Mai come nel processo contro Mafia Capitale si sono avute tante prove per dimostrare la corruzione tra funzionari pubblici e imprenditori corrotti: dalle migliaia di pagine di intercettazioni, dai pedinamenti e grazie alle microspie e agli accertamenti finanziari, emerge un insieme di prove che è il “karaoke della corruzione“. Il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Luca Tescaroli avevano chiuso così la penultima parte della requisitoria del processo ai 46 imputati da due anni alla sbarra nell’aula bunker di Rebibbia. Una mafia nuova senza apparirlo davvero, che ha fatto il salto di qualità passando dalla strada agli appalti e che non ha bisogno di imporre la propria forza con la violenza, perché può contare su un “capitale criminale originario” che ha le radici in quella Roma in cui comandavano la banda della Magliana e l’eversione nera. Una mafia che ha retto alla prova del processo perché “totalmente inattendibili” i principali imputati, Salvatore Buzzi e Massimo Carminati.

Chiesti complessivamente 515 anni di carcere per 46 imputati
Un quadro così complesso ha portato a richieste di pena severe. Secondo i pm Carminati deve essere condannato a 28 anni di carcere: l’ex Nar è ritenuto dalla procura il capo e l’organizzatore dell’associazione mafiosa. Quando il pm ha chiesto che fosse riconosciuto come delinquente abituale l’imputato ha alzato le braccia al cielo in segno di vittoria. A Salvatore Buzzi, il ras delle Cooperative, secondo la procura devono essere inflitti 26 anni e 3 mesi di carcere. L’aggiunto Ielo e i sostituti Giuseppe Cascini e Tescaroli, hanno impiegato quattro udienze per indicare le prove e le verifiche effettuate che sono alla base delle loro richieste. Diciannove anni e 6 mesi invece la richiesta per Luca Gramazio, ex consigliere prima del comune di Roma e poi della Regione Lazio per Forza Italia, e 21 anni per Franco Panzironi, ex ad di Ama. Le accuse per i 46 imputati, vanno, a seconda delle posizioni, dalla corruzione, alla turbativa d’asta, l’usura, fino all’associazione mafiosa. Il gruppo, secondo la procura di Roma, avrebbe condizionato per anni, con tangenti e minacce la gestione di appalti e risorse della pubblica amministrazione. Sono complessivamente 515 gli anni chiesti.
A 19 dei 46 imputati, tra cui Carminati, Buzzi, Panzironi, Gramazio, Brugia e Testa, la procura contesta l’associazione di stampo mafioso. La procura ha poi chiesto per Riccardo Brugia 25 anni e 10 mesi; per Franco Testa 22 anni; per Cristiano Guarnera 16 anni; per Giuseppe Ietto 16 anni e 2 mesi; per Agostino Gaglianone 18 anni; per Carlo Pucci 19 anni; per Roberto Lacopo 21 anni; per Matteo Calvio 21 anni; per Nadia Cerrito 18 anni (segretaria di Buzzi); per Carlo Maria Guarany 19 anni (imprenditore); per Alessandra Garrone 18 anni e 6 mesi; per Paolo Di Ninno 19 anni; per Claudio Caldarelli 19 anni; per Rocco Rotolo 16 anni; per Salvatore Ruggiero 16 anni; per Claudio Bolla 9 anni; per Emanuela Bugitti 9 anni; per Stefano Bravo 4 anni e 2 mesi; per Mario Cola 4 anni; per Mirko Coratti 4 anni e 6 mesi (presidente dell’Assemblea capitolina, Pd); per Sandro Coltellacci 9 anni; per Michele Nacamulli 3 anni e 6 mesi; per Giovanni De Carlo 4 anni; per Antonio Esposito 4 anni; per Giovanni Lacopo G. 7 anni; per Franco Figurelli 4 anni e 10 mesi; per Claudio Turella 7 anni; per Giovanni Fiscon 5 anni; per Guido Magrini 4 anni; per Giuseppe Moiani 6 anni; per Sergio Menichelli 4 anni; per Marco Placidi 4 anni; per Mario Schina 4 anni; per Angelo Scozzafava 5 anni; per Fabio Stefoni 4 anni; per Andrea Tassone 4 anni (presidente del X municipio di Ostia, Pd); per Giordano Tredicine 4 anni (vicepresidente dell’assemblea capitolina, Fi); per Luca Odevaine 2 anni e 6 mesi; per Pierpaolo Pedetti 4 anni (presidente della commissione Patrimonio e politiche abitative, Pd); per Tiziano Zuccolo 3 anni 6 mesi; per Daniele Pulcini 3 anni; per Pierina Chiaravalle 4 anni.
