sabato 24 agosto 2019

Il disastro climatico devono pagarlo i padroni.

L’appello a fermare la produzione di carbone e automobili viene spesso raccontato come una minaccia ai posti di lavoro. I sindacati tedeschi stanno iniziando a decostruire questa narrazione e si preparano a lottare con il movimento Fridays for Future.

 
jacobinitalia.it Mark Bergfeld 

 

Se è vero che le vacanze estive hanno interrotto gli scioperi studenteschi, il movimento dei giovani di Fridays for Future non ha certo abbandonato la battaglia per salvare il pianeta. 
Sin dall’inizio, leader come la svedese Greta Thunberg e la tedesca Luisa Neubauer hanno lavorato per costruire reti sociali più ampie di quelle messe in piedi dalle precedenti generazioni di ambientalisti, includendo anche i sindacati. Con questo spirito, il 20 settembre si darà inizio all’Earth Strike: una settimana di scioperi generali in tutto il mondo per fermare la produzione e attirare l’attenzione della classe politica sull’emergenza climatica.
La necessità di salvare i “posti di lavoro” è stata storicamente contrapposta all’appello a fermare le industrie inquinanti. Eppure la portata della catastrofe cui andiamo incontro invita a superare i divari tra l’attivismo ecologista e quello sindacale. In particolare, la diffusione mainstream degli appelli alla giustizia climatica – la convinzione che non debbano essere i poveri, i vulnerabili e gli sfruttati a pagare la transizione verso un’economia ecologica e carbon-free – ha dimostrato che la salvezza del pianeta e la giustizia sociale possono andare di pari passo.
Un’ambizione incarnata dalla proposta di Alexandria Ocasio-Cortez di un Green New Deal.

La Germania ha una storia di mobilitazioni ecologiste particolarmente lunga, con campagne anche molto radicali che hanno goduto di un ampio supporto popolare. Il suo movimento ambientalista è stato sempre caratterizzato da una corrente fortemente anti-autoritaria – negli anni Settanta e Ottanta, il movimento nato per fermare il trasporto di scorie radioattive ha usato forme di disobbedienza civile ispirate alle lotte per i diritti civili negli Stati Uniti.
A differenza di altri paesi non si tratta di fenomeni passeggeri, ma di movimenti profondamente radicati nei quartieri e nelle comunità. Eppure, malgrado la forza dell’attivismo ambientalista, i sindacati si sono sempre mostrati disinteressati alle lotte ecologiste. Ma ora, sull’onda del movimento dei Fridays for Future, i sindacati e il mondo del lavoro stanno iniziando a fare proprio l’appello alla transizione ecologica.

Prima i posti di lavoro?

Una simile transizione presenta un mucchio di ostacoli. In anni recenti, gli attivisti ecologisti hanno soprattutto messo in campo forme di disobbedienza civile per chiudere due miniere di lignite a cielo aperto, una nella Renania e l’altra nella Lusazia nell’ex Germania dell’Est. La lignite è una delle fonti di energia meno efficienti e più inquinanti, ma è cruciale nella creazione di posti di lavoro in entrambe le regioni. Questo ha dato luogo a ripetuti contrasti fra i membri del sindacato dell’industria chimica e mineraria – l’Ig Bce – e gli attivisti che sono andati nella Renania a occupare la Hambach Forest e la miniera a cielo aperto. Il segretario generale dell’Ig Bce, Michael Vassiliades, ha insistito sulla necessità di dare la priorità ai posti di lavoro e di mettere i problemi ambientali al secondo posto – sancendo il disaccordo tra sindacato e ambientalisti.
Questa presa di posizione ben si sposa con il precedente dell’Ig Bce nella partecipazione alla commissione governativa tedesca per l’eliminazione graduale della lignite – un processo lento che è in realtà in contraddizione con gli accordi di Parigi per il clima. Per adesso, tutti gli azionisti, inclusi i sindacati, sono stati d’accordo sul fatto che la produzione di carbone debba cessare definitivamente entro il 2038, eppure la posizione dell’Ig Bce sul dare priorità assoluta ai posti di lavoro è lontana dalla nozione di giustizia climatica. Sicuramente, ci sono ragioni di preoccupazione – il settore delle energie rinnovabili (sia eoliche che solari) è notoriamente ostile ai sindacati, rompendo con la tradizione di dialogo sociale e collaborazione radicata nelle vecchie forme di produzione. Eppure il rischio è precisamente che questa insensibilità verso i problemi ambientali faccia sì che siano soltanto i datori di lavoro a prendere le decisioni su come guidare il processo di transizione ecologica.
Non tutto il mondo sindacale è però rimasto impantanato in una posizione puramente difensiva. A seguito della richiesta dei Fridays for Future di interrompere la produzione di carbone entro il 2030, il segretario generale del sindacato dei servizi ver.di, Frank Bsirske, ha dichiarato che l’abbandono progressivo del carbone dovrebbe avvenire il più velocemente possibile. Questo appello ha dato vita a una mobilitazione del gruppo di estrema destra Alternative für Deutschland (AfD), che ha opportunisticamente accusato Bsirske di essere contro l’industria e di volere il male dei lavoratori tedeschi. D’altra parte i commenti di Bsirske non sono andati giù a tutti i sindacati: al campeggio ambientalista “Ende Gelände” [un ciclo di eventi promossi in Renania dal movimento ambientalista, ndt] ha partecipato anche l’ala giovanile dell’Ig Bce, chiedendo più sicurezza sul lavoro e la non chiusura della miniera a cielo aperto.

