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«Ho detto che ci sono nuvole di tempesta, ma ora cambio… è un uragano».
Jamie Dimon, Ceo di J.P. Morgan
Disse Kenneth Galbraith che “L’Unica funzione delle previsioni economiche è quella di far apparire rispettabile l’astrologia”. E probabile, anzi certo, che avesse ragione. Tanto più se stiamo parlando di quella casta sacerdotale degli “economisti”. Tuttavia non si può sfuggire alla domanda: che tipo di crisi è quella che stiamo attraversando? Sarà una nuova, grave ma passeggera recessione, oppure avrà effetti sistemici catastrofici che scuoteranno il mondo alle fondamenta?
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C’è una ragione essenziale se gli economisti non ne hanno azzeccata una, essi sono, perdonateci il bisticcio, economisti economicisti; presumono di spiegare i cicli economici e quindi le loro premonizioni, utilizzando esclusivamente gli arnesi del loro mestiere, separando la sfera economica dalle altre, usando il metodo empiristico dell’astrazione della parte dal tutto, ove invece è necessario afferrare l’insieme, svelare il dialettico concatenamento delle parti.
C’è una ragione di fondo se questi economisti più spesso si sbagliano, essi condividono il principio filosofico utilitaristico, icasticamente espresso da Adam Smith:
«In effetti egli (l’individuo) non intende, in genere perseguire l’interesse pubblico, né è consapevole della misura in cui lo sta perseguendo. Quando preferisce il sostegno dell’attività produttiva del suo Paese invece di quella straniera, egli mira solo alla propria sicurezza e, quando dirige tale attività in modo tale che il suo prodotto sia il massimo possibile, egli mira solo al suo proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile, in questo come in molti altri casi, a perseguire un fine che non rientra nelle sue intenzioni. Né il fatto che tale fine non rientri sempre nelle sue intenzioni è sempre un danno per la società. Perseguendo il suo interesse, egli spesso persegue l’interesse della società in modo molto più efficace di quando intende effettivamente perseguirlo. Io non ho mai saputo che sia stato fatto molto bene da coloro che affettano di commerciare per il bene pubblico. In effetti, questa è un’affettazione non molto comune tra i commercianti, e non occorrono molte parole per dissuaderli da questa fisima».
[A. Smith, La ricchezza delle nazioni, Mondadori, Milano 1974, p. 174]
Il paradigma dell’utilitarismo è quello secondo cui il progresso sociale generale si realizza non solo malgrado le intenzioni egoistiche degli uomini, bensì proprio grazie ad esse. E’ facile vedere le radici teologiche di questa idea: al posto di Dio la mano invisibile del mercato, una Provvidenza immanente invece della trascendente. Una variante dell’empiristica eterogenesi dei fini. Una teologia che va respinta non solo per ragioni etiche e teoriche, va respinta perché si è dimostrata fallace. La provvidenziale mano invisibile che agirebbe a fin di bene e che tutto aggiusterebbe, non esiste. Sono proprio gli spiriti animali del capitalismo, tanto più se lasciati liberi di agire, tra le cause della catastrofi sciali.
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Presupposta la tesi che il capitalismo è un sistema naturale, ottimale ed eterno, l’idea che gli economisti si fanno delle sue crisi è che si tratti di interruzioni non solo momentanee ma salutari, essi sono convinti che il mercato è in grado da solo di ritornare in equilibrio — vedi il discorso schumpeteriano della distruzione creativa. Escludono quindi sia la tesi che il sistema abbia intrinseche ed esplosive contraddizioni, sia che possano darsi crisi catastrofiche, ergo respingono a priori ogni idea di cambiamento sistemico. I crolli (come quello del 1929) sarebbero causati da errori nell’uso delle leve economiche e monetarie, o come risultato di sbagliate mosse dei decisori politici. L’analisi dei cicli storici del capitalismo ci mostra invece che più il periodo storico espansivo è prolungato, più il tonfo recessivo è devastante. Il crollo economico generale non equivale tuttavia a crollo sistemico. Questo avviene per un concorso di cause: economiche, sociali, politiche, geopolitiche e anche morali.
