mercoledì 10 settembre 2014

Renzi le parole e fatti. Matteo Renzi senza il "big name" per l'Emilia Romagna. Tutte le spine del premier: da Bologna all'Ue.

RENZIIl sogno era di tirare fuori un “big name”, come dicono nel Pd, per risolvere le spine emiliane, per chiudere la questione nata storta dal giorno in cui Matteo Richetti e Stefano Bonaccini hanno deciso di sfidarsi alle primarie per la corsa a governatore.

L’idea era di lanciare in pista il sottosegretario Graziano Delrio oppure il ministro Giuliano Poletti, nomi istituzionali per azzerare le polemiche sull’iscrizione nel registro degli indagati di entrambi i candidati: il primo si è ritirato ieri, il secondo è ancora in corsa malgrado i timori della base e dei vertici romani su un possibile flop delle primarie. Però la giornata non produce il risultato sperato a Palazzo Chigi. Nessun big name. Delrio, che non è a Roma ma fuori in vacanza, lascia trapelare indisponibilità a lasciare Palazzo Chigi. L’Emilia resta una spina nel fianco per Matteo Renzi, la prima tegola giudiziaria che gli piove addosso, seppure indirettamente. Un affare complicato che lo costringe a rinviare la direzione del Pd di domani e magari a congelare i sogni di rimpasto, nonostante che, dove e come può, Renzi continui a liberare posti al governo (Legnini al Csm, Reggi all’agenzia del demanio). Il punto è che non c’è solo l’Emilia. Quasi che la storia emiliana fosse uno specchio delle difficoltà del Pd renziano: la fossa di un passato in cui il renzismo non ha radici profonde, ma solo legami recenti.
Non solo Emilia. C’è anche la batosta arrivata dall’Europa, dove Jean Claude Juncker ha annunciato una commissione Ue che non corrisponde perfettamente ai desiderata del governo di Roma. E poi la spending review: oggi doveva essere il giorno degli incontri con i ministri sui tagli necessari per recuperare risorse. Rinviati anche questi, in attesa che ogni dicastero produca una lista di idee per raggranellare i 20 miliardi che servono per la legge di stabilità. Unica luce in fondo al tunnel, la decisione dell’esecutivo sull’assunzione di 34mila unità nella scuola. Si attende il decreto, però (Sblocca Italia e Giustizia civile anche oggi non sono pronti per la firma quirinalizia).

Caos o rimpasto? Qualcuno nel Pd lo definisce “vero e proprio caos”. Altri guardano il lato positivo. Cioè il fatto che vanno avanti le trattative tra la maggioranza renziana e la minoranza bersaniana per trovare vie d’accordo. Si spiega così l’indicazione del bersaniano Giovanni Legnini, sottosegretario all’Economia, alla vicepresidenza del Consiglio Superiore della Magistratura. Una mossa che, oltre a mettere d’accordo due anime del partito, libera un posto di sottogoverno. Non è un dettaglio. Anche perché nella stessa giornata di oggi se n’è liberata un’altra per decisione del consiglio dei ministri: il renziano Roberto Reggi, sottosegretario all’Istruzione, è stato nominato direttore dell’Agenzia del Demanio. Poi, torna a girare il nome di Andrea Orlando candidato governatore in Liguria, ma dalla cerchia del Guardasigilli smentiscono. E si infittiscono le voci su Delrio o Poletti possibili candidati in Emilia, appunto. Anche se per questa casella, a un certo punto in Transatlantico alla Camera, dove eccezionalmente oggi ci sono anche i senatori per la seduta comune sull’elezione dei membri di Csm e Consulta, spunta il nome della ferrarese Rita Ghedini, senatrice, ex vicepresidente di Legacoop Bologna: insomma, nome sconosciuto ai più, ma pesante in Emilia (mentre Bersani e Franceschini smentiscono di essere in corsa). Il punto però è che la giornata non produce conigli dal cilindro, Bonaccini va dai pm a chiarire, domani chiederà l’archiviazione e resta in pista: “Sono sereno, a disposizione dei pm, vado avanti”. Dice di aver sentito il “sostegno di tutto il partito”, ma ammette di non aver parlato con Renzi. E il vicesegretario Lorenzo Guerini si limita a dire: “Bonaccini? Valuterà lui cosa fare…”. Non è una difesa a spada tratta. Ma se c’è un disegno, qual è?
Leopoldini e Anci: le due anime renziane. Nel Pd non sfuggono gli spostamenti operati nel governo. I renziani della cerchia stretta insistono sul fatto che il sogno del premier è di rafforzare la squadra di governo: il punto è arrivarci, creare le condizioni. Non è semplice. Altri parlano di uno scontro in corso nella maggioranza renziana: da una parte i ‘leopoldini’, cioè Renzi, Lotti, Boschi, insomma il ‘giglio magico’. Dall’altra, il ‘partito Anci’, Delrio, Rughetti, Richetti. Naturalmente, in via ufficiale, i dissapori vengono smentiti, come puntualmente sono stati smentiti i retroscena estivi sulle presunte tensioni tra Renzi e Delrio. Ma nei ragionamenti che si fanno nel partito e che alcuni parlamentari confidano sotto anonimato, l’affare emiliano avrebbe riportato su tutto, compresa l’idea del premier di candidare il sottosegretario a governatore. Da qui anche la scelta di rinviare la direzione di domani, anche perché Bonaccini è attuale responsabile Enti Locali della segreteria: il suo destino non è indifferente per la composizione della nuova squadra al Nazareno. C’è da dire però che la nomina di Legnini al Csm, qualora andasse in porto, potrebbe sbloccare le trattative sulla nuova segreteria. Per la minoranza, dovrebbero entrare Enzo Amendola, Micaela Campana e Andrea Giorgis. Ma gli incarichi di peso (vicesegreteria, Organizzazione, Enti locali) resterebbero alla maggioranza renziana.
Il rinvio sui tagli e la grana Ue. Ma Renzi è costretto a rinviare anche gli incontri con i ministri sui tagli. In consiglio, li invita a mandargli una mail con le proposte per arrivare a ridurre le spese del 3 per cento per ogni ministero. Fino ad allora, nessun faccia a faccia. Insomma, malgrado caparbietà e costanza, non è una bella giornata per il premier. Nemmeno sul fronte europeo, dove il francese anti-rigorista Pierre Moscovici viene sì nominato commissario all’Economia, come chiesto da Roma e Parigi, ma sarà ‘controllato’ dal falco finlandese Katainen, che Juncker si è scelto come vicepresidente con delega al Lavoro, investimenti e competitività. E poi la nuova squadra include solo 7 socialisti su 28: non proprio il massimo per il Pd che alle europee ha trionfato con il 40,8 per cento. E c’è la questione del britannico Jonathan Hill, che più di tutte scontenta il Pse: legatissimo alla City, Hill ha avuto la delega ai mercati finanziari. Come minimo, si tratta di conflitto di interessi, tanto da indurre il capogruppo del Pse Gianni Pittella ad annunciare “battaglia”. Spine emiliane, nostrane, europee. In attesa della schiarita.

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