martedì 20 agosto 2019

Allarme son fascisti.



La nostra non fa eccezione anche se, in verità, visto il livello dell’ attuale ceto politico italiano, viene quasi da ridere a utilizzare le categorie e i concetti su richiamati per descrivere lo statu quo. All’indomani della “crisetta” aperta da Salvini, si è potuto assistere a un bailamme di reazioni, corsivi, proclami e narrazioni da 25 luglio del ’43: una vera e propria canna dell’ossigeno che ha rianimato interi settori dell’informazione e dell’analisi politica, ridotti ad aspettare le esternazioni del bullo del Papeete Beach o, in subordine, di qualche altro esponente della maggioranza.
Come al solito, si è abusato del confronto con una stagione storica, il Ventennio, richiamando, spesso a sproposito,  la sua genesi e la sua fine. Si è omesso, nel migliore dei casi e occultato nel peggiore, l’attuale scenario che è sicuramente per alcuni aspetti assimilabile ma, per tanti altri, irriducibile all’epoca che ha partorito i fascismi del Novecento.

Guardando alle componenti sociali che sostanziano il governo legastellato, tornano alla  mente alcuni passaggi de Il Popolo delle scimmie di gramsciana memoria: “La piccola borghesia, anche in questa ultima incarnazione politica del “fascismo”, si è definitivamente mostrata nella sua vera natura di serva del capitalismo […], di agente della controrivoluzione. Ma ha anche dimostrato di essere fondamentalmente incapace a svolgere un qualsiasi compito storico: il popolo delle scimmie riempie la cronaca, non crea storia, lascia traccia nel giornale, non offre materiali per scrivere libri”.[A. Gramsci, Il popolo delle scimmie- Da “L’ordine nuovo”, 12 giugno 1921].
Dove rintracciare, dunque, le analogie con l’oggi? Non certo nelle parole pronunciate da Salvini con la ridicola richiesta di assunzione di pieni poteri, proclamata tra un tanga, un rosario e un infradito. Lo stesso Alberto Sordi, nella sua iperbolica caratterizzazione dell’italiano medio, sarebbe impallidito di fronte a un tale sfoggio di mediocrità! Eppure, tanti e tempestivi sono suonati gli allarmi e i rimandi ai discorsi mussoliniani, con tanto di riferimento a bivacchi di manipoli e molto altro ancora…  Parodiando il più noto “Allarmi siam fascisti!” abbiamo ascoltato, al ritmo martellante della grancassa mediatica,  e solo per qualche giorno, il grido di battaglia “Allarmi SON fascisti!”. Tempo di aprire le trattative tra PD e 5stelle e i fascisti sono stati declassati a “barbari”.  Stupisce, si fa per dire, il fatto che i giornali maistream della sedicente sinistra, abbiano rispolverato tempestivamente un antifascismo d’occasione, dopo anni di legittimazione di revisionismo storico alla Violante e di omologazione  di memorie in concorrenza. Non dobbiamo certo dimenticare che l’apripista nello sdoganamento istituzionale del fascismo è rappresentato dal seguente famigerato discorso: “Mi chiedo se l’Italia di oggi non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri. Non perché avessero ragione, o perché bisogna sposare, per convenienze non ben decifrabili, una sorta di inaccettabile parificazione tra le due parti. Bisogna sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e della libertà”. [L. Violante – discorso pronunciato in occasione del suo insediamento come presidente della Camera].
Tornando alla domanda iniziale, le analogie sono rintracciabili nel fatto che la base di consenso della compagine gialloverde è rappresentata da buona parte della piccola e media borghesia italiana, ingrossata da quote significative di elettori provenienti dai settori popolari.
Il popolo delle scimmie, servo del capitale, come l’araba fenice,  è ritornato: questa volta però, sotto l’insegna del “cambiamento” dell’ Unione Europea. Dalla calata di brache sulla finanziaria a Bruxelles, passando per il sì al TAP e  al TAV , il “governo del cambiamento” ha dimostrato, in realtà, di essere totalmente subalterno alle logiche del capitale.
