Il Movimento 5 Stelle è, da sempre,
favorevole addirittura alla legalizzazione della cannabis,
il Pd magari lo è un po’ meno o con meno convinzione ma sicuramente è
lontano anni luce dalla reazione proibizionista che, almeno a parole, ha
caratterizzato i 14 mesi di connubio anti-droga Salvini-Fontana. LeU e
il gruppo misto hanno al proprio interno sinceri antiproibizionisti e
politici moderati di lungo corso che, al momento del bisogno, riescono a
esercitare il necessario “buon senso” per favorire il governo di
fenomeno complessi.
Quale sia la complessità del fenomeno “droghe” in Italia è in effetti difficile dirlo. Se da un lato il governo non ha ancora pubblicato la sua “relazione annuale al Parlamento”, dall’altro sono ormai 10 anni che non viene convocata la Conferenza nazionale che di droghe dovrebbe parlare - e ne dovrebbe parlare (anche) per far il punto sugli effetti, positivi e/o negativi, che l’applicazione del Testo Unico sulle droghe 309/90 ha prodotto negli ormai suoi 30 anni di vita.
Prima di esser tutto quello per cui le “droghe” sono note, occorre prendere atto laicamente che la presenza di queste sostanze è un elemento strutturale nella nostra società.
Secondo le stime degli ultimi anni raccolte dal Dipartimento per le Politiche Anti-Droga della Presidenza del Consiglio in collaborazione con il CNR, circa otto milioni di persone incontrano una sostanza illecita nel corso di un anno.
Se l’indagine si amplia ai comportamenti di una vita la percentuale di coloro che hanno provato qualcosa di proibito dalla legge ex-Jervolino Vassalli sale a circa un terzo dei 60 milioni di persone che vivono in Italia.
Certo la sostanza più consumata è la cannabis coi suoi derivati, poco oltre 6 milioni, ma i rischi di incappare in sanzioni penali e amministrative non diminuiscono neanche in virtù della (presunta o reale) “leggerezza” della sostanza.
Gli altri due milioni di consumatori son divisi per due terzi tra chi usa cocaina e il rimanente consumatore d’eroina.
Secondo il governo le sostanze sintetiche sono una percentuale misteriosamente bassa, specie se paragonate ad altri paesi europei.
Questa presenza di sostanze illegali è, naturalmente, garantita da organizzazioni internazionali con presenza capillare in tutte le città italiane dalle scuole alle carceri e contatti, connivenze e accordi di cartello con narco-mafie transnazionali.
Ammesso, e comunque non concesso, che si possa quantificare l’ammontare di cannabis, cocaina, eroina, anfetamine, e nuove sostanze psichedeliche che circola in Italia, queste “droghe” muovono intorno ai 18 miliardi di euro.
Una “manovrina”.
Sebbene nel 2014 la Corte Costituzionale abbia annullato ampie parti della legge cosiddetta Fini-Giovanardi, perché inclusa nel decreto che finanziò le Olimpiadi invernali di Torino del 2006, gli aggiustamenti occorsi nella primavere di quell’anno, pure ristabilendo una differenza di trattamento penale tra “pesanti” e “leggere, non cancellarono totalmente le sanzioni per la detenzione e il consumo personale.
Col passare degli anni, e la disattenzione circa le priorità di politica giudiziaria in Italia - e un’inerzia da populismo penale per cui comunque occorreva far “la voce grossa” contro le droghe andando a perseguire lo spaccio, specie se effettuato da non italiani - si è tornati ad arrestare, multare e segnalare ai prefetti oltre centomila persone all’anno.
Di queste circa 15mila restano in carcere.
Un gruppo di organizzazioni non-governative, quelle che da sempre sono tra le più attente alle politiche criminogene proibizioniste (tra le altre Forum Droghe, Società della Ragione, Antigone, a Buon Diritto, Associazione Luca Coscioni e CGIL), ha recentemente presentato il X Libro Bianco sulle Droghe da cui risulta che se detenzione e uso personale venissero depenalizzati le carceri italiane tornerebbero a essere, almeno dal punto di vista del numero dei detenuti, in linea con la Convenzione europea dei diritti umani.
Senza quelle 15mila persone i nostri istituti di pena ospiterebbero infatti le 45mila persone per cui sono stati pensati.
Nelle ultime settimane, grazie alle fissazioni del ministro dell’Interno, abbiamo anche dovuto assistere a raid davanti alle scuole - i dati del Viminale pubblicati il 15 agosto scorso parlano di 13mila agenti impegnati in oltre 20mila interventi in centinaia di istituti che hanno fruttato il sequestro di 14 chili di roba - e di campagne di terrore psico-alimentare nei confronti della canapa industriale che a dicembre 2016 tutti, Lega compresa, avevano ri-legalizzato dopo una quarantina d’anni di danni economico-ambientali a molte regioni e imprenditori italiani.
