Grazie alla riforma Gelmini, l’insegnamento dell’italiano ha subito un forte ridimensionamento. Bisognerebbe invece rilanciare la letteratura classica attraverso lo studio di canti e antologie, come la Divina Commedia: “Dante è colui che sceglie, che prende posizione, che rischia, come deve fare un adulto agli occhi di un adolescente che sta formandosi un’identità e ha bisogno di confini e certezze”.
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Da alcuni anni la scuola è sotto assedio, minacciata da chi la dovrebbe curare, difendere e governare, ovvero i ministri che si succedono uno dopo e l’altro, e la cui unica preoccupazione sembra quella di tagliare fondi e al contempo, quasi per un paradosso, aumentare il carico di lavoro degli insegnanti e il numero di studenti per classe. La devastante riforma Gelmini, vero e proprio progetto di demolizione della scuola pubblica, è nel pieno della sua attuazione, anche se nessun politico sembra accorgersene. Grazie ad essa, l’insegnamento di italiano è ridotto a quattro ore alla settimana in classi di 30 studenti, e in quattro ore, nel triennio, il docente deve insegnare la letteratura e preparare gli studenti alle diverse tipologie della prova d’esame, due delle quali - il saggio breve e l’articolo di giornale - richiedono numerose fasi di preparazione, per abituare gli alunni alla produzione di testi argomentativi/espositivi con uso di allegati e citazioni. Ovviamente l’insegnante non fa solo lezioni, ma assegna compiti ed esercizi, e interroga. E se vuol fare una buona interrogazione, dando modo agli studenti di localizzare concetti e nuclei tematici, individuare figure retoriche e tecniche narrative, procedure stilistiche e parole chiave, mettere in relazione opere e autori, confrontare diverse interpretazioni critiche; se cioè non vuole ricorrere ai quiz modello televisivo o ai test a risposta multipla, ha bisogno di tempo. Per quanto mi riguarda, in un’ora riesco ad interrogare tre studenti, dunque in una classe da 30 studenti impiego dieci ore. D’altra parte, quando i ragazzi fanno una verifica scritta e porto in classe le correzioni, mi servono almeno due ore per illustrare gli errori. Il lettore che ne avesse voglia, potrà fare un po’ di conti e vedere quanto tempo ha a disposizione l’insegnante per svolgere decentemente il suo programma, considerando che in un anno si svolgono 6 prove scritte e almeno altrettante orali.
È in questa cornice che s’inserisce l’insegnamento dell’opera fondamentale della letteratura e della lingua italiana, la Divina Commedia di Dante. L’insegnamento, dunque, non potrà che basarsi su una scelta antologica di canti e brani. Fare questo, preoccupandosi di appassionare gli studenti, nella speranza che da soli vorranno leggere quei canti ai quali l’insegnante non ha potuto nemmeno accennare, è una vera e propria sfida. Ma bisogna anche dire, prima di entrare nel merito della didattica e delle scelte metodologiche, prima di raccontare la mia esperienza e fare alcuni esempi, che la Divina Commedia agli studenti solitamente piace, soprattutto piacciono i grandi personaggi, si emozionano per le loro difficili scelte, per gli errori che hanno commesso o i torti che hanno subito in vita, si appassionano alle loro avventure, soffrono per le pene e i tormenti cui sono sottoposti nell’oltretomba, si disgustano per le torture che via via incontrano, si stupiscono per le similitudini e le arditissime metafore, restano a bocca aperta davanti alla fantasia di Dante, entrano davvero nel mondo ultraterreno che l’autore ha immaginato e costruito, ammirano la sua integrità morale e la coerenza politica, condividono le dure critiche alla Chiesa, si riconoscono e riconoscono l’Italia. Dante è colui che sceglie, che prende posizione, che rischia, come deve fare un adulto agli occhi di un adolescente che sta formandosi un’identità e ha bisogno di confini e certezze. Il discorso si fa diverso quando si entra nei cosiddetti canti dottrinali, quando cioè Dante affronta la teologia e la filosofia medievale o introduce le digressioni astronomiche; e tra Inferno e Paradiso, gli studenti preferiscono la concretezza e l’aspro realismo del primo. Ma la fortuna dell’insegnante è quella di partire proprio da qui, e se la semina sarà stata buona, lo sarà anche il raccolto.