Una subordinazione dovuta all’incapacità della piccola e media borghesia di costruire un’alternativa politica. D’altronde, la classe dirigente del m5s, che si definisce “né di destra né di sinistra”, alla fine, ha preferito allearsi con la media borghesia produttiva del Nord, tradendo così le reali istanze di cambiamento per le quali era stata investita anche da alcune frange dei settori popolari. Non si deve dimenticare che, negli ultimi anni, le periferie delle grandi città hanno garantito un significativo appoggio ai pentastellati.
Per inciso, quello stesso movimento che per convenienza tattica  aveva rimosso la  parola “destra”, diventando organico alle politiche fascioleghiste, adesso introduce  nel suo vocabolario il succitato termine con annessi e connessi pericoli e allarmismi.
Tornando ancora alla questione fondamentale, se esistano analogie con il Ventennio, vale la pena riprendere quanto scriveva Franco Fortini nel 1962: “C’è ancora il fascismo? C’è. Ha ritrovato il suo viso di 50 anni fa. Prima delle camicie nere, il viso della conservazione che sul mercato politico offre ancora a buon prezzo gruppetti provocatori, perché il poco fascismo visibile mascheri il molto fascismo invisibile[…]
Il viso della conservazione, efficacemente descritto da Fortini rivive anche nel momentaneo recupero piddino e pentastellato di uno spirito resistenziale, del tutto strumentale.  Ecco che i fascisti sono gli altri. Non importa se il decreto Salvini bis sia in stretta continuità con quello del dem  Minniti, padre ispiratore della stretta securitaria/autoritaria; così come non importa l’averlo votato in parlamento da parte dei maestri di camaleontismo a cinque stelle. Ora fascisti sono gli altri e il noto motto mussoliniano conosce una rapida trasfigurazione in “Allarmi SON fascisti!”
Il contesto storico sociale è però decisamente diverso da quello che ha preceduto l’ascesa del fascismo. È totalmente evaporata la paura del bolscevismo o di qualsiasi altro cambiamento radicale e, d’altro canto, siamo al punto più basso della coscienza di classe. Oggi i settori popolari, a differenza di allora, non hanno una loro autonoma capacità di elaborazione e di rappresentanza politica ma si affidano, spesso, ad altre classi sociali, subordinandosi a interessi che non sono i loro.
In questo contesto liquido e melmoso al tempo stesso, affonda facilmente le mani la borghesia, facendo il gioco delle tre carte e plasmando il consenso a proprio uso e consumo.
Dietro la proclamata unità a sinistra e i richiami a un novello CLN (leggi grande ammucchiata col PD) si sta consumando uno scontro tutto interno alla borghesia (vedi analogie nelle politiche migratorie, accordi su TAV, autonomia differenziata, politiche del lavoro, repressione della protesta sociale, tentativi di distruzione della Costituzione antifascista e tanto altro…). Cambiano i leader ma non cambiano le politiche imposte dalla governance europea (da ricordare la succitata calata di brache di Salvini e Di Maio a Bruxelles con l ‘ultima finanziaria).
Il gioco della borghesia è chiaro: continuare a sfornare leader per poi bruciarli, dando l’impressione che esista la sovranità popolare e che abbia potere decisionale. Intanto, la grande borghesia fa i suoi affari, utilizzando ora Renzi, ora Macron, ora Salvini, domani il governo che verrà.
Che questa sia una lezione per quei settori popolari che, nella loro giusta opposizione alle politiche di austerità imposte dal PD e dalla UE, si sono affidati alle promesse di “cambiamento” dei leghisti e dei pentastellati, per poi scoprire che la media borghesia è totalmente subalterna agli interessi del grande capitale e non può prescinderne.
Basta con la ricerca di leader messianici e movimenti salvifici, ora è tempo di costruire una rappresentanza politica di classe che persegua una reale emancipazione sociale dei settori popolari.

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