giovedì 25 settembre 2014

Caso D’Erme, attacco politico ai movimenti in assenza della politica.



Nun­zio D’Erme è un istrut­tore di nuoto. I bam­bini che par­te­ci­pano ai suoi corsi l’adorano, così come i loro geni­tori. Piace la cor­dia­lità con cui inse­gna ai più pic­coli a stare in acqua e a nuo­tare. È insomma un uomo gene­roso e appas­sio­nato, rico­no­sciuto per la sua pro­fes­sio­na­lità e il garbo con cui la eser­cita. Que­ste sue doti, per la pro­cura romana, costi­tui­scono un’aggravante, che da sta­mat­tina gli stanno costando una deten­zione nel car­cere di Regina Coeli. 

Il Manifesto Sandro Medici
È stato impri­gio­nato «in ragione della sua figura cari­sma­tica e per il suo ruolo di lea­der­ship», sostiene il capo d’imputazione. Insieme a lui, incri­mi­nato anche il ven­tot­tenne Marco Bucci, mili­tante spar­ta­chi­sta. L’accusa parla di resi­stenza e lesioni, ma in realtà il reato che viene adde­bi­tato ai due è l’antifascismo. Nella scorsa pri­ma­vera, insieme ad altri ragazzi di Cine­città, hanno respinto l’aggressione di una squa­drac­cia di monaci omo­fobi, quei cre­pu­sco­lari figu­ranti di Mili­tia Chri­sti. In sé, né più né meno di una baruffa, squal­li­da­mente pro­vo­cata per con­te­stare un incon­tro pub­blico sul diritto alle dif­fe­renze. E aver difeso quell’assemblea, che peral­tro si stava svol­gendo in una sede isti­tu­zio­nale, in una sala del Muni­ci­pio, per le buro­cra­zie giu­di­zia­rie diventa un reato, con tanto di misure detentive.
È molto dif­fi­cile resi­stere alla ten­ta­zione di inter­pre­tare que­sti arre­sti come un ulte­riore pas­sag­gio di que­sta sta­gione per­se­cu­to­ria, che da qual­che tempo aleg­gia cupa­mente in città. Oltre a D’Erme e Bucci, sono in stato di deten­zione due espo­nenti del movi­mento di lotta per la casa, Di Vetta e Fagiano. Così com’è in corso l’istruttoria giu­di­zia­ria sull’Angelo Mai. E nell’ultimo anno abbiamo assi­stito a sgom­beri su sgom­beri, da Tor di Nona a Via delle Aca­cie, dal Vol­turno all’America.

Dopo più di un decen­nio di espe­rienze di movi­mento tanto vitali quanto con­sa­pe­voli, che hanno deter­mi­nato un’impronta poli­tica tra le più avan­zate in Ita­lia (e in Europa), la linea di comando repres­siva, tra incri­mi­na­zioni e inter­venti musco­lari, sta siste­ma­ti­ca­mente sfi­brando il tes­suto con­net­tivo della sini­stra sociale. E lo scopo è ridurre a un’emergenza di ordine pub­blico quello che è stato (ed è tut­tora) un largo pro­cesso sociale di fer­tile con­ta­mi­na­zione tra riven­di­ca­zione di biso­gni e ini­zia­tiva poli­tica. Un per­corso che ha agito sulla pro­get­ta­zione sociale, sulla riap­pro­pria­zione dei beni comuni, sulle poli­ti­che dei diritti, sulla rige­ne­ra­zione territoriale.
È insomma un attacco poli­tico a vasto rag­gio. Ana­logo a quello in corso in Val di Susa o nel Meta­pon­tino, anche qui con arre­sti e incri­mi­na­zioni. Un attacco poli­tico in assenza della poli­tica: o meglio, in sosti­tu­zione della poli­tica, appa­ren­te­mente neu­trale, in realtà com­par­te­cipe. E a Roma tutto ciò avviene con una niti­dezza tanto spie­tata quanto avvi­lente. D’Erme è stato un con­si­gliere comu­nale per molti anni, un ottimo con­si­gliere comu­nale: in molti ricor­dano e ancora apprez­zano le sue bat­ta­glie, la sua pas­sio­na­lità. Oggi è in galera. Lungo que­sta para­bola tra­spare tutta l’opaca viltà dell’attuale poli­tica romana.

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