volere la luna Andrea Ciattaglia
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«I 285,66 euro mensili, previsti dalla legge per le persone totalmente inabili al lavoro per effetto di gravi disabilità, non sono sufficienti a soddisfare i bisogni primari della vita». Lo ha stabilito – verrebbe da dire confermato, visto che è indiscusso che con meno di 300 euro al mese qualsiasi persona non possa affrontare le spese per il minimo mantenimento vitale – la Corte costituzionale nella camera di consiglio del 23 giugno esaminando una questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’appello di Torino nel procedimento promosso, tramite il proprio tutore, da S. B., cinquantenne affetta da tetraplegia spastica neonatale, incapace di svolgere i più elementari atti quotidiani della vita e di comunicare con l’esterno (https://volerelaluna.it/societa/2019/10/14/la-costituzione-e-limporto-da-fame-della-pensione-di-inabilita/).
In attesa del deposito della sentenza la Corte ha emesso un comunicato stampa nel quale ha precisato di aver «ritenuto che un assegno mensile di soli 285,66 euro sia manifestamente inadeguato a garantire a persone totalmente inabili al lavoro i “mezzi necessari per vivere” e perciò violi il diritto riconosciuto dall’articolo 38 della Costituzione, secondo cui “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”. È stato quindi affermato che il cosiddetto “incremento al milione” [pari a 516,46 euro, nel frattempo divenuti 615 euro per effetto dell’incremento dell’inflazione come riportato dal Sole 24 Ore del 25 giugno, ndr] da tempo riconosciuto, per vari trattamenti pensionistici, dall’articolo 38 della legge n. 448 del 2011, debba essere assicurato agli invalidi civili totali, di cui parla l’articolo 12, primo comma, della legge 118 del 1971, senza attendere il raggiungimento del sessantesimo anno di età, attualmente previsto dalla legge».
La sentenza ha effetto immediato dalla pubblicazione per coloro «che abbiano compiuto i 18 anni e che non godano, in particolare, di redditi su base annua pari o superiori a 6.713,98 euro» (limite ISEE sul quale merita attendere il chiarimento della sentenza), restando ferma «la possibilità per il legislatore di rimodulare la disciplina delle misure assistenziali vigenti, purché idonee a garantire agli invalidi civili totali l’effettività dei diritti loro riconosciuti dalla Costituzione». Si tratta quindi di un provvedimento immediatamente esecutivo che, pur non riguardando gli importi pregressi, di fatto raddoppia l’importo mensile che lo Stato riconosce agli inabili totali per il loro mantenimento (escludendo quindi le necessità ulteriori derivanti dalla condizione di grave disabilità e le spese per le cure).
La sentenza fissa uno spartiacque storico nel riconoscimento dei diritti e nelle tutele per le persone con disabilità. Per Vincenzo Bozza (presidente dell’UTIM, Unione per la tutela delle persone con disabilità intellettiva, che ha sostenuto l’iter del procedimento – primo grado, appello, rinvio alla Consulta – su suggerimento e sprone di Francesco Santanera, decano della promozione dei diritti delle persone non autosufficienti) «si tratta di un passaggio epocale, che riconosce la legittimità delle nostre argomentazioni e l’incostituzionalità di un importo largamente al di sotto del minimo vitale. Il percorso di questi anni è stato lungo, faticoso per una famiglia e un’associazione piccola ma battagliera. Il cammino è stato ancor più arduo in quanto intrapreso in solitudine, nonostante gli appelli dell’UTIM e del CSA a tante organizzazioni nazionali per sostenere la causa. Ha prevalso la coerenza e la fiducia nel diritto; la Consulta ha affermato in concreto la dignità per tutte le persone con disabilità grave».
2.
Il testo della pronuncia della Corte fornirà l’occasione di ulteriori approfondimenti, ma fin d’ora la decisione e i suoi effetti pratici pongono alcune questioni.
L’incremento della pensione di invalidità comporterà un aumento della spesa dell’INPS relativo a questa prestazione. Una stima ragionata sui dati delle pensioni per invalidi civili corrisposte dall’ente previdenziale porta a ritenere che la maggiore spesa sarà di 2 miliardi di euro all’anno (per quasi 531mila destinatari, dati 2020 INPS). È prevedibile che nel dibattito che seguirà la sentenza, avrà ampio risalto la questione delle coperture finanziarie e bene sarà, in primis per le organizzazioni di tutela dei diritti delle persone con disabilità, seguirlo nel dettaglio e proporre soluzioni di risparmio/reperimento di risorse grazie all’eliminazione di sprechi o spese inutili o inique. Il tema, insomma, è senza dubbio importante, ma va posto a partire dall’assunto che tali risorse colmano una mancanza storica nel riconoscimento dei diritti dei più deboli (dalla Sentenza della Corte discende direttamente la considerazione che lo Stato finora non ha, nei fatti, garantito il mantenimento sancito all’articolo 38 della Costituzione). Le risorse per l’aumento della pensione non sono quindi discrezionali e le istituzioni non possono vincolare l’erogazione alla verifica della disponibilità dei bil
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