Non sono uno specialista di Dante, ma un insegnante di liceo che da anni lo affronta con gli studenti, mettendoci tutto l’impegno e l’entusiasmo possibile, cercando di trasmetterlo anche a loro. Quindi quello che segue è il racconto della mia esperienza e una serie di riflessioni maturate nel corso degli anni in tre diversi licei: Scienze Umane, Economico Sociale, Artistico.
La gran parte degli studenti incontrerà la Commedia soltanto sui banchi di scuola: cosa resterà loro dei luoghi e delle atmosfere, dei personaggi e della loro vita ultraterrena, delle loro colpe e delle condanne? A quanti di loro verrà voglia di riprenderla in mano in futuro, per rileggere i passi che più li hanno emozionati o per colmare il vuoto delle pagine saltate? Non a molti, questo bisogna dirlo senza infingimenti. Ma l’insegnante non può che presentarsi davanti a loro con l’auspicio che Dante lasci un segno nei loro cuori e nelle loro menti, presentandolo come un’esperienza – estetica ed intellettuale – irrinunciabile, almeno per gli studenti che hanno scelto il liceo. Forse sarebbe meglio evitare la scelta antologica e concentrarsi su un’unica cantica da leggere per intero, trasmettendo agli studenti strumenti e curiosità per leggere il resto da soli. Ho sperimentato, infatti, che la fretta cui ci costringono i programmi uccide la poesia, me lo dicono gli studenti stessi, quando interrompo un canto a metà perché è finita l’ora.
Negli ultimi anni capita spesso di chiedere soccorso a Benigni, attore che gli studenti conoscono per essersi emozionati con La vita è bella o per avere riso con le sue strepitose e intelligenti gag comiche. Quindi Benigni non ha bisogno di molto per attirare l’attenzione dei ragazzi, anzi, è talmente forte la sorpresa nel vedere un attore comico di oggi alle prese con un testo così difficile e antico, che basta questo per incuriosirli e incantarli. Ma non possiamo abdicare al nostro ruolo e fare lezione con i dvd di Benigni che legge Dante. L’insegnante, però, ha una sua forza, ha corpo e voce, e vanno entrambi utilizzati, evitando di star seduto dietro la cattedra e piuttosto muovendosi nell’aula, leggendo la Commedia anche col corpo, trasferendo alla classe parole, concetti ed emozioni con tutto se se stesso e con una passione che solo il corpo e la voce possono trasmettere. Ho imparato negli anni che l’insegnante deve essere anche attore, deve modulare la voce e usare tutti i toni possibili, farsi vedere immerso e magari travolto da quello che legge e vuole insegnare. Insomma, l’esperienza mi dice che non è possibile insegnare stando rintanati dietro la cattedra, soprattutto Dante e la poesia, credendo o sperando che l’interesse degli studenti arrivi comunque. No, non è così, l’interesse va suscitato e conquistato.
Il primo ostacolo contro cui lottare sono le note e l’obbligo della parafrasi, che spaventano e annoiano i ragazzi, occultano la poesia. E allora tante volte leggo senza obblighi e prescrizioni, facendo gustare il ritmo e la musica che le terzine dantesche garantiscono anche senza coglierne subito il senso. In quel poema, lo sappiamo, c’è la storia dell’Occidente, non solo dell’Italia: la Bibbia e la mitologia, la letteratura greca e latina, la filosofia, la storia, la politica, la Chiesa. Ma Dante significa anche il coraggio di rinunciare al latino per il volgare, fondando così la lingua italiana. I ragazzi si stupiscono nello scoprire la quantità di parole, sintagmi e modi di dire di cui gli siamo debitori.