Rompere gli schemi

Come si è visto, la coscienza ambientalista della Germania, le crescenti fortune del Partito dei Verdi e la diffusione di negozi Bioläden che vendono cibo green non significano necessariamente che i sindacati stiano assumendo posizioni più progressiste sulle questioni climatiche. Semmai, il radicalismo presente nel milieu degli attivisti ambientalisti, così come il corporativismo tipico sindacale del “prima il lavoro”, hanno creato una frattura più profonda tra mondo del lavoro e gruppi ambientalisti di quanto non sia accaduto in altri paesi.
Tuttavia, lo sciopero climatico del prossimo 20 settembre potrebbe essere un primo passo per superare la diffidenza tra sindacati e gruppi ambientalisti. Anche se le leggi tedesche sul mondo del lavoro non permettono alcun tipo di sciopero politico, gli scioperi per il clima dei Fridays for Future hanno toccato le corde giuste sia nell’industria manifatturiera che in quella dei servizi. E stanno iniziando a riscuotere successo.
A giugno, il più grande sindacato tedesco, l’Ig Metall, ha organizzato una manifestazione per chiedere una transizione ecologica e giusta. La più ampia crisi dell’industria automobilistica tedesca, concentrata nello scandalo Volkswagen sulla falsificazione delle emissioni, ha messo in evidenza le magagne del settore. Data la relazione stretta fra i sindacati dell’industria manifatturiera, le compagnie tedesche quotate nel Dax 30 [il segmento della borsa di Francoforte con i 30 titoli a maggiore capitalizzazione, ndt] e lo stato tedesco, questa manifestazione potrebbe rappresentare un passo avanti nella direzione di una convergenza tra sindacati e gruppi ambientalisti. Questa alleanza lavoro-ambiente è particolarmente necessaria, dal momento che il cambiamento climatico, così come i nuovi sviluppi tecnologici, stanno per costringere le fabbriche automobilistiche tedesche a cambiare la produzione, virando sulle auto elettriche o su tipi di veicoli completamente diversi.
Per organizzare questa manifestazione, l’Ig Metall ha noleggiato dieci treni e ottocento autobus per riempire le strade di Berlino con decine di migliaia di metalmeccanici. È stato un precedente di battaglia sindacale per la transizione ecologica. Anche se all’interno della manifestazione non ci sono stati rimandi specifici ai Fridays for Future, una protesta del genere sarebbe stata impensabile senza le mobilitazioni e gli scioperi studenteschi. Mentre scrivo, l’Ig Metall sta ancora discutendo se aderire o meno allo sciopero per il clima del 20 settembre.
Sviluppi più promettenti si hanno nel settore dei trasporti, con il sindacato dei ferrotramvieri Evg che ha confermato la presenza dei propri membri alle manifestazioni dei Fridays for Future e ha dichiarato di condividere gli obiettivi del movimento. Questo non dovrebbe sorprenderci, dal momento che una delle richieste del movimento è quella di trasporti pubblici migliori e più accessibili. Una solidarietà interessata, il cui prossimo passo dovrebbe essere quello di uno sciopero dei macchinisti e degli altri dipendenti per bloccare i treni in occasione dell’Earth Strike.
Ma il settore più rapido e più appassionato nello sposare il nascente movimento climatico e i suoi appelli allo sciopero è stato quello dei servizi. Qui, la relazione fra datori di lavoro, lo stato e i sindacati non è così rigidamente definita dal corporativismo, e i lavoratori e le lavoratrici non subiscono allo stesso modo la minaccia di perdere il lavoro.
La scorsa settimana, Bsirske ha sostenuto che i membri di ver.di avrebbero risposto alla chiamata di Greta Thunberg e aderito allo sciopero del 20 settembre. L’account Twitter dei ver.di mostra Bsirske che dice: «Chiunque ne abbia la possibilità dovrebbe interrompere le attività lavorative e andare a manifestare. Io ci andrò senz’altro». Luisa Neubauer, una delle più promettenti giovani attiviste ambientaliste tedesche, ha definito l’appello di Bsirske «un passo infinitamente significativo», dimostrando che gli ambientalisti in sciopero sono consapevoli del potere dei sindacati.
I ver.di non hanno indetto direttamente lo sciopero. Ma il sindacato sta incoraggiando i propri membri a prendersi collettivamente una “giornata libera” in sostegno al movimento, o a organizzare una “pausa pranzo attiva” – un’assemblea all’ora di pranzo fuori dai propri posti di lavoro. Questo potrebbe essere un modo utile per includere i membri del sindacato e altri lavoratori nella lotta per il bene del pianeta, e allo stesso tempo alimentare l’Earth Strike. Dato che la recente petizione nata dal basso sulle questioni sollevate dal cambiamento climatico ha raccolto più di 46.000 firme, sembrerebbe che i lavoratori dei servizi siano in procinto di attivarsi, sia nel settore pubblico che in quello privato.
A differenza degli Stati Uniti, dove gli insegnanti sono stati in prima linea nel costruire un sindacalismo sociale scioperando negli stati del right-to-work [gli stati in cui l’iscrizione al sindacato non è obbligatoria per lavorare in un luogo di lavoro sindacalizzato, ndt], gli insegnanti tedeschi sono ufficiali pubblici e di conseguenza non hanno diritto allo sciopero. Se è vero che non possono abbandonare il luogo di lavoro, il sindacato del comparto educativo Gew ha tuttavia supportato lo sciopero degli studenti. Il dirigente del settore scolastico del sindacato, Ilka Hoffmann, ha appoggiato pubblicamente lo sciopero ma lo ha anche accusato di non fare abbastanza per enfatizzare le questioni legate allo sfruttamento del lavoro e alla giustizia sociale che toccano lavoratori e lavoratrici. La sezione del Nord Reno-Vestfalia ha anche sostenuto fermamente la fine delle rappresaglie contro gli studenti che partecipano allo sciopero, anche se non è ancora chiaro cosa invece faranno gli insegnanti nella settimana dell’Earth Strike.
Lo sciopero sta anche tentando di raggiungere il settore edile. Il più grande sindacato tedesco del settore edilizio e immobiliare, l’Ig Bay – che guarda caso ha anche la parola “umwelt”, ambiente, inclusa nel nome – ha invitato i propri membri nei cantieri a unirsi allo sciopero sul clima. Chiede che la Germania riduca le emissioni di CO2 del 40% entro il 2020.
Le leggi tedesche sul lavoro proibiscono ai lavoratori e alle lavoratrici di partecipare a scioperi politici. L’Ig Bau sta dunque facendo pressione sui datori di lavoro affinché permettano ai propri impiegati di partecipare alle manifestazioni dei Fridays for Future. Questa mossa intelligente rimette la palla nelle mani dei datori, forzandoli a dimostrare quanto sia autentica la loro fedeltà alla “responsabilità sociale dell’azienda” e al “lavoro green”. Una mossa del genere, che spinge i datori a chiudere, potrebbe dare all’Earth Strike una dimensione completamente differente.

