In questi giorni sta crescendo una polemica assurda. Da più parti, anche di rilevo istituzionale, arrivano continui attacchi alle Ong
che svolgono operazioni di soccorso in mare. Al largo della Libia e
dove salvano migliaia di vita umane.
Come ben ricostruito da
Annalisa Camilli su Internazionale
le Ong lavorano a stretto contatto con la Marina Italiana e le
Capitanerie di Porto, nonché con la missione della Guardia di Finanza.
Il
60% dei salvataggi sono fatti da organismi militari, il resto è di
sostegno alla missione istituzionale, da Ong.
I salvataggi sono coordinati dalla centrale operativa della guardia costiera a Roma, non
dal miliardario Soros
o dagli UFO. I nostri politici dovrebbero subito dunque fare
un'interrogazione contro la Marina e le Capitanerie di Porto
imponendogli di non rispondere mai agli SOS proveniente dal mare,
violando una delle regole di base del mare.
Stabilito
questo punto di partenza possiamo analizzare il perché le Ong si
debbano occupare di compiti che spetterebbero alle istituzioni. Ci si
chiede, pretestuosamente,
da dove vengano i soldi per condurre queste
operazioni quando basta andare sui siti delle Ong stesse per vederne dei
bilanci certificati e basterebbe chiamarle per chiedere chi siano il
tipo di donatori che sostengono queste operazioni. Ovviamente MSF, ad
esempio, va bene se apre una clinica in Italia per sopperire al sacco
della sanità pubblica operato dalla nostra classe politica. Ed in questo
caso non si chiede da dove vengano i soldi per i servizi a cui accedono
anche moltissimi italiani. Mentre ci si insospettisce se allestisce una
nave per salvare vite umane.
A
questi politici va ricordato che la distruzione dello stato sociale, che
a nessuno piace, tantomeno alle Ong, ha comportato enormi vuoti nella
fornitura di servizi in Italia. Se non ci fossero le Ong ci sarebbe
un'emergenza incalcolabile. E già si fanno i salti mortali e si opera
spesso senza sostegno pubblico. Basterebbe che chi attacca le Ong si
facesse un giro in quella tragedia che è diventata la Stazione Termini a
Roma. Con accampamenti spontanei di persone, italiane e straniere,
povertà diffusa, sporcizia, topi ovunque. Una fogna a cielo aperto dove
gli unici che portano un pasto caldo la sera sono le Ong e le
parrocchie. La spina dorsale di quello che rimane della solidarietà
italiana.
A più riprese si sentono illazioni ignoranti di politici che mai si sono sentiti esprimere sulla
dittatura in Etiopia, sul
traffico di migranti in Libia. Sulle speculazioni petrolifere nel
Delta del Niger.
Ovvero sui fattori reali che spingono migliaia di persone a lasciare le
loro case. Rischiare la vita, camminare nei deserti e farsi
schiavizzare in Libia pur di intravedere forse un giorno l'Europa.
Chi
scrive conosce sia le missioni di salvataggio in mare, sia la Libia,
sia l'abominio delle dittature e delle ingiustizie nei molti sud del
mondo che producono profughi ogni giorno. Quest'ondata di sospetti sulle
Ong è foriera solo di rendere il Mediterraneo ancor di più un cimitero
di naufraghi.
Sono
migliaia le persone che ad oggi hanno perso la vita in mare. Anche e
molto prima che le Ong si mobilitassero. E quando morivamo sui barconi,
invece che sui gommoni, questo non ha fermato nessun migrante nella sua
strada verso l'Europa, di cui l'Italia è la porta. L'OIM ha stimato in
più di
20.000 le persone morte
nel Mediterraneo dal 2000. Le missioni umanitarie delle Ong sono
partite nel 2015, dopo che era stata fermata la missione Mare Nostrum.
È vero che ci sono state molte speculazioni sulla pelle dei migranti, tra cui le inchieste sul
CARA di Mineo
o Mafia Capitale. Speculazioni che hanno coinvolto pezzi del sociale
italiano. Ma è anche vero che il mondo delle Ong è fatto in gran parte
di persone coraggiose e che non si arricchiscono. Che sono come i nostri
operatori alle porte di Raqqa e di Mosul ad aiutare le vittime di
Daesh, o passano mesi in mare a salvare persone che stanno affogando.
Chi parla a vanvera delle operazioni nel Mediterraneo dovrebbe farsi una
settimana con il mare grosso rincorrendo chi naufraga o dovrebbe vedere
con i propri occhi un gommone pieno di persone affondare.
È
vero che è tempo di elezioni e dare addosso ai più deboli, ed a chi li
aiuta, crea facile consenso. Però vorremmo umilmente dire che se tutte
le Ong si fermassero per una settimana dal loro lavoro come gesto di
protesta verso questi attacchi irresponsabili, forse sarebbe meglio.
Sarebbe il momento in cui ognuno si prende le proprie responsabilità. I
politici che attaccano si potrebbero assumere quella dei migranti che
comunque verrebbero verso l'Italia.
È
vero però che nessuno di noi delle Ong si fermerà. Perché non abbiamo
il coraggio di lasciare nessuno indietro. Di pensare con indifferenza a
chi affoga in viaggio verso l'Italia o fugge dalla guerra. Noi ci
indigniamo ancora di fronte alle ingiustizie. Ed agiamo.
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