Per rafforzare il suo impegno,
il governo ha firmato un memorandum di intesa con l’Alleanza contro la
povertà relativamente ai criteri che dovranno informare i decreti
attuativi e il monitoraggio della misura su tutto il territorio
nazionale, in modo da garantire omogeneità dei diritti e dei doveri a
prescindere dal luogo di residenza. Ha così riconosciuto all’Alleanza un
ruolo di interlocuzione analogo a quello tradizionalmente riconosciuto
alle parti sociali in materia di regolazione del mercato del lavoro. È
un passo importante. Anche se è auspicabile che, accanto
all’interlocuzione con l’Alleanza, il governo rafforzi quella con gli
enti territoriali che, applicando concretamente la misura, possono
vederne direttamente le criticità sul piano applicativo e dell’equità.
Alcune di queste criticità, emerse
nell’applicazione del Sia, sono oggetto del memorandum. È il caso, ad
esempio, del meccanismo per cui, tenendo conto solo dell’Ise e non anche
del reddito effettivamente disponibile, chi possiede una abitazione di
qualsiasi tipo viene attualmente escluso dal sostegno anche se
l’abitazione non ha mercato e la famiglia ha un reddito bassissimo. Per
ovviare a questo, il memorandum impegna il governo a utilizzare entrambe
le misure, con due soglie diverse. Per non scoraggiare chi trova un
lavoro, anche se a orario parziale e a basso compenso, il memorandum
impegna a individuare un meccanismo per cui a ogni euro guadagnato non
corrisponda un euro di sostegno tolto, almeno fino ad un certo livello.
Impegna, inoltre, il governo a stanziare risorse proprie per i servizi
di accompagnamento che costituiscono parte integrante del Rei, non
caricandone la spesa esclusivamente sugli enti locali, con il rischio di
svantaggiare proprio i più poveri di risorse.
Vi sono tuttavia altre criticità che nel
memorandum non sono affrontate, o solo di passata e in modo non
chiarissimo e che vanno invece chiarite in sede di decreti attuativi.
Non mi riferisco al fatto che i fondi stanziati copriranno, ad andar
bene, solo circa la metà dei poveri assoluti, obbligando quindi a fare
delle graduatorie tra poverissimi. Mi riferisco a problemi interni al
modo in cui si sta procedendo a definire il Rei. Ad esempio non è
affatto chiaro se sostituirà, come logica vorrebbe, tutte le misure di
sostegno economico oggi in essere e che oggi si rivolgono a platee in
parte diverse e con criteri differenti. Lo stesso importo massimo del
Rei, definito nel memorandum in rapporto alla pensione sociale, non
tiene conto che questa si riferisce ad una persona sola, non a famiglie
di due o più componenti, i cui bisogni quindi vengono parecchio
sottovalutati. Non vi è, inoltre, nessuna indicazione circa lo strumento
concreto che verrà utilizzato: di nuovo una carta acquisti, quindi
vincolata al consumo, o invece denaro, come avviene in tutti i paesi che
hanno uno strumento di sostegno al reddito per i poveri e come è
auspicabile, non solo al fine di riconoscere l’autonomia decisionale dei
beneficiari, ma perché spesso la prima difficoltà di chi è in povertà
riguarda il pagamento dell’affitto e delle bollette, non del cibo o dei
detersivi. Infine, nell’enfasi sul lavoro come unica forma di
integrazione sociale, si ignora che avere una occupazione non sempre è
sufficiente per uscire dalla povertà: il 4, 8% dei lavoratori vive in
una famiglia in povertà assoluta.
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