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Le ferite causate al sistema capitalistico mondiale dalla crisi economica del 2007-2009 erano ancora aperte che nel 2020 è sopraggiunto il grande shock dell’ Operazione Covid. Questo ha inferto un colpo letale all’economia mondiale, causando un vero e proprio crollo del Pil — dal -2,5% della Cina al -8.7% dell’area euro (-10% in Italia), più del doppio in alcuni paesi dell’America latina e dell’Asia. Il collasso mondiale del 2020 aveva certo cause strutturali, ma esso è stato devastante anche a causa dell’uso strategico deliberatamente eversivo posto in essere dalla cupola mondialista egemone. Il modello basato su neoliberismo, iper-finanziarizzazione e globalizzazione sfrenata era già in grande affanno dopo la crisi del 2007-2009; occorreva uno shock pilotato dall’alto per giustificare una violenta e irresistibile svolta di portata mondiale, il cosiddetto “Grande Reset” per aprire il varco ad una vera e propria rifondazione sistemica che abbiamo chiamato Cybercapitalismo.
Come avevamo intravisto il colossale esperimento di questi strateghi era destinato a fallire. Sta accadendo prima di quanto avessimo immaginato. Come apprendisti stregoni essi hanno suscitato spiriti che stanno sfuggendo al loro controllo, disobbediscono ai loro comandi. La Russia di Putin, considerata da questi strateghi una vittima da sacrificare sull’altare del Nuova Globalizzazione, ha compiuto un clamoroso gesto di ribellione, ha squarciato il Velo di Maya, come Alessandro a Gordio, ha distrutto con la spada l’illusoria pretesa che si potesse, senza una nuova grande guerra, rifondare il mondo e con esso ribaltare l’ordine gerarchico venuto fuori dal secondo conflitto mondiale.
Il contrattacco russo è stato come benzina gettata sul fuoco, ha approfondito i fattori di squilibrio, scombussolamento preesistenti, ed ha fatto emergere quelli latenti. Il decantato “rimbalzo” del 2021 non ha recuperato la caduta dell’anno prima, ed ora tutte le previsioni di crescita sul 2022 sono andate a farsi friggere e si prevede non solo una nuova recessione ma, visti i tassi d’inflazione, una stagflazione fuori controllo. Significativa la profezia annunciata il primo giugno scorso da Jamie Dimon, amministratore delegato della potentissima banca d’affari J.P.Morgan: «Ho detto che ci sono nuvole di tempesta, ma ora cambio… è un uragano». Non solo noi riteniamo abbia ragione, aggiungiamo che a poco serviranno le alchimie monetarie delle banche centrali — l’aumento dei tassi d’interesse avvicina l’imminente recessione e aggrava gli squilibri tra le differenti aree economiche —, e pochi effetti sortiranno politiche fiscali più lasche da parte degli stati. A causa delle gravi storture della sua architettura, nonché delle divisioni congenite tra centro e periferie, l’Unione europea è l’area che pagherà costi sociali salatissimi per l’uragano in arrivo. Inutile sottolineare che proprio i paesi del Sud come l’Italia sono i più esposti al rischio di una vera e propria catastrofe.
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Per rispondere alla domanda iniziale: se già da sola la recessione economica avrà effetti catastrofici a scala mondiale, i terremoti sociali che ne verranno e l’accavallarsi di fattori plurimi di contesa geopolitica, scuoteranno il mondo alle fondamenta, facendo saltare i calcoli dei demiurghi del Grande Reset.
Benvenuti nel caos, dal quale solo potrà nascere un ordine nuovo. Di che tipo sarà quest’ordine verrà deciso nel fuoco della battaglia. Un fuoco che non si spegnerà presto, che anzi avvinghierà il mondo tra le sue fiamme per il prossimo periodo. I potenti si azzanneranno per stabilire ognuno o in compagnia la propria supremazia. Non lasciamo che siano loro a decidere le sorti dell’umanità.
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