L’effetto placebo: La Divina Commedia è un testo difficile e complesso, inutile nasconderlo, e di fronte alle difficoltà io non minimizzo, soprattutto non uso l’odiosa e usurata contrapposizione io-voi, ricorrendo alla nostalgica rievocazione della scuola dei propri tempi, sorta di Eden perduto, in cui alla severità degli insegnanti si accompagnava la cieca e studiosa obbedienza degli studenti. Questa contrapposizione serve solo ad erigere barriere e alimentare distanze, mentre è agli studenti che abbiamo di fronte che dobbiamo insegnare la Divina Commedia, qui e ora. E allora di fronte alle difficoltà io sprono gli studenti come in una sfida, confidando nelle loro capacità. Faticherete, dico loro, ma sono certo che raggiungerete il risultato. Li sottopongo ad iniezioni di fiducia per potenziare l’autostima, utilizzo quello che in farmacologia si chiama “effetto placebo”. L’aspettativa positiva nei confronti di un farmaco influenza l’atteggiamento che il paziente ha verso la terapia, nel suo cervello, infatti, aumentano i neurotrasmettitori che mediano le sensazioni di piacere e dolore e si riducono quelli coinvolti nell’ansia. Oggi sappiamo che anche gli affetti e le motivazioni personali possono produrre gli stessi risultati. Io lo sperimento tutti i giorni, ovviamente i risultati cambiano in base al clima di classe e sono direttamente proporzionali alla stima e alla fiducia che lo studente ha nei confronti dell’insegnante. Ed ecco perché parto da Virgilio.
Dante e Virgilio: L’insegnante non è Benigni, dicevo, però ha un vantaggio: la relazione coi suoi studenti. La Divina Commedia si comincia in terza, dunque il docente ha avuto due anni di tempo per costruire una relazione coi suoi studenti e guadagnarsi la loro stima e la loro fiducia. E allora, ancor prima di presentare l’argomento e la costruzione, ancor prima di parlare dell’ideologia e dell’ideazione, dell’intreccio, del simbolismo e dell’allegoria, io parto dalla relazione tra Dante e Virgilio, la guida e il maestro. Perché Dante sceglie l’autore dell’Eneide? Perché si affida a lui e si fida delle sue parole? Questo mi offre il pretesto per riflettere sulla relazione studente-insegnante, per ribadire che solo se c’è un rapporto di fiducia l’insegnamento sarà efficace, solo così lo studente si affiderà a lui, ascoltandolo e seguendolo. In questo Dante ha anticipato, col genio che gli è consueto, la relazione psicanalitica, una relazione profondamente asimmetrica (come quella tra docente e studente), dove c’è uno che già conosce la strada, lo psicanalista, e un altro che deve seguirlo nell’inferno del proprio inconscio, il paziente. Dante, spiego agli studenti in una prospettiva laica e antropologica, ci dimostra che per salvarsi bisogna conoscere il male e attraversare il dolore, solo conoscendo i propri peccati, i propri limiti, le proprie colpe, le proprie paure, c’è possibilità di crescere e maturare, di migliorare la propria umanità.
Dante e Ulisse: A differenza dei poemi omerici e più di essi, la Commedia ha una vitalità che si riverbera costantemente sul presente. La concezione medievale - filosofica, teologica, astronomica, geografica - esce costantemente dai suoi limiti cronologici, non solo per illuminare il presente, ma anche per guidarci dentro l’uomo. La vicenda di Ulisse, nel mio insegnamento, arriva per seconda e attraverso Primo Levi. Molti studenti a sedici anni conoscono Se questo è un uomo, ne hanno sentito parlare nella ricorrenza della Giornata della Memoria, forse avranno letto qualche passo in terza media o nel biennio, dunque sanno già di cosa si tratta. Leggo il capitolo intitolato Il canto di Ulisse. Chissà come e perché mi è venuto in mente, si domanda Levi; se Jean è intelligente capirà, scrive poi. Jean è il compagno di prigionia che vuole imparare l’italiano. Leggo tutto il capitolo, la classe di solito ascolta in silenzio, anche perché sa che quando si parla della Shoah pretendo il silenzio. Considerate la vostra semenza:/Fatti non foste a viver come bruti,/Ma per seguir virtute e canoscenza.
