Qualche anno fa proposi ad importanti figure dell’ambientalismo italiano una riflessione che oggi è ancora più urgente, se davvero vogliamo costruire una strategia che mette al centro la sostenibilità ambientale e sociale, senza dimenticare le esperienze più radicali dei movimenti.
comune-info.net Paolo Piacentini
Davanti ad una situazione così drammatica continuare a ragionare pensando ad una transizione di decenni da costruire attraverso una rivoluzione “ verde 4.0 “ della politica e del mondo industriale non basta.
Per carità, va bene che arrivi il documento dei top manager statunitensi o che si sviluppi in Italia la filosofia delle Benefit Corporation come è senz’altro positivo che si mettano in rete le innovazioni tecnologiche orientate alla sostenibilità ambientale e alla coesione sociale come fa da anni Symbola; la fondazione di Ermete Realacci.
Va bene tutto ma il rischio è, nonostante si parli di economia circolare e di nuovi processi produttivi in cui si da centralità al dipendente prima ancora che al profitto, di rimanere imprigionati dentro una rigenerazione e una nuova verginità di meccanismi economici che hanno bisogno, per sopravvivere, della molla consumistica e di una crescita infinita anche se dipinta di verde.
Un esempio tra tutti è quello delle auto private che viene spesso citato quando si parla di mobilità sostenibile in città. In un mio contributo sulla “ città ecologica” che uscirà prossimamente per una monografia curata dalla Rivista Testimonianze, ho avuto modo di approfondire questo tema sostenendo che la soluzione alla riduzione delle emissioni e al miglioramento della qualità della vita in città non è il rinnovo globale del parco macchine con auto elettriche ma la riduzione drastica del numero delle stesse.
Solo riducendo l’uso delle auto private e implementando una vera mobilità dolce pedonale e ciclabile integrata dal TPL ecologico possiamo pensare di abbattere seriamente le emissioni.
Oggi più che pensare ad una transizione di lungo periodo gestita da un “ capitalismo verde” bisogna incentivare, senza timidezza, tutte le forme di economia solidale ancorate ai territori e sostenibili dal punto di vista ambientale. Penso, senza andare sulla sfera planetaria, alle migliaia di esperienze che anche nel nostro Paese sono “ portatrici sane” di micro-economie diffuse e che si oppongono a modelli economici “colonizzatori” come avviene nelle nostre aree interne.
La riflessione e la proposta politica che pongo sul tavolo è come arrivare a mettere in piedi una seria alleanza tra i movimenti che si oppongono alle grandi opere e ad un certo modello socio-economico insostenibile dal punto di vista energetico e dei consumi con quel pezzo di capitalismo verde di transizione ( per me dovrebbe essere solo di transizione) di cui sono promotrici, più o meno consapevoli, alcune grandi associazioni ambientaliste ed importanti figure politiche di riferimento.
So che è difficilissimo far dialogare questi due mondi ma forse il vento della grande e drammatica crisi globale e la novità del movimento giovanile mobilitatosi sull’onda lunga di Greta, possono determinare qualche importante convergenza.
La sintesi a cui tendere con questa “ Alleanza Ecologica” che ora non può che apparire utopistica, è quella di mettere al centro le persone, l’ambiente di vita ed una economia che ingloba nella sostenibilità anche la gestione comunitaria dei beni comuni e la cura del territorio.
Un’Alleanza che prova a spostare gli interessi economici attuali, anche quelli green, verso una riduzione dei consumi a favore di un modello sociale sobrio e solidale.
La prima obiezione a questa riflessione è quella che la riduzione dei consumi determina una riduzione dell’occupazione. Proprio in questa contraddizione sta la grande sfida che abbiamo davanti. La risposta all’obiezione è dentro la consapevolezza che non ha senso parlare di giustizia sociale su scala locale e globale se pensiamo a modelli di vita sempre più “ green “ e puliti che per mantenerli hanno bisogno di perdurare il consumo di risorse sempre più limitate e quindi insufficienti per la maggior parte della popolazione mondiale.
La via stretta, ma sempre più obbligata, è quella di togliere invece di aggiungere: che l’economia sia sempre più circolare e green è cosa buona e giusta ma si deve comunque fermare la crescita dei
consumi ed anzi ridurli per sviluppare forme di vita sempre più solidali: meno lavoro, meno consumi e più tempo alla cura delle relazioni.
Può sembrare una ricetta antica ma forse oggi dovremmo applicarla davvero e la politica dovrebbe fare la sua parte.
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