Il
giudice britannico Nigel Teare, dell’Alta Corte di Giustizia
d’Inghilterra, ha stabilito che le 31 tonnellate di oro venezuelano
depositate presso la Banca d’Inghilterra non possono essere gestite
dalla Banca Centrale del Venezuela (BCV) poiché “il governo di Sua Maestà riconosce Guaidó come presidente costituzionale ad interim del Venezuela”.
Marco Teruggi
La
giustizia britannica ha poi stabilito che la persona che avrà accesso
all’oro in questione, del valore di circa 1,6 miliardi di dollari, sarà
il “governo di Guaidó”, attraverso il “consiglio ad hoc della BCV”, che ha nominato nel luglio 2019, pochi mesi dopo la sua autoproclamazione.
La BCV ha annunciato che “farà
immediatamente appello all’assurda e insolita decisione di un tribunale
britannico che cerca di privare il popolo venezuelano dell’oro tanto
urgentemente necessario per affrontare la pandemia di Covid-19”.
La richiesta di oro da parte della BCV era iniziata alla fine del 2018. Il riconoscimento nel gennaio 2019 di Guaidó come “presidente in carica”
da parte della Gran Bretagna ha poi congelato la risposta del governo
britannico alla richiesta venezuelana, che il governo di Nicolás Maduro
ha più volte denunciato diplomaticamente.
John Bolton, ex consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ha fatto riferimento, nel suo libro “The Room Where It Happened: A White House Memoir”, a questa decisione britannica. Lì ha dichiarato che l’allora ministro degli Esteri britannico, Jeremy Hunt, era “felice di collaborare” con gli Stati Uniti, “per esempio congelando i depositi d’oro del Venezuela nella Banca d’Inghilterra”.
Bolton fa riferimento a quella decisione presa all’inizio del 2019 come parte delle “misure che stavano già prendendo per mettere pressione finanziaria su Maduro”.
Nello stesso paragrafo, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale
sottolinea come, a quei tempi, si lavorava per inasprire le sanzioni
sull’industria petrolifera venezuelana.
La
BCV ha perseverato nel 2019 e nel 2020 nel tentativo di accedere alle
proprie riserve auree. Lo scorso maggio, ha presentato una causa al
Commercial Court di Londra per la consegna dell’oro venezuelano da parte
della Banca d’Inghilterra. In questa occasione, non solo è stata
presentata l’argomentazione legale, ma anche quella umanitaria: la
quantità d’oro sarebbe destinata ad andare direttamente al Programma di
Sviluppo delle Nazioni Unite per affrontare la pandemia nel Paese.
La
mancanza di risposta della Banca d’Inghilterra per mesi è stata dovuta
alla zona grigia diplomatica costruita contro il Venezuela. Mentre il
governo britannico riconosceva Guaidó, la sua “ambasciatrice”,
Vanessa Neumann, è stata ricevuta, ma senza credenziali formali; una
situazione simile a quella verificatasi in diversi Paesi europei e
latinoamericani.
Così,
mentre da un lato la politica estera ha sostenuto la politica del
governo parallelo venezuelano, dall’altro la situazione giuridica non
era chiara, e in qualche modo diversa dal caso statunitense in cui la
Casa Bianca, il Dipartimento di Stato, il Dipartimento del Tesoro e il
Dipartimento di Giustizia erano tutti allineati – con qualche tensione –
sulla stessa posizione. Quella situazione di mancanza di chiarezza,
sulla quale la Banca d’Inghilterra ha fatto affidamento per la sua
mancanza di risposta, è stata infine risolta con la sentenza di giovedì.
Questa
sentenza rappresenta non solo una perdita per la BCV, ma stabilisce
anche un precedente per altri dossier in una situazione simile, come i
120 milioni di dollari appartenenti alla BCV che si trovano nella
Deutsche Bank, o i numerosi conti congelati in diverse banche.
Questo apre una nuova porta per approfondire i meccanismi di furto di fondi e beni venezuelani all’estero, cosa che accade dall’inizio del riconoscimento statunitense di Guaidó.
Il
caso paradigmatico è quello di CITGO, la filiale di PDVSA negli Stati
Uniti (USA) – del valore di 8 miliardi di dollari – che è stata
sequestrata dal governo americano nel 2019, ed è attualmente sotto la
minaccia giudiziaria di essere messa all’asta e smembrata per essere
appropriata da una società mineraria canadese, Crystallex, o da una
compagnia petrolifera statunitense, la ConocoPhillips.
Questo
processo di espropriazione è stato uno degli obiettivi centrali contro
il Venezuela. Il governo venezuelano ha convocato, ad esempio,
l’incaricato d’affari britannico in Venezuela a maggio per “presentargli
una protesta formale ed esigere spiegazioni per la creazione di
un’Unità per la ricostruzione del Venezuela nel suo Ministero degli
Esteri”.
In
questo modo, mentre Guaidó ha perso ogni peso politico all’interno del
paese, il suo mantenimento artificiale “in vita” permette ai processi di
furto dalla Nazione di avanzare.
Questa
politica di pirateria e di blocco fa parte delle divisioni
dell’opposizione nel paese. Il settore che ancora oggi ruota attorno
alla strategia del governo parallelo mantiene la necessità di sanzioni e
di congelamento dei beni. Affermando, contro ogni evidenza, che tutto
ciò non riguarda l’intera popolazione, ma solo il nucleo del potere del
Chavismo.
Un
altro campo, invece, sia politico che economico, si oppone alla
strategia dell’asfissia e del progressivo esproprio. È questo settore
che parteciperà alle elezioni legislative del 6 dicembre, per le quali
si sono già registrati 89 partiti politici.
* da Página12
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