“Mio dio, cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?”. Il popolo italiano deve avere molte colpe se la punizione divina si materializza con la pagliacciata parlamentare.
Per
non farla lunga, ci concentriamo sul solo Matteo Salvini, che ha
dimostrato una volta per tutte – almeno ai nostri occhi – una logica da
venditore di tappeti e un animo da peracottaro.
Si
doveva discutere, ricordiamo, la data per discutere sulla mozione di
sfiducia contro il presidente del consiglio Giuseppe Conte
(se ne parlerà il 20 agosto). Ed era già ridicola questa situazione,
nata da una mossa proprio della Lega che – invece di ritirare la propria
delegazione di ministri, Salvini compreso, aprendo davvero la fine del
governo – aveva scelto di “parlamentarizzare la crisi” pur dicendo in
pubblico di volere il voto subito, anzi, ieri…
“Parlamentarizzare”
significa gestirla secondo Costituzione e regolamenti di Camera e
Senato, con tutti i trucchi, gli ostacoli, le furbizie, i bizantinismi
del caso. Una cosa da preistoria della politica, che per dei
“rinnovatori” dovrebbe essere tabù.
Entrando
in Senato il Truce confermava che “mai” avrebbe “ritirato i ministri
della Lega dal governo”. Il che, quindi, significa che non voleva
affatto farlo cadere per le vie brevi. Dunque il gioco è ed era un
altro, fin dall’inizio.
Poi,
nel suo discorso in aula ha spiegato che per lui andava bene il
“percorso” proposto da Di Maio: prima il voto definitivo sulla
“riduzione dei parlamentari e poi elezioni anticipate”.
E
qui il peracottaro ha provato a trasformare una disfatta (parlamentare)
in rilancio della palla nel campo avversario: l’avete detto voi che si
poteva fare, per me va bene..
Il problema – chiarissimo a chi sa due cosette di Costituzione – è che se diventa definitiva una “riforma costituzionale” che riguarda il Parlamento
(e il numero dei parlamentari è indicato nella Carta) si aprono una
serie di scadenze obbligate, anch’esse previste, persino nella durata,
dalla legge fondamentale dello Stato.
Lo
sanno persino i leghisti che dicono: “Una volta approvata la riforma,
viene pubblicata in Gazzetta ufficiale e devono trascorrere, in base
all’articolo 138 della Costituzione, tre mesi per le eventuali richieste
di referendum, in quanto la riforma non è stata approvata dai due
terzi”. Se nessuno chiede lo svolgimento del referendum, spiega il più
ferrato di loro in materia, Calderoli, dopo i tre mesi, devono
“trascorrere 10 giorni per la promulgazione e quindi 60 giorni per la
ridefinizione dei collegi. E si arriverebbe a metà febbraio del 2020. Da
quel momento in poi, si può andare a votare con la riduzione del taglio
dei parlamentari e il nuovo Parlamento così ridefinito”. Aggiungiamoci
per dovere di completezza i due mesi di campagna elettorale…
Di
conseguenza, una volta ridotta la rappresentanza parlamentare (per
risparmiare qualche decina di milioni su oltre 2.300 miliardi di debito
pubblico), non si possono indire elezioni politiche generali fino al
prossimo giugno.
A
meno di non pensare che si possa eleggere prima un Parlamento
incostituzionale e magari subito dopo delegittimato dall’eventuale esito
referendario.
Conclusione: accettando il “percorso” indicato dai grillini Salvini accetta anche di rinviare il voto a data da destinarsi, negando con i fatti
quel che continua a sparare a beneficio di telecamere. Logica da
piazzista e attendibilità zero, per un contapalle che ha scoperto di
aver sbagliato clamorosamente tutti i conti e cerca una via d’uscita
basandosi su un solo, vero, punto di forza: la carica di ministro dell’interno che usa per dettare ora dopo ora l’agenda politica e i titoli di giornale.
Ultima ciliegina sulla torta, dà un’intervista al Corriere
in cui, negando tutto il resto, dice di pensare a un governo leghista
con Giancarlo Giorgetti – “una persona di cui il mondo si fida” –
ministro dell’Economia per fare “una manovra importante e coraggiosa”.
La
traduzione è semplice. “Voglio un rimpasto con Toninelli, Trenta e Tria
fuori e i miei uomini al loro posto”. “Tenetemi, sennò faccio un
casino”. La minaccia del voto subito per intascare qualcosa…
Tutto qui.
Basterebbe
non dargli quel che chiede per aprire la via della caduta per il
peracottato travestito da Truce. Ma qui entra in gioco la maledizione
divina, quella che ha consegnato il paese alla peggiore classe politica
della galassia.
Vivere all’inferno, nel girone dei peracottari, senza nemmeno la dignità della tragedia.
P.s.
Sullo sfondo la tragedia vera. La conflittualità internazionale che
cresce, la guerra dei dazi e delle monete, le pressioni di Trump per
allineare la UE alle sue scelte anti-Iran, Cina, Russia e Venezuela, il
ritorno in pianta stabile del colonialismo… Uno sfondo in cui, con
questa gentaglia, agiremo come sempre da servi e comprimari, fingendo
d’essere protagonisti perché “abbiamo una storia gloriosa” e tanti
fondali di cartone…
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