di Andrea Strozzi
Le severe posizioni sull’iniquità distributiva dell’indiscusso astro nascente della macroeconomiaThomas Piketty sono appena state affiancate ai precetti dell’ultima esortazione apostolica di Papa Francesco “Evangelii Gaudium” da S. Zabala, professore di filosofia dell’Università di Barcellona, nel bell’articolo “Piketty and the Pope: why Marx is back”. Lo stesso Pontefice, qualche settimana fa, ha posto i sigilli alla questione con questo tweet lapidario: “La disuguaglianza è la radice dei mali sociali”.
Sulla scia di intellettuali di spessore planetario come N. Chomsky, il tema della distribuzione della ricchezza è agitato dai movimenti antagonisti di tutto il globo (Occupy Wall Street, Indignados…) e, conseguentemente, lo si può trovare persino sui vetrini dei microscopi di qualche illuminato ricercatore: poco più di un anno fa, utilizzando la teoria dei sistemi complessi, il semisconosciuto ricercatore geofisico B. Werner ha stupito la comunità scientifica internazionale riunitasi all’American Geophysical Union, dimostrando come le pulsioni sociali di matrice rivoluzionaria costituiscano l’unico (e ultimo) baluardo sistemico alla insaziabile voracità di quel capitalismo economico-finanziario che, per espandersi ipertroficamente su tutto il pianeta, ne sta distruggendo le risorse, compromettendone irreversibilmente la salute.
E oltre all’economia, alla religione e alla scienza, ci si mette pure la sociologia! E’ infatti lo stesso Z. Bauman a ricordarci come il Potere (divenuto globale), dopo aver spodestato la Politica (rimasta locale), stia lentamente svuotando l’individuo di ogni residua carica vitale, depotenziandolo intimamente e relegandolo a mera comparsa di quel processo compulsivo e incontrollato che ha nome “consumismo”. O, meglio, controllato da quelle ristrettissime élite di potere che, concentrando nelle proprie mani flussi di ricchezza progressivamente crescenti, stanno restringendo l’accesso al benessere per la restante popolazione.
Delirante fantapolitica d’ispirazione Orwelliana? Giudicate voi:
- Dallo scoppio della crisi, il numero di super-ricchi a livello mondiale è costantemente aumentato, passando dagli 8,6 milioni di individui del 2008, agli oltre 12 milioni del 2012.
- Nei soli USA – che hanno recentemente perso il primato del ceto medio più abbiente al mondo – il più ricco 10% della popolazione detiene l’85% della ricchezza finanziaria complessiva.
- Neanche noi sfiguriamo: la stessa Banca d’Italia attesta che il patrimonio dei dieci italiani più ricchi equivale a quello dei tre milioni più poveri.
Più che statistiche, questi numeri sono bollettini di guerra! Per minimizzarne la portata, i vassalli del neoliberismo sono soliti affidarsi al mantra dell’alta marea: quando l’acqua sale, sia gli yacht che le barche a remi si alzano. Cioè: la società sarà anche iniqua, ma quando la torta cresce, aumentano anche le briciole per i figli della serva. Come stiamo per vedere, questa favoletta è però ormai indifendibile…
Nel 2009 gli epidemiologi R. Wilkinson e K. Pickett hanno infatti pubblicato un saggio troppo pericoloso per essere divulgato dai circuiti mainstream. Nel bellissimo “La misura dell’anima” i due ricercatori, applicando alle scienze sociali metodi statistici da laboratorio, dimostrano comel’iniquità distributiva del reddito sia il fattore scatenante del deterioramento di un set di nove indicatori socio-sanitari riferiti alla qualità della vita (fiducia sociale, disagi psichici, speranza di vita, obesità, rendimento scolastico, gravidanze minorili, criminalità, carcerazione, mobilità professionale).
Le evidenze del loro studio certificano come la bontà di queste metriche non dipenda dal reddito nazionale medio (Pil procapite), ma da come questo è distribuito nella popolazione. Il peggioramento della qualità della vita risulta cioè strettamente legato all’ampliarsi delle disuguaglianze distributive e, simmetricamente, i paesi con minori problematiche socio-sanitarie sono anche quelli in cui il reddito è più equamente distribuito. Ciò significa che in un paese più povero, ma più equo, si vive meglio che in uno più ricco ma con maggiori disuguaglianze. Sono evidenze che fanno tremare i polsi, ed è per questo che non ne avete mai sentito parlare.
Che fare, allora? All’attuale stato delle cose, non esistono più spazi per la mediazione. Né, temo, per la compostezza. Occorrono pensieri, parole e persone nuove. Illuminate, agguerrite, consapevoli. Occorre una presa di coscienza collettiva che trovi il coraggio di sbarazzarsi dei retaggi di un passato irripetibile. Prassi e concetti come quelli di “diritti acquisiti”, “paracaduti sociali”, “minimi garantiti” o altra polverosa terminologia ereditata dal secolo scorso, vanno rimossi quanto prima. Questo, però, non deve avvenire consolando una tantum (magari con 80 Euro…) chi oggi, a quelle mangiatoie, non può più sfamarsi. Ma deve avvenire mediante una forzosa compensazione intergenerazionale e interpatrimoniale, che agisca sui privilegi e sulle sostanze sin qui accumulate, per trasferirle ex-lege all’ambiente e alla comunità, alimentando un modello fondato sul benessere di molti a discapito della ricchezza di pochissimi. Se questi meccanismi redistributivi dovessero confliggere con l’effimero istituto che amiamo chiamare Diritto, poco male: lo si cambierà. Anche perché, se ha permesso che si arrivasse a questo punto, forse non si trattava propriamente di… Diritto.
Sono considerazioni inattuali e indigeste, lo so. Ma necessarie. Per stimolare quell’imperioso risveglio delle coscienze di cui c’è bisogno.
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