E’ a partire da questa contraddizione che si è discusso a Roma nella prima “conferenza operaia” della Usb. Il sindacato confederale di base negli ultimi anni è cresciuto parecchio non solo nelle fabbriche ma anche negli altri anelli decisivi della catena del valore – logistica e grande distribuzione soprattutto. Ed ora si pone, correttamente, il problema di come ricomporre le figure operaie diffuse che questa catena, assai più lunga della catena di montaggio, ha visto crescere sia quantitativamente che in termini di conflitto sociale e vertenziale. Insomma chi sono e come lavorano gli “operai” del XXI Secolo nel nostro paese?
Per cominciare a dare un quadro generale e delle risposte utili sul piano conflittuale, nel quadro della conferenza operaia dell’Usb, è stata presentata l’inchiesta dal titolo “La grande fabbrica. Dalla catena di montaggio alla catena del valore” curata dal Cestes, il centro studi dell’Usb. Ottanta pagine ricche di dati, grafici e considerazioni sulla collocazione dell’Italia nella divisione internazionale del lavoro a livello europeo, sugli effetti della delocalizzazione produttiva e del boom dei servizi esternalizzati in funzione delle imprese, infine, ma non per importanza, sulla offensiva ideologica della borghesia (e della sinistra politically correct) che ha fatto scomparire la classe operaia non solo come soggetto sociale, ma anche come identificazione collettiva di un ruolo dentro la società (e di conseguenza del conflitto di classe che si produce), dunque azzerando il nesso tra organizzazione, identità e coscienza di classe.
I lavori sono stati introdotti da Paolo Sabatini dell’esecutivo nazionale dell’Usb. Subito dopo ci sono state le relazioni dei curatori dell’inchiesta, Rita Martufi , Luciano Vasapollo, Mauro Casadio, seguiti dagli interventi degli attivisti e responsabili sindacali nelle varie categorie: Sergio Bellavita (metalmeccanici), Riad Zaghdane (logistica), Francesco Iacovone (distribuzione) e poi dai delegati delle grandi fabbriche come Simone Selli (Piaggio) e Francesco Rizzo (Ilva), Giovanni Giovine (Alenia) o dei migranti impegnati nella durissima lotta dei braccianti nel Meridione. Fabrizio Tomaselli ha sottolineato l’importanza del momento richiamando all’attenzione il referendum in corso tra le lavoratrici e i lavoratori dell’Alitalia su un accordo sul quale sono chiamati a pronunciarsi con la pistola puntata alla tempia. Le conclusioni sono state tirate da Emidia Papi, pioniera del sindacalismo di base nelle fabbriche metalmeccaniche fin dalla fine degli anni ’70.
Gli spunti di riflessione e discussioni sono stati innumerevoli, a conferma di una complessità di fase storica anche per un sindacato che rifiuta di essere parte del problema come sono ormai Cgil Cisl Uil Ugl. Insomma un sindacato che fa conflitto ma anche un sindacato “che ragiona” sulle tendenze della realtà e la realtà con cui è costretto a misurarsi in un mondo del lavoro frammentato, troppe volte abituatosi alla sconfitta e che le classi dominanti vorrebbero eternamente subalterno ad una visione del mondo e delle relazioni sociali immutabile. Spezzare questo meccanismo significa individuare la “chiave inglese” da infilare nella catena del valore del XXI secolo, così come quella che veniva infilata nella catena di montaggio e che bloccava la produzione consentendo la riuscita degli scioperi e il potere contrattuale dei lavoratori. Secondo alcuni questa chiave inglese è la soggettività organizzata e la capacità di bloccare gli interessi capitalistici lì dove il sistema è più sensibile: la circolazione delle merci, dunque la logistica e la distribuzione.
Ma molte delle questioni sollevate – tra l’altro questa è solo la prima parte dell’inchiesta operaia annunciata dal Cestes – verranno riprese, approfondite e diventeranno programma d’azione nel congresso nazionale dell’Usb ormai alle porte (10-11 giugno).
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