E allora ripetiamo che l’unica giustificazione morale per non andare alle urne è il pericolo di proto fascismo di nuove camere a maggioranza assoluta Salvini (+Meloni).
I famosi, e da Salvini invocati, “pieni poteri”. Perché potrebbero cambiare la Costituzione, oltre a eleggere nel 2022 un loro Capo dello Stato, e fare la stessa cosa con i futuri giudici costituzionali, Csm, etc.
Dunque, un governo di coalizione M5S-Pd ha il dovere di sradicare le cause cha anno portato in due anni Salvini a passare prima dal 4% al 17% e poi dal 17% al 38% dei consensi.
Poiché tali cause sono note anche ai sassi e consistono nell’indecenza di diseguaglianze sociali in crescita esponenziale, nella mediocrità e nell’incultura sempre più precipitante dei ministri.
Ma anche nella tolleranza verso l’intreccio corruttivo ormai mostruoso e onnipervasivo tra politica, imprenditoria e finanza, in una giustizia che è sempre meno il “potere dei senza potere” e sempre più, nuovamente, articolazione e scudo dell’establishment, in un disprezzo del mondo del lavoro (o della disoccupazione) e in una santificazione dei padroni del vapore, eccetera eccetera, è di lapalissiana evidenza quali siano le condizioni minime che un governo M5S-Pd deve soddisfare, se non vuole aprire nuova praterie alle scorrerie salviniane, garantendogli i “pieni poteri” al prossimo appuntamento elettorale.
Un altissimo profilo e una durata fino a fine legislatura. Questo il minimo. Il resto è regalo a Salvini, comunque venga infiocchettato.
Altissimo profilo non significa solo grandi competenze.
Beppe Grillo, appena ufficializzato l’appuntamento di Conte per ricevere da Mattarella l’incarico di premier, ha proposto che i ministri di tale governo non fossero esponenti di partito bensì “i ministri vanno individuati in un pool di personalità del mondo della competenza, assolutamente al di fuori dalla politica”.
Proposta che segue la denuncia di una perdurante “poltronofilia”, insomma amore del potere per il potere, anziché per la realizzazione di trasformazioni sociali, economiche, ambientali, sullo sfondo della guerra alla corruzione (“onestà, onestà” fu lo slogan con cui sono stati eletti gli attuali parlamentari 5S).
Mentre scriveva quel suo post Grillo aveva avuto una giusta intuizione. L’attuale personale politico del movimento (ma vale anche per il Pd) è pesantemente indigente (eufemismo) di quell’altissimo profilo senza il quale il governo Conte bis non riuscirà affatto a togliere a sufficienza consensi a Salvini e sventare ogni rischio per la democrazia.
Grillo però non ha saputo trasformare questa intuizione (elementare, ma invero neppure tematizzata da tanti paludati commentatori e politologi), in gesto politico, perché “il mondo delle competenze” è dizione quanto mai generica, che può voler dire soluzioni anche antitetiche. Il capo di Confindustria Vincenzo Boccia e il capo della Cgil Maurizio Landini fanno entrambi parte di quel mondo, ma alle due estremità. C’è l’arte della mediazione, si dirà, e Conte è un autentico democristiano, dunque venuto al mondo per esercitarla.
Oggi però, per inaridire la prateria dei consensi di Salvini, su troppi temi non c’è mediazione possibile, tra voracità di establishment e anelito di eguaglianza, tra partito dell’impunità e rivoluzione di legalità repubblicana, tra informazione e tv “attappettate” e giornalismo come “censura continua sugli atti del potere” (Jules Michelet), tra santificazione del profitto e redistribuzione riformatrice, tra urgenza ecologia e voluttà di appalti, e via seguendo i temi ineludibili di un programma governativo di legislatura.
Ecco perché l’eccellenza delle competenze deve essere quella di personalità imbevute di spirito repubblicano egualitario, lucide e perciò intransigenti nella necessità di invertire la rotta dell’ultimo quarto di secolo, che tra berlusconismo e inciuci ha fatto lievitare i consensi all’antidemocrazia salviniana come in Europa solo a Orban.
Personalità di inattaccabile autorevolezza morale, di caratura etico-professionale che costringa al rispetto, nel quadro ineludibile di convinzioni etico-politiche intenzionate a ridurre ogni giorno le diseguaglianze, a colpire ogni giorno di più la corruzione, a difendere ogni giorno di più il lavoro, i beni culturali, l’ambiente…
In genere riassumo tutte queste esigenze nell’idea di un governo giustizia-e-libertà. Poiché però parole come eccellenza, competenza, moralità, autorevolezza, vengono spesso piegate a dire il loro contrario, penso sia sempre doveroso, quando si avanzano proposte del genere, esemplificare con qualche nome.
Perciò nei giorni scorsi ho ripetuto alcuni di questi nomi fino alla noia: Zagrebelsky, Carlassare, Scarpinato, Davigo, Saraceno, Barca, Montanari, Bray, Caracciolo, Mazzuccato, Canfora...
Beppe Grillo, avuta l’intuizione, l’ha poi lasciata malinconicamente cadere. Eppure non dovrebbe dimenticare che se nelle attuali Camere il M5S ha più di un terzo dei parlamentari, è proprio per aver fatto una campagna elettorale alquanto prossima alla logica giustizia-e-libertà che da anni su MicroMega articoliamo in proposte di riforma.
E che alleandosi al governo con la Lega il M5S ha calpestato. Ogni atto o comportamento che quella logica disattenda, anziché implementarla con passione, intensità, sistematicità, farà del Conte bis solo un altro governo di establishment, anziché un governo di eguaglianza, e Salvini potrà brindare di nuovo, prenotando palazzo Chigi.
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