Vogliamo dirlo subito evitando giri
di parole, preamboli e arzigogoli. Lo affermiamo perché delle connessioni tra criminalità, politica e neofascisti
ci siamo occupati a fondo e con largo anticipo sia rispetto
all’inchiesta della magistratura che ad iniziative editoriali come
“Suburra”. Mentre nel Pd romano c’era chi avviava alleanze trasversali
con la destra, il nostro giornale segnalava le numerose connessioni tra il milieu neofascista e la criminalità nella Capitale.
Le
condanne tombali richieste dalla requisitoria dei pm nel processo
contro il network di Buzzi, Carminati etc. appaiono per un verso
sproporzionate ai reati contestati, per un altro un tentativo di
legittimazione sul piano penale di una ipotesi – quella
dell’associazione mafiosa – che ha solo scalfito, e molto parzialmente,
il sistema politico/criminale che imbriglia la vita economica e sociale
della città.
La
tesi sostenuta dai pm è che su Roma agiva una organizzazione di stampo
mafioso che ha diretto, inquinato, determinato appalti e finanziamenti
nell’area grigia del “terzo settore”, quello prosperato con la
sistematica de/responsabilizzazione dei soggetti pubblici (Comune,
Regione, governo) dalla gestione dei servizi sociali e con lo
smantellamento dei sistemi di welfare.
Si
è trattato di una associazione mafiosa che, a detta dei magistrati, a
Roma non ha avuto bisogno della coercizione e della violenza
caratteristica delle organizzazioni mafiose nel Meridione, perché
l’humus su cui agiva (consiglieri comunali, assessori, dirigenti e
funzionari) era “bendisposto” ad accettare tutte le proposte che gli
venivano fatte, dovendo discutere solo sul “quanto” sarebbe spettato di
competenza nella spartizione dei finanziamenti di ogni soggetto del
sistema corruttivo. Insomma agitare, e solo agitare, l’intervento dello
“spezzapollici” è stato spesso superfluo o più che sufficiente per
produrre un sistema integrato che, tramite cooperative sociali, ha
gestito i servizi di competenza del Comune di Roma su accoglienza
migranti, campi rom, pulizia urbana, “esternalizzati” in nome del
risparmio e dei tagli di bilancio.
E’
fin troppo evidente che quanto rivelato dall’inchiesta su Mafia
Capitale non sia una “falla” del sistema ma la struttura “normale” del
sistema stesso, quello che dagli anni Novanta in poi, tramite il boom
del terzo settore, ha via via sostituito il welfare di competenza e
responsabilità delle istituzioni pubbliche. Questo boom è stato la
conseguenza pratica di una ideologia – la sussidiarietà alla rovescia –
incubata dall’intreccio tra il mondo cattolico (democristiano) e quello
delle cooperative “di sinistra” (ex Pci, poi Pd).
Dentro
questa zona grigia, hanno prevalso o i grandi gruppi del mondo
cooperativo (Lega Coop e Confcooperative) o le holding di cooperative
sociali più spregiudicate che hanno via via “cannibalizzato” quelle più
piccole. Il mondo di Buzzi è questo e non altro. Le sue connessioni
politiche sono dentro questo magma a cavallo tra politici ex
democristiani e ex pci dell’ultima generazione (i "peggiori").
Diverse
sono invece le connessioni politiche e affaristiche di Carminati. Un
killer neofascista che ben rientra nella filiera degli “uomini neri”
disponibili a fare il lavoro sporco ovunque gli venisse richiesto: dalle
rapine agli omicidi, dal cecchinaggio nella guerra civile in Libano
alle compartecipazione negli affari del “tesoretto nero” dei neofascisti
italiani a Londra.
Quella
di Carminati non è la zona grigia del terzo settore, ma la zona nera di
connessione tra neofascisti e malavita emersa sistematicamente in
decine di inchieste e fatti di cronaca nera che abbiamo ampiamente
documentato anche sul nostro giornale.
Questa
convergenza tra zona grigia e zona nera, tra il mondo di Buzzi e quello
di Carminati può essere considerata una associazione mafiosa?
Rispondere positivamente significa due cose diverse: accettare
l’impianto accusatorio dei pm e quindi condanne tombali oppure accettare
l’idea che questa sia solo una distorsione del sistema, dunque una
sorta di capro espiatorio, una catarsi per liberare dalle mestastasi un
organismo che si vorrebbe sano, addirittura virtuoso.
Ma
chi vive, indaga e conosce la vita economica e sociale di Roma sa
benissimo che il “malaffare” strutturale non alligna nei bassifondi del
“mondo di sotto” ma nei salotti del “mondo di sopra”, che non si
incontra nei locali delle cooperative sociali ma nei ristoranti di lusso
o nei circoli sportivi esclusivi.
Non
è un caso che siano saltati i più modesti patti “della coda alla
vaccinara” (sui rifiuti) o della “carbonara” (sulle cooperative sociali)
realizzati da esponenti politici di centro-destra e centro-sinistra
piuttosto che gli accordi multimilionari sulla cementificazione a Tor di
Valle, sui Piani di Zona, sui Punti Verde Qualità, sulla Metro C.
Nonostante su alcuni di questi ci siano inchieste della magistratura,
non si è ancora approdato a nulla.
Al
contrario l’enfasi su Mafia Capitale, che ha messo le mani sulle
briciole, è servita più ai titoli di prima pagina che alle soluzioni sui
mali di Roma.
Ma
dobbiamo anche dirci che queste soluzioni non spettano, non possono e
non devono spettare, alla magistratura né ai tecnici del Comune o del
Ministero delle Finanze. Le soluzioni spettano alla politica, ad una
visione generale dei problemi e delle soluzioni. Una visione di cui non
si vede ancora traccia anche nell'attuale giunta comunale che pure ha
vinto proprio annunciano una discontinuità con quelle precedenti.
Ma
anche a Roma, l’accettazione quasi religiosa dei vincoli di bilancio e
la primàzia degli interessi privati su ogni competenza pubblica, vede
questa visione "politica" abidcare da troppo tempo, affidandosi in basso
agli scherani di mafia capitale e in alto alle banche, alle cordate di
prenditori, alle multinazionali. Tutti imputati che non abbiamo visto
sul banco nel processo per Mafia Capitale.
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