L’aggiunto Ielo: “Appalti pubblici gestiti come fette di caciotta”
“La fama criminale determina paura, assoggettamento e omertà, che sono le caratteristiche di un’organizzazione mafiosa”, sostiene l’accusa, secondo cui era questo aiuto che l’imprenditore Salvatore Buzzi si assicurava pagando il 50 per cento degli utili a Massimo Carminati: secondo i pm l’imprenditore aveva scelto il ‘cecato’ per il timore che incuteva il suo nome, per i suoi contatti con la destra romana, e soprattutto per avere un socio sempre pronto al ‘lavoro sporcò fatto di minacce, e violenza contro chi non stava ai patti dettati dall’associazione. Una organizzazione in cui tutti i componenti “avevano la consapevolezza di farvi parte” e per tutti era ben chiaro il ruolo da svolgere secondo la procura di Roma. Carminati, il ‘portatore’ di violenza con passato criminale, Buzzi “che mette a disposizione un capitale istituzionale e i rapporti con la ‘ndrangheta”. Le “cerniere” con la politica garantite da Panzironi e Gramazio. Quella struttura criminale tracciata dall’accusa e che, a detta della Procura, “regge dal 2011” non uscendo “depotenziata” dalle oltre cento udienze del processo. “Gli appalti della pubblica amministrazione sono stati gestiti come fette di una caciotta, un qualcosa da spartire e non certo facendo attenzione al bene comune – ha detto Ielo – in questa storia, in nome dell’emergenza si è passati troppe volte sopra le regole”.
Difesa Buzzi: “Ennesima forzatura della Procura”
“L’entità delle pene richieste non ci stupisce ma troviamo esagerate quelle fatte nei confronti di alcuni soggetti ritenuti solo partecipi e non promotori della presunta associazione mafiosa come il benzinaio Roberto Lacopo per il quale hanno chiesto ventuno anni di reclusione – dice l’avvocato Ippolita Naso, difensore di Carminati -. Ora la parola passa alle difese e non vediamo l’ora di poter replicare alle argomentazioni dei pubblici ministeri“.
“Con assoluta serenità assistiamo a questa ennesima forzatura con la quale la Procura della Repubblica di Roma ha chiuso il processo di Mafia Capitale. Le richieste di pena – affermano in nota gli avvocati Alessandro Diddi e Pier Gerardo Santoro, difensori di Buzzi -dimostrano come la Procura abbia perso una grande occasione per riparametrare il trattamento sanzionatorio richiesto alle esatte dimensioni di un fenomeno che il dibattimento ha dimostrato non avere nessuna somiglianza a quello mafioso. Il dibattimento ha praticamente demolito tutti gli elementi accusatori delineati nel corso delle indagini. Spiace – concludono – che una Procura cosi attenta e autorevole non abbia saputo cogliere l’occasione, con la pacatezza che un impegno tanto importante avrebbe richiesto, per ricondurre nei giusti confini le vicende di un imprenditore che nel corso degli anni ha dovuto barcamenarsi tra le costanti e continue richieste provenienti dalla politica“.
Sentenza entro la prima metà di luglio
Dopo le richieste dell’accusa, le udienze del 2 e 3 maggio saranno dedicate alle parti civili e dall’8 maggio inizieranno le arringhe difensive: ogni settimana verranno prese in esame 12 posizioni processuali, a cominciare da quelle con il minor numero di capi d’accusa. A giugno prenderanno la parola gli avvocati delle persone ritenute a capo della presunta associazione: il 5 e il 6 giugno, in particolare, sono previsti gli interventi degli avvocati Alessandro Diddi e Piergerardo Santoro, per gli imputati Salvatore Buzzi, la sua compagna Alessandra Garrone, il commercialista Paolo Di Ninno, e la sua collaboratrice Emanuela Bugitti. Mentre il 12 e il 13 giugno saranno gli avvocati Bruno e Ippolita Naso a parlare, davanti alla corte presieduta da Rosanna Iannello, per Massimo Carminati, e i suoi stretti collaboratori Fabrizio Franco Testa e Riccardo Brugia. Se verrà rispettato il calendario fin qui stabilito, la sentenza potrebbe arrivare entro la prima metà di luglio. 
Lo scorso 7 febbraio il gip di Roma ha archiviato 113 posizioni: tra cui Gianni Alemanno e Nicola Zingaretti come richiesto dalla Procura.  Il processo a Mafia Capitale “ha resistito ad ogni usura probatoria”: l’associazione mafiosa contestata agli imputati è “la stessa del 2011. Non si è sgonfiato nulla” aveva detto Ielo all’inizio della requisitoria sottolineando che le tante archiviazioni sono state fatte perché “c’erano
duplicazioni, mentre altre posizioni generavano da dichiarazioni di Buzzi che richiedevano verifiche”. “Il cuore” del processo, aveva aggiunto Ielo, sono le intercettazioni. Telefonate “spontanee e credibili” che la procura chiede al Tribunale di ascoltare di nuovo: “sentitele e diteci se quello è il tono di quattro chiacchiere di amici al bar”. Ielo aveva anche risposto indirettamente a Carminati che nel suo interrogatorio aveva detto di essere ancora in guerra. “La procura non è in guerra con nessuno – aveva sottolineato – l’azione penale si è esercitata per tutti”. Dunque “l’ufficio non ha giocato barando, in questo come in altri processi”.