La lettura di questa terzina mi emoziona, mi fa tremare la voce e spero che i ragazzi lo avvertano. Finita la lettura parto con le domande. Voglio che siano loro a spiegarmi cosa significa recitare a memoria Dante ad Auschwitz e perché proprio questi versi che parlano di “bruti e canoscenza”. Dopo le prime risposte, quando l’interesse è stato suscitato e la classe aspetta la mia spiegazione, faccio un salto indietro e leggo i primi nove versi del III canto, quelli che si concludono con: “Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate.” Cosa c’era scritto all’ingresso dei campi di sterminio nazisti? Cosa c’era scritto sul cancello che immetteva nell’inferno di Auschwitz? Che speranza avevano i prigionieri vittime della follia nazista? Faccio domande e aspetto risposte; alcune arriveranno anche dopo settimane, non importa, l’importante avere svegliato la coscienza e l’interesse. Quindi passo al canto XXVI dell’Inferno: lettura, parafrasi e commento. Facciamo un confronto tra l’Ulisse di Omero che torna in patria e quello della tradizione medievale, cui si rifà Dante, che, spinto dall’ansia di conoscenza, riparte da Itaca per non fare più ritorno. A questo punto leggo altre due poesie: Ulisse di Saba e Itaca di Kavafis. Sto uscendo dalla Divina Commedia? No, la sto moltiplicando, sto dispiegando davanti agli occhi dei miei studenti tutta la potenza del poema dantesco, capace di generare poesia su poesia e spargerla per i secoli. Accenno poi a Foscolo, a D’Annunzio, a Pascoli e al loro Ulisse, dicendo che ne riparleremo nei prossimi anni, alimentando, spero, altra curiosità.
Paolo e Francesca: Procedendo per episodi e personaggi esemplari, senza ancora seguire l’ordine cronologico del viaggio dantesco, arriva il momento della tragica vicenda di Paolo e Francesca, canto V dell’Inferno, storia d’amore e perdizione che molti studenti già conoscono, un verso è finito persino in una canzone di Venditti, in un riuso pop. Parto dall’inizio, leggendo la descrizione di Minosse che “punge a guaio e orribilmente ringhia”, e prima ancora di parafrasare e commentare, richiamo l’attenzione sugli effetti sonori del canto. Oltrepassato Minosse, infatti, Dante è colpito e sopraffatto dalle grida dei dannati e dalla bufera infernale. Ma il canto è ricco anche di effetti visivi e notazioni cromatiche, come, ad esempio: “loco d’ogne luce muto”, “l’aere perso”, “tignemmo il mondo di sanguigno”. Dopo un accenno al contenuto - siamo nel girone dei lussuriosi - arriva il momento di sottolineare gli aspetti formali dell’opera, cioè attraverso quali espedienti retorici Dante rende così efficace il racconto del suo viaggio nell’oltretomba: metafore, similitudini, climax, sinestesie, metonimie, anafore, allitterazioni, onomatopee. Non c’è solo il contenuto, cerco di far capire agli studenti, non ci sono solo i personaggi e gli episodi a dare potenza al testo, ma soprattutto come essi vengono presentati e costruiti. A cominciare dalla bellissima similitudine del verso 82 (“Quali colombe dal disio chiamate…”) che introduce la vicenda dei due amanti infelici raccontata da Francesca. Conosco colleghi che fanno imparare a memoria alcuni di questi versi, in particolare dal 100 (“Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende”) alla conclusione del canto. Io non l’ho mai fatto, ma mi dicono che gli studenti si emozionano a recitarli a memoria. Sicuramente è un ottimo espediente per far interiorizzare la musicalità e il ritmo di versi la cui densità semantica, lessicale e figurale è davvero massima. Infatti, il modo migliore per far apprezzare un testo letterario è attraverso forme di didattica attiva, facendo entrare gli studenti dentro il testo e il testo dentro di loro. Ad esempio attraverso forme di riscrittura, facendo riscrivere l’episodio di Paolo e Francesca da un altro punto di vista, quello di Paolo, che nel testo non prende mai la parola. Oppure, ancora più difficile ma emotivamente più forte, facendo scrivere la storia d’amore direttamente a loro, fingendosi loro gli amanti. In fondo l’età lo permette, a sedici anni diversi ragazzi hanno già sperimentato la forza dell’amore, la passione che travolge, le delusioni. Ecco, mettere i testi in dialogo con l’esperienza dei ragazzi li rende vivi, ne fa toccare con mano e col cuore la forza espressiva.
