In
questo pianeta e in questa estate non sta bruciando solo l’Amazzonia,
eppure governi e il sistema dei mass media parlano solo di questo.
E’
stata Greenpeace a lanciare l’allarme: dopo la Siberia e l’Amazzonia,
anche la foresta pluviale del bacino del Congo, la seconda più grande al
mondo, rischia di essere colpita da incendi indomabili, come già
accaduto nel 2016.
Dal 21 agosto, ossia in
meno di una settimana – scrive Greenpeace– sono stati documentati oltre
6.902 incendi in Angola e 3.395 incendi nella vicina Repubblica
Democratica del Congo, principalmente in aree coperte dalla savana, un
bioma che si trova in molte zone di transizione tra la foresta pluviale e
il deserto o la steppa.
La foresta del bacino
del Congo ospita milioni di indigeni che ne sono anche i principali
custodi, nonché migliaia di specie animali e vegetali. Immagazzina
inoltre 115 miliardi di tonnellate di CO2 – equivalenti alle emissioni
di combustibili fossili prodotte dagli Stati Uniti in 12 anni – giocando
quindi un ruolo fondamentale per regolare il clima del Pianeta.
La crescente domanda
globale di risorse naturali come legname e petrolio, e di materie prime
agricole, rappresenta una seria minaccia per la regione.
Circa un quarto
della superficie forestale totale del bacino del Congo (50 milioni di
ettari) appartiene già a multinazionali che deforestano per fini
industriali.
“Invece di dare
concessioni a multinazionali che traggono profitto dalla distruzione
delle foreste – denuncia Greenpeace – i diritti di gestione delle
foreste devono essere trasferiti alle Popolazioni Indigene, nel rispetto
delle loro conoscenze tradizionali e degli standard ambientali”.
Ma è bene ricordare ai distratti e ai finti tonti che, solo ad agosto, in Siberia sono andati a fuoco oltre cinque milioni di ettari di foreste, si tratta di una superficie che equivale a poco meno di tutto il patrimonio forestale dell’Italia.
La nuvola di fumo ha coperto il Paese e ha attraversato l’Oceano Pacifico, fino a raggiungere gli Stati Uniti.
Ed anche in Alaska questa estate si sono susseguiti incendi di dimensioni particolarmente estese.
Il problema, dunque, non
è solo l’Amazzonia. Ma le èlites, la loro pervasività mediatica e le loro sospette ipotesi di transizione ecologica non avevano sempre detto che occorre avere una visione globale di un problema globale?
E allora che non si accendano i riflettori solo sull’Amazzonia, ma anche sull’Africa e la Siberia, non stiamo andando ad un concerto di Sting, stiamo andando incontro all’infarto ecologico del pianeta.
Per provare a metterci mano, rapidamente, non si può che ricominciare a ragionare sulla pianificazione ecologica, qualcosa di più e di meglio delle soluzioni ecoprofittevoli della green economy che stanno maturando nei progetti dei grandi gruppi capitalisti.
Se continueremo a tenere le volpi a guardia del pollaio non ci saranno alternative sostenibili nè praticabili.
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