sabato 31 agosto 2019

Un’alleanza ecologica.

Qualche anno fa proposi ad importanti figure dell’ambientalismo italiano una riflessione che oggi è ancora più urgente, se davvero vogliamo costruire una strategia che mette al centro la sostenibilità ambientale e sociale, senza dimenticare le esperienze più radicali dei movimenti.

 

comune-info.net Paolo Piacentini

La riflessione parte da una considerazione di fondo, che sollecita da tempo anche Guido Viale con i suoi articoli , ed è che non abbiamo più tempo o almeno è sempre meno rispetto alle stesse previsioni del mondo scientifico che nell’ultimo rapporto dell’IPCC, giusto per fare l’esempio più importante, ha dato tempi strettissimi per evitare la catastrofe climatica.

Davanti ad una situazione così drammatica continuare a ragionare pensando ad una transizione di decenni da costruire attraverso una rivoluzione “ verde 4.0 “ della politica e del mondo industriale non basta.
Per carità, va bene che arrivi il documento dei top manager statunitensi o che si sviluppi in Italia la filosofia delle Benefit Corporation come è senz’altro positivo che si mettano in rete le innovazioni tecnologiche orientate alla sostenibilità ambientale e alla coesione sociale come fa da anni Symbola; la fondazione di Ermete Realacci.
Va bene tutto ma il rischio è, nonostante si parli di economia circolare e di nuovi processi produttivi in cui si da centralità al dipendente prima ancora che al profitto, di rimanere imprigionati dentro una rigenerazione e una nuova verginità di meccanismi economici che hanno bisogno, per sopravvivere, della molla consumistica e di una crescita infinita anche se dipinta di verde.
Un esempio tra tutti è quello delle auto private che viene spesso citato quando si parla di mobilità sostenibile in città. In un mio contributo sulla “ città ecologica” che uscirà prossimamente per una monografia curata dalla Rivista Testimonianze, ho avuto modo di approfondire questo tema sostenendo che la soluzione alla riduzione delle emissioni e al miglioramento della qualità della vita in città non è il rinnovo globale del parco macchine con auto elettriche ma la riduzione drastica del numero delle stesse.
Solo riducendo l’uso delle auto private e implementando una vera mobilità dolce pedonale e ciclabile integrata dal TPL ecologico possiamo pensare di abbattere seriamente le emissioni.
Oggi più che pensare ad una transizione di lungo periodo gestita da un “ capitalismo verde” bisogna incentivare, senza timidezza, tutte le forme di economia solidale ancorate ai territori e sostenibili dal punto di vista ambientale. Penso, senza andare sulla sfera planetaria, alle migliaia di esperienze che anche nel nostro Paese sono “ portatrici sane” di micro-economie diffuse e che si oppongono a modelli economici “colonizzatori” come avviene nelle nostre aree interne.
La riflessione e la proposta politica che pongo sul tavolo è come arrivare a mettere in piedi una seria alleanza tra i movimenti che si oppongono alle grandi opere e ad un certo modello socio-economico insostenibile dal punto di vista energetico e dei consumi con quel pezzo di capitalismo verde di transizione ( per me dovrebbe essere solo di transizione) di cui sono promotrici, più o meno consapevoli, alcune grandi associazioni ambientaliste ed importanti figure politiche di riferimento.
So che è difficilissimo far dialogare questi due mondi ma forse il vento della grande e drammatica crisi globale e la novità del movimento giovanile mobilitatosi sull’onda lunga di Greta, possono determinare qualche importante convergenza.
La sintesi a cui tendere con questa “ Alleanza Ecologica” che ora non può che apparire utopistica, è quella di mettere al centro le persone, l’ambiente di vita ed una economia che ingloba nella sostenibilità anche la gestione comunitaria dei beni comuni e la cura del territorio.
Un’Alleanza che prova a spostare gli interessi economici attuali, anche quelli green, verso una riduzione dei consumi a favore di un modello sociale sobrio e solidale.
La prima obiezione a questa riflessione è quella che la riduzione dei consumi determina una riduzione dell’occupazione. Proprio in questa contraddizione sta la grande sfida che abbiamo davanti. La risposta all’obiezione è dentro la consapevolezza che non ha senso parlare di giustizia sociale su scala locale e globale se pensiamo a modelli di vita sempre più “ green “ e puliti che per mantenerli hanno bisogno di perdurare il consumo di risorse sempre più limitate e quindi insufficienti per la maggior parte della popolazione mondiale.
La via stretta, ma sempre più obbligata, è quella di togliere invece di aggiungere: che l’economia sia sempre più circolare e green è cosa buona e giusta ma si deve comunque fermare la crescita dei
consumi ed anzi ridurli per sviluppare forme di vita sempre più solidali: meno lavoro, meno consumi e più tempo alla cura delle relazioni.
Può sembrare una ricetta antica ma forse oggi dovremmo applicarla davvero e la politica dovrebbe fare la sua parte.

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