Lo Stilnovismo e la donna angelo L’episodio di Paolo e Francesca è ricco di citazioni intertestuali e riferimenti alla tradizione letteraria della lirica amorosa, ed è l’occasione per un riepilogo: il ciclo bretone, la scuola poetica siciliana, la poesia provenzale, lo stilnovismo. Dal riferimento alla canzone di Guinizzelli, Al cor gentile rempaira sempre amore, che c’è al verso 100 (“Amor, ch’al gentile ratto s’apprende), al trattato De amore di Andrea Cappellano, cui fa evidente riferimento il verso 103 (“Amor, ch’a nullo amato amar perdona”), dalla lirica cortese (ad esempio, Amore e poesia di Bernart de Ventadorn) al patto d’amore stretto da Ginevra e Lancillotto. Quindi la Divina Commedia come un testo che ne contiene altri, che riassume, fondendola, la tradizione precedente, per diventare poi essa stessa il punto di partenza della lingua e della letteratura italiana. A questo punto faccio un balzo in avanti e parlo agli studenti di Montale, leggo Nuove stanze, li porto nella Firenze del 1938, mentre si svolge l’incontro tra Hitler e Mussolini e il poeta chiede aiuto a Clizia, novella donna angelo, la sola a conoscere il senso di ciò che sta accadendo (“una tregenda” la definisce il poeta, cioè un convegno notturno di streghe e demoni) e la sola che può opporre i suoi occhi d’acciaio. Perché ad un passo dallo scoppio della Seconda guerra mondiale e nel pieno della dittatura fascista Montale ritorna a Dante e alla donna angelo?, domando ai miei studenti. Riflettiamo insieme sul compito che Montale assegna alla cultura e alla poesia, ovvero difendere l’uomo dalla disumanizzazione, dalla sua trasformazione in automa (qui mi aiuto con la lettura di uno dei mottetti delle Occasioni, Addii, fischi nel buio…), ma anche quello più alto di difendere un’intera civiltà dalla violenza del fascismo e dall’ignoranza della società di massa. E difendere la cultura significa anche difendere la tradizione letteraria.
La didattica interdisciplinare e le nuove tecnologie: Il canto V si presta benissimo ad una didattica interdisciplinare, coinvolgendo diverse discipline. Minosse ci riporta alla storia greca e alla letteratura latina, visto che compare nel VI libro dell’Eneide. Il “fatale andare” di cui parla Virgilio al v. 22, può stimolare un approfondimento sul passaggio dal concetto di fato a quello di provvidenza con l’avvento del Cristianesimo. E poi ci sono Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena, Achille, cioè un intreccio di letteratura, storia e mitologia. Ma è possibile fare anche una ricerca iconografica sulle raffigurazioni della storia di Paolo e Francesca in stampe, miniature e dipinti. L’intero poema si presta ad una lettura interdisciplinare, visto il suo carattere enciclopedico, e si potrebbero elencare altri confronti e approfondimenti: l’iconografia francescana col canto XI del Paradiso; il ritratto del principe Manfredi - canto III del Purgatorio - tra cavaliere ideale (“biondo era bello e di gentile aspetto”) e riferimenti al biblico David. E così via.
La didattica interdisciplinare dà più forza al testo in esame e dimostra, semmai ce ne fosse bisogno, la ricchezza e le potenzialità della letteratura italiana, e del poema di Dante in specie. Ci dice della centralità di questa materia, delle sue ramificazioni, in un momento in cui i ministri tagliano o pensano di ridimensionare le discipline umanistiche: è toccata alla musica e alla storia dell’arte, se ne parla per la filosofia e addirittura per la letteratura italiana. Mentre è evidente che bisogna andare in direzione opposta.
Inoltre, la didattica interdisciplinare, attraverso le nuove tecnologie, consente di far smontare e ricostruire il testo agli alunni: realizzando un powerpoint, un testo multimediale, un video, persino una rivista digitale (esperienza realizzata in una prima di quest’anno ma su un altro tema - il lavoro - coinvolgendo quasi tutte le discipline ). E si somma un altro vantaggio: l’uso di un linguaggio familiare per gli adolescenti. In terza, quest’anno, con diversi colleghi abbiamo utilizzato Facebook, creando una pagina chiusa a cui potevano accedere solo studenti e insegnanti, usandola per caricare lezioni di approfondimento, video, interviste, recensioni, per indicare link, ricevere dagli studenti relazioni e mappe concettuali, condividere informazioni, fare commenti e correzioni collettive, scrivere e riscrivere.
La conclusione non può che essere provvisoria, visto che per un’opera come la Divina Commedia le esperienze e gli esempi di didattica sono innumerevoli; credo, infatti, di averne lasciati fuori molti, ma spero di aver descritto lo spirito con cui tento di farla amare dagli studenti.
(5 settembre 2014)
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