie, economie e blocchi geopolitici che si vanno ridisegnando, in mezzo a un tumultuoso caos senza precedenti. Tema centrale: il residuo futuro della talassocrazia, formalmente democratica (ma solo a casa propria) e tuttora armata fino ai denti.

La sensazione, non gradevole, è che – lassù – i veri giochi restino abbondantemente coperti, sotto il velo di potenti massonerie contrapposte. Esempio: il voltafaccia ucraino del centenario Kissinger, storico ispiratore del golpe in Cile e dello sdoganamento della Cina come superpotenza bifronte, efficientissima sul piano economico ma politicamente dittatoriale. A Kissinger, passato dall’iniziale accondiscendenza verso la Russia alla proposta di inglobare Kiev nell’Alleanza Atlantica, ha prontamente risposto l’ambiguo Tony Blinken, probabilmente uno dei “controllori occulti” di Biden, che ha chiarito: l’Ucraina resterà fuori dalla Nato.

COSA NOSTRA E IL SUPERPOTERE OCCULTO

Che stia accadendo qualcosa di anomalo, ai piani alti, lo confermano anche gli eventi che scuotono l’estrema periferia dell’impero: lo strano arresto di Matteo Messina Denaro, in odore lui stesso di massoneria, sembra quasi un “regalo”: elargito (con tempistica sospetta) da parte di poteri che – ipotizza qualcuno – potrebbero aver utilizzato anche la mafia per finanziare sottobanco, magari a loro stessa insaputa, le carriere di insospettabili leader europei, protagonisti di una austerity che avrebbe visto salire proprio l’Italia, dopo la Grecia, sul tragico altare dei sacrifici umani. Ora: la cattura del boss significa forse l’inizio della fine di quella cupa stagione, tuttora perdurante, improntata al falsissimo “paradigma della scarsità” creato a tavolino per motivare il dogma tecnocratico del rigore di bilancio?

Domande, ipotesi, congetture. Nel frattempo, come sempre, urge la cronaca: l’industria europea messa in crisi dal taglio del gas russo, nel tentativo atlantico di spezzare per sempre i convenientissimi legami strutturali con Mosca, rende quasi obbligatorio – per la finzione quotidiana del mainstream – demonizzare il grande alleato sostanziale di ieri, presentandolo come presunto nemico sistemico. Non stupisce quindi che in Italia, come di consueto, si scada platealmente nella farsa, arrivando persino a imporre il mediocre attore Zelensky come ospite d’onore al Festival di Sanremo, tempio canoro dell’italianità che fu.

LA SANGUINOSA DEMOCRATURA DI ZELENSKY

Zelensky, cioè il prodotto ucraino dell’apolide oligarca Kolomoisky: un presidente in apparenza impeccabile, fabbricato in vitro per ripulire l’immagine di Kiev dopo le gesta del truce Poroshenko, persecutore dei russofoni con l’ausilio dei battaglioni neonazisti. L’operazione-Zelensky sembra l’esito di una delle tante imprese da manuale firmate nel passato dalla premiata ditta Kissinger: prima un colpo di Stato truccato da rivoluzione, poi l’elezione di un personaggio (televisivo, in questo caso) che avrebbe “vinto le elezioni” solo dopo aver liquidato i dissidenti, chiuso i giornali dell’opposizione e messo fuorilegge i partiti concorrenti.

Questo bel tomo, che ha stracciato gli accordi di Minsk il giorno dopo averli firmati (proposti da Mosca proprio per evitare la guerra preservando i confini), ora viene presentato al pubblico italiano – nel santuario nazionale di Sanremo, addirittura – come nobile eroe, vittima di una selvaggia aggressione. Applausi a scena aperta innanzitutto alla Rai, che ignora deliberatamente i sondaggi: la stragrande maggioranza degli italiani non è ostile alla Russia e non approva l’invio indiscriminato di armi all’Ucraina, specie poi se questo comporta il rischio di un’escalation anche militare dalle conseguenze imprevedibili.

LA RIVOLTA DI SANREMO: QUALCOSA STA CAMBIANDO

Di qui il notevole risalto dato alla ferma protesta lanciata da Ugo Mattei, insieme a personalità del calibro di Moni Ovadia e Carlo Freccero: una manifestazione davanti all’Ariston, l’11 febbraio, per contestare la presenza dell’intruso, che parlerebbe in collegamento da Kiev. I grandi media non hanno potuto fare a meno di sottolineare il consenso che l’iniziativa riscuote: contro l’idea di Zelensky a Sanremo si espongono Grillo, lo stesso Salvini e un gran numero di opinion maker, tra cui un’icona pop come Fabio Volo.

“The times they are ‘a changing”, cantava Bob Dylan mezzo secolo fa, quando i giovani speravano di cambiare il mondo. Oggi, il più giovane dei supermiliardari – Elon Musk – annuncia, via Twitter, che il tempo dell’élite di Davos sta per scadere. Persino l’Italia, ridotta a semplice protesi della Nato, accenna a un sussulto di ribellione. Dopo i lockdown, il Green Pass e le iniezioni obbligatorie, è sfuggito di mano il dosaggio delle sottomissioni richieste per mantenere in vita almeno una parvenza di normalità, mentre l’economia continua a franare. Zelensky a Sanremo, probabilmente, è troppo: la “settima dose”, a cui dire finalmente no.

GIORGIO CATTANEO

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