Il 27 aprile di ottant'anni fa moriva Antonio Gramsci,
uno dei più grandi pensatori del Novecento italiano. Nato ad Ales, in
Sardegna, nel 1891, si era trasferito a Torino per gli studi,
avvicinandosi al movimento socialista.
Francesco Marchiano'
Politologo
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World History Archive / AGF
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Dopo la Rivoluzione russa,
aderisce al programma di Lenin e con il gruppo di compagni della rivista
l'Ordine nuovo, fonda nel 1921 a Livorno il Partito comunista italiano
divenendone uno dei dirigenti principali. Nel 1926 viene arrestato dal
regime fascista e rinchiuso in carcere dove scriverà la
Lettere e i
Quaderni e dal quale uscirà, gravemente provato dalla malattia, solo per morire pochi giorni dopo, nel 1937.
A
ottant'anni dalla morte, Gramsci vive ancora oggi un terribile
paradosso: pur essendo stato uno dei più acuti e critici osservatori
della politica, della storia, della cultura e della letteratura del
nostro Paese, risulta più apprezzato all'estero che in Italia dove
sembra che la sua opera e la sua figura siano avvolte da un alone di
pregiudizio, come tale ottuso, che non ne favorisce lo studio e la
diffusione.
Per ricordarlo, sono da segnalare un libro da poco uscito e un convegno in programma per oggi. Il libro si intitola
Gramsci chi? Dicono di lui, edito da Bordeaux, curato da
Lelio La Porta,
studioso appassionato di Gramsci. Si tratta di un volume utile per
tutti, soprattutto per quanti incontrano Gramsci per la prima volta, ma
non solo.
Dopo
una sintetica introduzione alla vita e alle opere, con opportuni
riferimenti bibliografici essenziali, La Porta raccoglie scritti di
artisti, giornalisti, politici e studiosi, non tutti gramsciani, che
parlano di Gramsci, da Piero Gobetti a Dario Fo, passando per Giuseppe
Fiori, Emilio Lussu, Giuseppe Prestipino, Camilla Ravera, Paolo Spriano,
Aldo Tortorella.
Tra i
vari contributi, ci sono alcuni che vale la pena di segnalare. Per
esempio quello di Benedetto Croce che nel 1947, recensendo le
Lettere dal carcere
, nei "Quaderni della critica", ricordava come esse appartenessero non
al Partito comunista, ma anche "a chi è di altro od opposto partito" e
ciò, secondo Croce, per una duplice ragione:
per
la reverenza e l'affetto che si provano per tutti coloro che tennero
alta la dignità dell'uomo e accettarono pericoli e persecuzioni e
sofferenze per un ideale, che è ciò che Antonio Gramsci fece con
fortezza, serenità e semplicità, talché queste sue lettere dal carcere
suscitano orrore e interiore rivolta contro il regime odioso che lo
oppresse e soppresse.
Belli
anche i testi di Togliatti che definisce Gramsci come "la coscienza
critica di un secolo di storia del nostro paese", e di Enrico Berlinguer
per il quale
Gramsci
parla ancora oggi a tutti gli intellettuali, a tutti i democratici, a
tutte le forze di progresso che emergono e si affermano nella società.
L'esempio di Gramsci ci esorta tutti a combattere, a non disarmare, a
costruire il nuovo.
Un
grande convegno nazionale si terrà durante la giornata di oggi, invece,
a Roma nella Sala Gonzaga dei Musei Capitolini dal titolo
Egemonia.
L'auspicio è
che queste e altre iniziative contribuiscano a togliere Gramsci dal
paradosso del quale si diceva all'inizio. Si può, a tal proposito,
concordare con la parole di Lelio La Porta:
è
necessario portare Gramsci fuori dai luoghi di discussione
specialistica, introdurlo nelle aule delle scuole medie e medie
superiori italiane, farlo conoscere ai nostri giovani e a quanti di lui
hanno scarsa conoscenza o in quanto lo ritengono quasi un reperto
archeologico riconducibile a chissà quale era geologica, utilizzando nei
suoi confronti un pregiudizio ideologico che, francamente, non ha più
ragione di essere o in quanto pensano, appunto, che soltanto pochi
addetti ai lavori siano in grado di comprendere ciò che ha scritto.
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