I suoi ti dicono che “ormai siamo a un bivio”. E come sempre, quando si trova davanti a un bivio, Renzi adotta quella che i suoi chiamano “strategia win-win”. Vale a dire una strategia vincente, comunque vada. Sostanzialmente, se dopo le trattative di queste ore e dei prossimi giorni, la fronda del Pd sull’articolo 18 non rientrerà, se la minoranza arriverà a far mancare i voti al governo sulla legge delega, se sarà Forza Italia a salvare l’esecutivo, sarà lo stesso Renzi a trarre le conseguenze. Il premier non è disposto a lasciare alla minoranza interna nemmeno quest’arma. Ed è pronto a ribaltare il ragionamento di Cesare Damiano, bersaniano e presidente della Commissione Lavoro alla Camera. Dice Damiano: “Se fossero determinanti i voti di Forza Italia per tenere in piedi il governo, ci sarebbe anche una conseguenza politica”. Sbagliato. In questo caso, sarebbe Renzi a trarre la conseguenza politica portando tutti al voto anticipato, anche con il Consultellum, la legge disegnata dalla Corte Costituzionale con la bocciatura del Porcellum. Come? E’ presto detto.
Stando alle considerazioni fatte a Palazzo Chigi prima di partire per gli Usa, sul Jobs Act il premier è disposto anche porre la questione di fiducia. Se il dissenso del Pd non dovesse rientrare nemmeno sulla fiducia, si aprirebbero due strade. Il bivio, appunto. Il governo finirebbe per non avere una maggioranza oppure ce l’avrebbe ma con i voti di Forza Italia. In entrambi i casi, si determinerebbe un netto cambio di scenario: sia per Renzi, ma anche per il Quirinale. Il premier ne prenderebbe atto e sarebbe l’occasione per rilanciare e portare il paese alle urne. Con una nuova legge elettorale, ma alle brutte anche con il Consultellum, che comunque prevede una soglia di sbarramento all’8 per cento al Senato. Difficile superarla per le forze politiche piccole, anche per quelle che nascerebbero da un’eventuale scissione del Pd. In compenso, dopo le elezioni, Renzi potrebbe contare su gruppi parlamentari più docili, composti dai candidati del suo giro, senza le minoranze. E se proprio dovesse andare male, guiderebbe un governo di larga coalizione con Berlusconi, cosa che non gli creerebbe problemi.
Sono ragionamenti maturi nei circoli renziani. Ma il punto è che anche al Colle ne sono consapevoli. Al Quirinale infatti si mette nel conto il rischio che sul Jobs Act i voti del partito di Silvio Berlusconi possano risultare determinanti per tenere in vita il governo. Se così fosse, riflettono al Quirinale, è chiaro che si trarrebbero le conseguenze: sarebbe la fine dell’attuale maggioranza, non ci sarebbe più il governo Renzi, si cercherebbe una maggioranza in Parlamento per formare un nuovo governo. Ma non è detto che ci si riesca: anzi, data la cornice, le chance di trovare una maggioranza per un nuovo esecutivo e per evitare le urne sono pari allo zero al momento. Se pure Berlusconi nutrisse la tentazione di brigare per allontanare il voto anticipato, avrebbe qualche difficoltà ad appoggiare un governo con la sinistra del Pd e affini.
E’ per questo che sul Jobs Act Renzi si gioca tutto. Prima di finire stritolato da una legge di stabilità che non si annuncia facile da comporre, per penuria di risorse. Prima di finire nell’occhio del ciclone dell’Europa che aspetta risultati senza i quali saremmo probabilmente commissariati con dalla Troika. Alcuni rumors dicono addirittura che il premier punterebbe al voto per fine anno, cosa da incastrare con la sessione di bilancio: obiettivo non facile. Ma se salta tutto, anche Napolitano dovrà trarre le conseguenze, sciogliendo le Camere, un passo che il presidente della Repubblica ha sempre evitato di compiere dall’inizio di questa tormentata legislatura.
Prima di partire per gli Stati Uniti per un giro di visite dalla Silicon Valley all’assemblea dell’Onu, il premier ha dato mandato ai suoi di picchiare duro contro minoranza e sindacati. Tanto che persino Luca Lotti, uso a non rilasciare dichiarazioni da quando è sottosegretario, persino lui ci è andato giù pesante. Con quello che suona come un vero e proprio ultimatum ai dissidenti Dem: “Chi ha perso le primarie non può dettare la linea”. Da San Francisco Renzi non molla la stretta. Annuncia che farà “di tutto per una rivoluzione sistematica, un cambio violento in cui si arrabbierà qualcuno per far avanzare tutti". “Win-win: il tempo è adesso”, dice un suo fedelissimo.
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