Questi dati dell’Oms chiudono l’estate in cui si è per la prima volta certificato come il riscaldamento globale produca, tra l’altro, ondate migratorie senza precedenti, i cosiddetti profughi climatici, stimati in 143 milioni di persone entro il 2050.
Purtroppo il dramma dell’acqua ci appare sempre lontano, e anche notizie come quest’ultimo allarme dell’Oms finiscono relegate ai margini dell’agenda dell’informazione nel nostro mondo, si riducono a poche righe scampate a quello che Antonio Scurati (Dal tragico all’osceno, 2012) definì “il doppio filtro di rifiuto e disinteresse”, che è l’ineluttabile destino delle tragedie che hanno protagonisti sfortunatamente nati nel mondo povero.
Ma forse anche questo dato, pur Incredibilmente Vicino, non ci colpisce affatto Molto Forte, per dirla col celebre titolo di un romanzo di Jonathan Safran Foer, scrittore tra i più sensibili anche agli effetti del climate change. Noi italiani comodamente disponiamo di circa duemila litri d’acqua al giorno a persona, e ne sprechiamo tutti una quantità incredibile: ciò nonostante, circa otto milioni d’italiani soffrono di carenza d’acqua, sotto la soglia dei 50 litri a persona, in particolare durante i quattro mesi estivi.
Ed è proprio la siccità di fronte alla quale ci mette ormai fatalmente il riscaldamento globale che riporterà l’acqua nell’agenda pubblica. Ancora nell’ultima stagione estiva la crisi agricola seguita all’alternanza tra siccità ed episodi estremi di maltempo ha fatto sentire il suo peso nella nostra vita di tutti i giorni. Figurarsi poi se, man mano che salgono le temperature medie, si sposterà sempre più in alto la quota in cui si possono gestire coltivazioni intensive, come meleti e vigneti, che richiedono grandi quantità d’acqua, magari nelle stesse aree dove lo sconsiderato sviluppo distrut-turistico dirotta risorse idriche consistenti verso l’innevamento artificiale.
Ma, se sentite ancora indifferenza per la possibile guerra per l’acqua tra il comparto dello sci e i contadini nel Nord Est – ed è più che comprensibile -, eccovi un’altra notizia che dovrebbe farci riflettere e invece è sfuggita ai più: l’analisi delle vere radici della recessione che si sta innescando nell’economia più forte del Vecchio Continente.
Silenziata quanto un allarme dell’Oms, è filtrata solo tra le righe delle corrispondenze più attente sulla stampa specializzata, la notizia che tra i fattori della crisi tedesca si nota particolarmente – fonte Isabella Buffacchi sul Sole 24 ore – l’abbassamento del livello dei fiumi, che colpisce il settore chiave del trasporto fluviale e genera interruzioni senza precedenti anche nel ciclo produttivo della chimica, che dovrebbe essere continuo e alimentato da grandi quantità d’acqua.
La Germania è leader europeo di questo settore, con 155 miliardi di euro di fatturati sui 542 dell’intera Ue (il che fa della chimica il quarto settore manifatturiero continentale, con nove società tra le top 20 al mondo, e un decisivo contributo di 45 miliardi di euro all’avanzo di bilancio – dati Federchimica 2019). Ecco, se si pensa che la sola industria chimica italiana, che vale un terzo di quella tedesca, ha bisogno di 1300 milioni di metri cubi d’acqua l’anno per il raffreddamento degli impianti (quasi tutta di fiume e in piccola parte di mare), il ragionamento è presto fatto: man mano che la siccità toccherà le nostre tasche, oltre che le nostre abitudini di vita, ci renderemo finalmente tutti conto del dramma dell’acqua.
E anche del problema di fondo, strutturale si direbbe, del rischio estinzione del pianeta: un sistema economico ordo-liberista che, questo sì, comincia a fare acqua da tutte le parti, folle com’è nella finalizzazione al guadagno immediato di pochi, assolutamente indifferente al principio del bene comune.
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