domenica 1 gennaio 2017

Istanbul, il sangue di Capodanno



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Sembra non esserci tregua al terrore. La morte arriva anche nella notte di Capodanno, ancora a Istanbul, stavolta vestita da Babbo Natale. Portata da un killer nel night club Reina del quartiere di Besiktaş, dov’erano stipate almeno 500 persone. L’attentatore uccide un poliziotto e un addetto alla vigilanza all’ingresso del locale, penetra all’interno e inizia a sparare come accadde al Bataclan. Il pubblico, prevalentemente giovanile, che festeggia l’inizio del nuovo anno in uno spazio ritenuto protetto, è nel panico. Tutti si gettano a terra, chi è vicino a una finestra fugge all’esterno tuffandosi addirittura nelle gelide acque del Bosforo. Pur di non morire. Perché nella sparatoria alcuni corpi iniziano a cadere. Quanti? Due, si dice inizialmente e molti feriti. Ma dopo un paio d’ore, con l’ipotesi d’un blitz delle forze di sicurezza, un responsabile della polizia riferisce alla Cnn turca la drammatica cifra di trentacinque vittime e una cinquantina di feriti. Alle 2:30, quando scriviamo, non ci sono certezze, perché intanto è sopraggiunto un black out di notizie e gli stessi media turchi online non vengono più aggiornati. Il luogo dell’assalto armato è centrale, in quell’area di Besiktaş dove venti giorni fa era esplosa un’autobomba che aveva mietuto 38 vittime, molte delle quali agenti di polizia in servizio nei pressi dello stadio per una partita di calcio che s’era appena conclusa. 
Quell’esplosione di un’autobomba venne rivendicata dalla frazione dissidente della guerriglia kurda denominata ‘Falchi della Libertà’. Invece quest’agguato in stile Isis (così simile all’attacco parigino del novembre 2015) non è stato ancora rivendicato, cosa che potrebbe accadere nelle prossime ore. Di fatto la sicurezza nazionale è stata violata per l’ennesima volta, stanotte sembra che Istanbul fosse controllata da 17.000 poliziotti. E mentre alcune telecamere fisse mostrano lo “spogliarello” dell’attentare, che dopo la sparatoria cerca di dileguarsi in abiti normali, il silenzio stampa turco non offre notizie sull’efficacia del blitz poliziesco. Sull’insicura sicurezza interna, uno degli intricatissimi nodi che Erdoğan ha di fronte, tornato alla ribalta in occasione dell’incredibile omicidio in diretta dell’ambasciatore russo ad Ankara, il presidente si gioca il desiderato presidenzialismo. Taluni rumors lasciano trasparire una crepa in seno al partito di governo, proprio ora che lo staff del sultano ha trovato una sponda vitale nel consenso del partito nazionalista. Il voto parlamentare sul tema e l’eventuale referendum confermativo previsto per la primavera dovrebbero svolgersi in un clima di stato d’emergenza protratto nel tempo. Ma i vari nemici additati: i traditori gülenisti, i kurdi della guerriglia e i deputati Hdp rimasti in Parlamento, l’Isis, potrebbero non bastare a saldare le fila che consegnano a Erdoğan la nazione, concentrando nelle sue mani ogni potere: politico, militare e giudiziario. Intanto il Paese ha paura.

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