martedì 17 gennaio 2017

Manovra bis. Il conto andrebbe presentato a Renzi che pur di vincere il referendum distribuì mancette e benefit. Ma la questione è ancora più seria: l'Italia non ce la farà ad agganciare la ripresa

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Servono circa 3,4 miliardi di euro, una manovra bis che vale lo 0,2 per cento del Prodotto interno lordo. Ce la chiede l’Europa. Dovrebbe pagarli Renzi di tasca sua in realtà, ma questo è un altro discorso. E sorprende che nell’intervista a Repubblica uscita ieri l’argomento non viene quasi per nulla toccato. Eppure questo “deficit” è stato in parte accumulato grazie all’helycopter money che il premier si era costruito in casa per tentare di vincere il referendum distribuendo elemosine a destra e a manca. 

Qualcuno aveva preventivato che l’Europa a marzo ci avrebbe presentato il conto. E invece la tirata d’orecchie è arrivata molto prima. La richiesta è piombata su Roma giusto la scorsa settimana e questa volta l’esecutivo non può più rinviare, dovrà mettere mano al portafoglio. Anche perché in caso contrario — la Commissione europea lo ha messo ben in chiaro nei contatti riservati delle ultime ore con il Tesoro — è pronta una procedura d’infrazione per deficit eccessivo a carico dell’Italia per il mancato rispetto della regola del debito.

lo scorso autunno da Bruxelles, infatti, il deficit italiano viaggerà intorno al 2,4 per cento del Pil, due decimali al di sopra del target concordato a Bratislava e di quello che la Commissione considera il tetto massimo per evitare una micidiale bocciatura dell’Italia da parte dell’Eurogruppo, il tavolo dei ministri delle Finanze della moneta unica dominato dai rigoristi Dijsselbloem e Schaeuble.
Renzi, sempre per stare ai documenti storici, fece un po’ di teatro tirando fuori la storia dell’ondata dei migranti, per fronteggiare la quale sarebbero serviti ben 4 miliardi (!); senza contare il fiume di lacrime, e di visite ufficiali di tutte le più alte cariche dello Stato, sull’altro grande dramma vissuto “dal Governo”, quello del terremoto. Risultato, l’Europa ci chiede i soldi e un bel gruppo di terremotati hanno protestato ieri ad Accumoli perché si sentono abbandonati.
"Sono in corso in questi giorni contatti con la Commissione europea per valutare i passi opportuni per evitare l'apertura di una procedura di infrazione", fanno trapelare dal Mef a proposito della manovra aggiuntiva. E al tempo stesso, insistono da via XX Settembre, i contatti in corso servono anche per "scongiurare il rischio che interventi restrittivi sul bilancio compromettano la crescita riavviata nell'economia nazionale a partire dal 2014 ma ancora debole". Peraltro, "non e' ancora pervenuta alcuna lettera", sottolineano le stesse fonti. Non c’è dubbio ma che Padoan stia passando un brutto quarto d’ora è poco ma è sicuro. Perché nella partita c’è anche lui, suo malgrado. Doveva essere lui “l’oggetto di scambio” con Bruxelles. Solo che l’ex sindaco di Firenze non si fidava abbastanza. Si sarebbe fatto da parte, come pare aver garantito Gentiloni, al momento giusto?

Polemiche e spigolature che in realtà nascondono il nodo vero: l'Italia non ce la fa ad agganciare la ripresa. E questo perché la crisi ha letteralmente stravolto, senza difesa alcuna, i suoi connotati economici.  
Intanto, le classifiche internazionali di cui si parlerà in questi giorni a Davos ci collocano ventinovesimi per “servizi di base e infrastrutture”, ventottesimi alla voce “corruzione”, ventinovesimi in “imprenditorialità” e “intermediazione finanziaria”. E poi alcune contraddizioni, come nel caso dell’educazione: quattordicesimi per diritto all’accesso, solo ventottesimi per qualità della scuola. O alla voce occupazione: ventinovesimi in produttività, noni in “compensazioni salariali e non”. Detta in una battuta, e per usare un linguaggio da “esperti”: l’Italia non è un gran posto dove aprire un’impresa. Secondo il premio Nobel Spence, “l’Italia si deve dotare di una struttura imprenditoriale dinamica e flessibile, orientata all’innovazione di prodotto e di processo, recettiva delle novità sul fronte tecnologico e con un’etica del business contrapposta alla corruzione e ad altre pratiche illecite. E
con lei lo Stato”. E poi ci meravigliamo perché arrivano le bocciature delle agenzie di rating? E non è finita. “I problemi che affliggono il sistema bancario – aggiunge Spence – smaltire quelli che sono i debiti tossici,
ricapitalizzare le banche e ristabilire fiducia nei confronti degli istituti di credito”.

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