Rendere reale la transizione

Se i sindacati sposeranno la transizione ecologica per difendere gli interessi dei lavoratori, avranno bisogno di pensare bene a come usare il loro potere istituzionale e organizzativo nei luoghi di lavoro e nei vari settori. Dopo tutto, il 53% dei lavoratori e dei datori di lavoro è ancora impiegato con contratti collettivi, dando a molti sindacati un ottimo strumento per modellare il mercato del lavoro.
Quanti godono di una simile posizione strategica potrebbero usarla per chiedere corsi di aggiornamento per i lavoratori e le lavoratrici nei settori chiave che non avranno futuro in un’economia carbon-free, per sancire nuovi regolamenti sulla salute e la sicurezza che potrebbero contribuire a diminuire le emissioni di carbone, e per costringere i datori di lavoro a cambiare il modo in cui vengono prodotti i beni ed erogati i servizi. Tra le altre cose, i sindacati potrebbero usare i contratti collettivi per avanzare la proposta di una settimana lavorativa di quattro giorni, cosa che pure aiuterebbe a diminuire le emissioni di CO2.
Malgrado questi sviluppi positivi all’interno del mondo del sindacalismo, i media mainstream tedeschi continuano a inquadrare il nascente dialogo tra i Fridays for Future e i sindacati in uno schema binario, come se la difesa dei posti di lavoro entrasse inevitabilmente in contrasto con gli interessi più ampi del pianeta. Questo è esattamente il tipo di narrazione che i sindacati devono decostruire.
Ad oggi, il supporto dei sindacati tedeschi al movimento dei Fridays for Future potrebbe rimanere simbolico – e certamente i sindacati potrebbero fare molto di più per sfidare l’economia tedesca del carbone. Tuttavia, la loro partecipazione allo sciopero del 20 settembre potrebbe iniziare a colmare il divario tra il lavoro organizzato e i movimenti ambientalisti tedeschi, già molto forti. Unire questi pezzi è oggi più necessario che mai, se non vogliamo che siano i lavoratori e le lavoratrici a pagare il prezzo della transizione a un’economia ecologica.

*Mark Bergfeld è Director of Property Services & UNICARE all’UNI Global Union – Europa. Questo articolo è uscito su Jacobinmag.com. La traduzione è di Gaia Benzi.

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