Seppure legalizzata dal 2007, la prescrizione di cannabinoidi terapeutici resta molto problematica.
Manca informazione sul perché possa, eventualmente, esser prevista, su chi abbia titolo per scrivere la ricetta, dove la si possa reperire, quanto costi e, cosa ancora più grave, mancano piani nazionali o regionali di formazione degli operatori coinvolti.
Mancano infine i prodotti, lo Stabilimento Farmaceutico Militare di Firenze che dal 2015 ha avviato una coltivazione indoor di infiorescenze ricche del principio attivo CBD (non controllato a livello internazionale) non riesce a garantire il fabbisogno nazionale di 1000 chili neanche per un 15% e le somme stanziate per incrementare le importazione dai Paesi bassi e dalla Germania non consentono comunque una continuità terapeutica degna di tal nome.
Ultimo, ma non ultimo per gli intenditori, Andrea Orlando, quando era ministro della Giustizia, nel 2016 alla sessione speciale delle Nazioni unite per le droghe, ebbe parole chiare circa la necessità di riorganizzare le politiche (nazionali e internazionali) in materia di droghe attorno alle evidenze scientifiche e facendo tesoro dell’esito positivo di riforme occorse in giro per il mondo - e da allora sono entrate a regime la legalizzazione della cannabis in Uruguay e Canada, mentre Giamaica e Lussemburgo si stanno avvicinando alla meta della regolamentazione legale e una decina di Stati USA hanno visto verificarsi tutte le più rosee previsioni anti-proibizioniste.
E’ notizia, molto riservata, che l’Italia abbia manifestato l’interesse a tornare a guidare l’Ufficio ONU per le droghe e il crimine dopo la parentesi del russo Fedetoff.
Con tutti i problemi che ci sono in Italia proprio di droga ci dobbiamo occupare? Se, come si legge, la discontinuità deve essere uno dei tratti distintivi del governo che sta per nascere, niente è mai stato meno riformato che il proibizionismo sulle droghe. E una discontinuità che impatta positivamente sui comportamenti di milioni di persone non può che essere benvenuta - oltre che popolare.
Qualche spunto a legislazione vigente:
1) rinominare il dipartimento che presso la Presidenza del Consiglio oggi si chiama “per le politiche anti-droga” in “per le politiche sulle droghe”.
Quando Delrio era sotto-segretario di Palazzo Chigi era tutto pronto, recuperare quel documento sarebbe un indubbio segnale di “novità”;
2) avviare la convocazione della Conferenza Nazionale sulle droghe coinvolgendo tutti gli operatori, pubblici, privati, nazionali, internazionali e non-governativi per fare un punto su tutte le tematiche attorno agli stupefacenti proibiti;
3) presentare al Parlamento i dati raccolti nella relazione sulle droghe su consumi e criticità derivanti dalla presenza di sostanze illecite in Italia;
4) degradare bassa priorità di politica giudiziaria, la caccia di chi consumo e/o detiene sostanze illecite per fini personali;
5) rafforzare il sistema di allerta rapido per affrontare situazioni in cui arrivano partite di sostanze particolarmente pericolose;
6) potenziare la rete di servizi per le persone che hanno un rapporto problematico cogli stupefacenti, anche per scongiurare seriamente, il loro ingresso nel circuito penale;
7) adottare una definizione di ‘riduzione del danno’ incluso tre anni fai nei LEA (livelli essenziali di assistenza) nel pieno rispetto del diritto alla salute e in linea colle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità;
8) promuovere partnership pubblico-privato (arrivando gradualmente a “liberalizzare” il settore) per la produzione di infiorescenza ricche dei principi attivi THC e CBD per fini terapeutici e comunque prevedere gare d’appalto con tempi certi di consegna dei prodotti necessari;
9) promuovere studi sui derivati della cannabis a partire da quelli prodotti a
Firenze;
10) definire chiaramente le destinazioni d’uso dei prodotti a base di canapa contenenti percentuali sotto lo 0,6% di THC in modo da cancellare le incertezze - e chiaramente le persecuzioni - attorno alla produzione, commercio e uso di decine di prodotti agro-alimentari;
11) accompagnare, o lasciar procedere, il percorso parlamentare per una regolamentazione legale della cannabis e suoi derivati e una strutturale depenalizzazione dell’uso e possesso di tutte le altre sostanze oggi proibite. Ci sono validi progetti legislativi depositati da vari Deputati e Senatori, oltre che una proposta di legge d’iniziativa popolare presentata alla Camera nel 2016 e ancora valida.
