Quando si dice “capitale” si pensa subito a Marx. Scrivere su questo argomento obbliga a un duro confronto, che comunque non deve aver spaventato il giovane economista Thomas Piketty al momento di intraprendere lo sforzo di realizzare il suo Capital in the Twenty-First Century (di prossima pubblicazione da Bompiani) che, dopo il buon esito dell’originale francese, ha sbancato le librerie americane con la traduzione inglese curata dalla Harvard University Press (2014), collocandosi al primo posto nelle classifiche con oltre 200.000 copie vendute.
Un grosso successo per un libro di economia,
che ha il pregio di usare un linguaggio comprensibile, pur basandosi sui
voluminosi dati di una ricerca sulle condizioni di novanta paesi del
mondo. Anche se il Financial Times del 23 maggio ha contestato i suoi dati empirici, tuttavia è evidente che la disuguaglianza economica stia aumentando.
Piketty
non è un marxista (malgrado il titolo) e ci tiene a ricordare che è
fondamentalmente un liberista. “Sono un difensore del libero mercato e
della proprietà privata – dichiara – ma vi sono limiti a ciò che il
mercato può fare”.
Accolto con commenti positivi dalla critica e dagli addetti ai lavori, il libro di Piketty rimarca le preoccupazioni
crescenti di parte conservatrice nei confronti di una pratica economica
che ha pesanti conseguenze sulla vita di milioni di persone e rischia
di provocare danni irreversibili alla società.
La sua tesi di fondo, molto simile per molti versi, a quella del premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz (Il prezzo della disuguaglianza, 2013), è che la disuguaglianza stia crescendo in maniera esponenziale e che questa crescita priva di controllo ucciderà il capitalismo.
Una disuguaglianza diventata ormai politicamente ed economicamente
insostenibile, a meno che non si ricorra a misure drastiche per
ridistribuire la ricchezza, ricorrendo a una massiccia tassazione.
Curioso che due studiosi così distanti per preparazione, età e cultura – Stiglitz, americano, classe 1943, consigliere della Banca Mondiale,
e Piketty, francese, classe 1971 – arrivino alle stesse conclusioni,
dove sembra che la disuguaglianza sia da combattere, non tanto per
l’evidente iniquità delle condizioni umane, quanto per i danni che può produrre al sistema economico.
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