"C’è immunità o impunità per i corrotti, mentre si vuole intimidire
l’opinione pubblica". Lo scrittore commenta il rinvio a giudizio con
l’accusa di istigazione a delinquere per aver sostenuto in un'intervista
la liceità dei sabotaggi al cantiere della Tav in Val di Susa. Rischia
fino a 5 anni di carcere.
intervista a Erri De Luca, di Ottavia Giustetti-repubblica
«Non
sono stupito, me l’aspettavo, e non voglio nemmeno essere assolto. Mi
metteranno sul banco degli imputati e ci saprò stare ma solo per
difendere la mia libertà di parola». Erri De Luca, il poeta operaio che
sfila ai cortei No Tav, ha atteso la decisione del giudice di Torino in
Grecia dove aveva «in programma un viaggio che non poteva rimandare».
Ha
ricevuto la notizia del rinvio a giudizio dal suo avvocato ma sui
social network e sui siti di informazione già tutti ne parlavano. De
Luca rinviato a giudizio: risponderà in aula dell’accusa di istigazione
al sabotaggio. Lui non è spaventato ma, piuttosto, preoccupato. Non per
sé ma per il significato profondo che attribuisce a questo processo.
«Non
mi riconosco in questo ruolo di scatenatore di eventi che mi vogliono
attribuire visto che non ho alcuna responsabilità politica né
collettiva».
Però l’accusano di aver incitato con le sue parole a fatti poi concretamente avvenuti.
«Sì,
diciamo che hanno utilizzato un trucchetto sofistico che veniva
utilizzato già nella scolastica medievale, ma che è facilmente
smascherabile. La teoria è: “Post hoc ergo propter hoc”. Significa:
“Dopo di questo e perciò in conseguenza di questo”. Mettono in relazione
causale due eventi che hanno solo una relazione temporale».
È certo che la frase da lei pronunciata pubblicamente - «la Tav va sabotata» - non abbia ottenuto l’effetto di un invito?
«No,
non lo credo. E poi se ci pensa è curioso che abbiano deciso di partire
proprio da lì e di dimenticare tutto il resto. È come se la mia
intervista fosse diventata l’anno zero della lotta alla Tav, tutto ciò
che è successo prima non ha più alcuna rilevanza».
Se si tratta di un trucchetto verrà smascherato in tribunale.
«Il fatto che lo impieghino dimostra l’assenza della sostanza nell’incriminazione».
Non
sarà l'anno zero della lotta alla Tav ma il suo processo è l’anno zero
di una stagione nuova: a processo non vanno coloro che agiscono alle
reti del cantiere ma anche chi la sostiene a parole, pubblicamente.
«È
questo lo spartiacque. Segna il momento in cui si vuole incominciare a
intimidire l’opinione pubblica e la libertà d’espressione della parola
condannandola penalmente. Loro credono che scoraggiando me ne
scoraggeranno cento».
Lei però non ha mai rinnegato le sue dichiarazioni. Ora che si tratta di difendersi in aula di tribunale che cosa farà?
«Sono
titolare solo di una piccola parola pubblica quindi la difendo, non la
uso a sproposito e non la ritiro dopo che qualcuno la contesta. Non sono
come questi politici capaci di ritrattare il giorno dopo come se
dovessimo tutti continuamente dimenticare. Sono le mie opinioni e le
difendo».
Da come parla sembrerebbe quasi che consideri più onorevole una condanna che una assoluzione in questo processo.
«È
così, non mi interessa essere assolto, mi interessa esclusivamente
difendere la mia libertà di parola. Semplicemente. E intendo a mia volta
accusare di abuso, di intimidazione chi mi ha formulato questa
incriminazione ».
È un’accusa ai magistrati?
«I
magistrati di Torino sono troppo impegnati a perseguitare il movimento
No Tav. Ci sono più di mille procedimenti giudiziari a loro carico,
evidentemente i giudici trascurano i piani alti. Sarebbe curioso che
fenomeni di corruzione, che questa malversazione del denaro pubblico,
questo sistema di appalti pilotati e di uomini corrotti che ha mosso
Expo e Mose non riguardi anche la Tav. Ma qui si gode di una certa
immunità, di impunità, perché i magistrati si occupano di altro».
Perciò lei è sempre convinto che la Tav debba essere sabotata?
«Beninteso».
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mercoledì 11 giugno 2014
Erri De Luca: “Difendo la mia libertà di parola, non chiedo di essere assolto”
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