Si dirà che il Segretario del Partito Democratico qualche mese fa, a domanda, ha risposto di non essere “mai stato a favore della legalizzazione della cannabis”. Posto che qui nessuno per ora gliel’ha chiesto è bene tener presente che non era neanche particolarmente incline a fare un governo col Movimento 5 Stelle…
Se discontinuità dev’essere, è bene che lo sia, e niente è più radicalmente discontinuo che rivedere decenni di politiche criminogene sulle droghe. Il presidente Conte ci pensi seriamente.
Quale sia la complessità del fenomeno “droghe” in Italia è in effetti difficile dirlo. Se da un lato il governo non ha ancora pubblicato la sua “relazione annuale al Parlamento”, dall’altro sono ormai 10 anni che non viene convocata la Conferenza nazionale che di droghe dovrebbe parlare - e ne dovrebbe parlare (anche) per far il punto sugli effetti, positivi e/o negativi, che l’applicazione del Testo Unico sulle droghe 309/90 ha prodotto negli ormai suoi 30 anni di vita.
Prima di esser tutto quello per cui le “droghe” sono note, occorre prendere atto laicamente che la presenza di queste sostanze è un elemento strutturale nella nostra società.
Secondo le stime degli ultimi anni raccolte dal Dipartimento per le Politiche Anti-Droga della Presidenza del Consiglio in collaborazione con il CNR, circa otto milioni di persone incontrano una sostanza illecita nel corso di un anno.
Se l’indagine si amplia ai comportamenti di una vita la percentuale di coloro che hanno provato qualcosa di proibito dalla legge ex-Jervolino Vassalli sale a circa un terzo dei 60 milioni di persone che vivono in Italia.
Certo la sostanza più consumata è la cannabis coi suoi derivati, poco oltre 6 milioni, ma i rischi di incappare in sanzioni penali e amministrative non diminuiscono neanche in virtù della (presunta o reale) “leggerezza” della sostanza.
Gli altri due milioni di consumatori son divisi per due terzi tra chi usa cocaina e il rimanente consumatore d’eroina.
Secondo il governo le sostanze sintetiche sono una percentuale misteriosamente bassa, specie se paragonate ad altri paesi europei.
Questa presenza di sostanze illegali è, naturalmente, garantita da organizzazioni internazionali con presenza capillare in tutte le città italiane dalle scuole alle carceri e contatti, connivenze e accordi di cartello con narco-mafie transnazionali.
Ammesso, e comunque non concesso, che si possa quantificare l’ammontare di cannabis, cocaina, eroina, anfetamine, e nuove sostanze psichedeliche che circola in Italia, queste “droghe” muovono intorno ai 18 miliardi di euro.
Una “manovrina”.
Sebbene nel 2014 la Corte Costituzionale abbia annullato ampie parti della legge cosiddetta Fini-Giovanardi, perché inclusa nel decreto che finanziò le Olimpiadi invernali di Torino del 2006, gli aggiustamenti occorsi nella primavere di quell’anno, pure ristabilendo una differenza di trattamento penale tra “pesanti” e “leggere, non cancellarono totalmente le sanzioni per la detenzione e il consumo personale.
Col passare degli anni, e la disattenzione circa le priorità di politica giudiziaria in Italia - e un’inerzia da populismo penale per cui comunque occorreva far “la voce grossa” contro le droghe andando a perseguire lo spaccio, specie se effettuato da non italiani - si è tornati ad arrestare, multare e segnalare ai prefetti oltre centomila persone all’anno.
Di queste circa 15mila restano in carcere.
Un gruppo di organizzazioni non-governative, quelle che da sempre sono tra le più attente alle politiche criminogene proibizioniste (tra le altre Forum Droghe, Società della Ragione, Antigone, a Buon Diritto, Associazione Luca Coscioni e CGIL), ha recentemente presentato il X Libro Bianco sulle Droghe da cui risulta che se detenzione e uso personale venissero depenalizzati le carceri italiane tornerebbero a essere, almeno dal punto di vista del numero dei detenuti, in linea con la Convenzione europea dei diritti umani.
Senza quelle 15mila persone i nostri istituti di pena ospiterebbero infatti le 45mila persone per cui sono stati pensati.
Nelle ultime settimane, grazie alle fissazioni del ministro dell’Interno, abbiamo anche dovuto assistere a raid davanti alle scuole - i dati del Viminale pubblicati il 15 agosto scorso parlano di 13mila agenti impegnati in oltre 20mila interventi in centinaia di istituti che hanno fruttato il sequestro di 14 chili di roba - e di campagne di terrore psico-alimentare nei confronti della canapa industriale che a dicembre 2016 tutti, Lega compresa, avevano ri-legalizzato dopo una quarantina d’anni di danni economico-ambientali a molte regioni e imprenditori italiani.
Seppure legalizzata dal 2007, la prescrizione di cannabinoidi terapeutici resta molto problematica.
Manca informazione sul perché possa, eventualmente, esser prevista, su chi abbia titolo per scrivere la ricetta, dove la si possa reperire, quanto costi e, cosa ancora più grave, mancano piani nazionali o regionali di formazione degli operatori coinvolti.
Mancano infine i prodotti, lo Stabilimento Farmaceutico Militare di Firenze che dal 2015 ha avviato una coltivazione indoor di infiorescenze ricche del principio attivo CBD (non controllato a livello internazionale) non riesce a garantire il fabbisogno nazionale di 1000 chili neanche per un 15% e le somme stanziate per incrementare le importazione dai Paesi bassi e dalla Germania non consentono comunque una continuità terapeutica degna di tal nome.
Ultimo, ma non ultimo per gli intenditori, Andrea Orlando, quando era ministro della Giustizia, nel 2016 alla sessione speciale delle Nazioni unite per le droghe, ebbe parole chiare circa la necessità di riorganizzare le politiche (nazionali e internazionali) in materia di droghe attorno alle evidenze scientifiche e facendo tesoro dell’esito positivo di riforme occorse in giro per il mondo - e da allora sono entrate a regime la legalizzazione della cannabis in Uruguay e Canada, mentre Giamaica e Lussemburgo si stanno avvicinando alla meta della regolamentazione legale e una decina di Stati USA hanno visto verificarsi tutte le più rosee previsioni anti-proibizioniste.
E’ notizia, molto riservata, che l’Italia abbia manifestato l’interesse a tornare a guidare l’Ufficio ONU per le droghe e il crimine dopo la parentesi del russo Fedetoff.
Con tutti i problemi che ci sono in Italia proprio di droga ci dobbiamo occupare? Se, come si legge, la discontinuità deve essere uno dei tratti distintivi del governo che sta per nascere, niente è mai stato meno riformato che il proibizionismo sulle droghe. E una discontinuità che impatta positivamente sui comportamenti di milioni di persone non può che essere benvenuta - oltre che popolare.
Qualche spunto a legislazione vigente:
1) rinominare il dipartimento che presso la Presidenza del Consiglio oggi si chiama “per le politiche anti-droga” in “per le politiche sulle droghe”.
Quando Delrio era sotto-segretario di Palazzo Chigi era tutto pronto, recuperare quel documento sarebbe un indubbio segnale di “novità”;
2) avviare la convocazione della Conferenza Nazionale sulle droghe coinvolgendo tutti gli operatori, pubblici, privati, nazionali, internazionali e non-governativi per fare un punto su tutte le tematiche attorno agli stupefacenti proibiti;
3) presentare al Parlamento i dati raccolti nella relazione sulle droghe su consumi e criticità derivanti dalla presenza di sostanze illecite in Italia;
4) degradare bassa priorità di politica giudiziaria, la caccia di chi consumo e/o detiene sostanze illecite per fini personali;
5) rafforzare il sistema di allerta rapido per affrontare situazioni in cui arrivano partite di sostanze particolarmente pericolose;
6) potenziare la rete di servizi per le persone che hanno un rapporto problematico cogli stupefacenti, anche per scongiurare seriamente, il loro ingresso nel circuito penale;
7) adottare una definizione di ‘riduzione del danno’ incluso tre anni fai nei LEA (livelli essenziali di assistenza) nel pieno rispetto del diritto alla salute e in linea colle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità;
8) promuovere partnership pubblico-privato (arrivando gradualmente a “liberalizzare” il settore) per la produzione di infiorescenza ricche dei principi attivi THC e CBD per fini terapeutici e comunque prevedere gare d’appalto con tempi certi di consegna dei prodotti necessari;
9) promuovere studi sui derivati della cannabis a partire da quelli prodotti a
Firenze;
10) definire chiaramente le destinazioni d’uso dei prodotti a base di canapa contenenti percentuali sotto lo 0,6% di THC in modo da cancellare le incertezze - e chiaramente le persecuzioni - attorno alla produzione, commercio e uso di decine di prodotti agro-alimentari;
11) accompagnare, o lasciar procedere, il percorso parlamentare per una regolamentazione legale della cannabis e suoi derivati e una strutturale depenalizzazione dell’uso e possesso di tutte le altre sostanze oggi proibite. Ci sono validi progetti legislativi depositati da vari Deputati e Senatori, oltre che una proposta di legge d’iniziativa popolare presentata alla Camera nel 2016 e ancora valida.
Si dirà che il Segretario del Partito Democratico qualche mese fa, a domanda, ha risposto di non essere “mai stato a favore della legalizzazione della cannabis”. Posto che qui nessuno per ora gliel’ha chiesto è bene tener presente che non era neanche particolarmente incline a fare un governo col Movimento 5 Stelle…
Se discontinuità dev’essere, è bene che lo sia, e niente è più radicalmente discontinuo che rivedere decenni di politiche criminogene sulle droghe. Il presidente Conte ci pensi seriamente.
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