sabato 15 marzo 2014

Sfruttamento migranti. Tra topi e abbandono: così si vive nelle bidonville di casa nostra

L’associazione Medici per i Diritti Umani (Medu)  ha documentato per immagini il paesaggio dei villaggi africani riprodotti nelle campagne del Sud Italia. Il “set della disperazione” sono alcuni casolari abbandonati tra Taurianova, Rizziconi e Rosarno
















{} «In questo casolare abbandonato non abbiamo acqua, né luce, non c’è bagno e non c’è la doccia» spiega Ibrahim. Non è un reportage dalla terre martoriate dalla guerra ma dalla tendopoli della Piana di Gioia Tauro in Calabria, dove vivono i braccianti che raccolgono arance. Ecco come si vive nelle bidonville di casa nostra: tra i topi, nelle tende, in baracche e rifugi improvvisati fatti di legno e teloni di plastica.

Le foto rendono meglio di ogni racconto. Qui lavora l’associazione Medici per i Diritti Umani (Medu) che ha documentato per immagini il paesaggio dei villaggi africani riprodotti nelle campagne del Sud Italia. Il “set della disperazione” sono alcuni casolari abbandonati tra Taurianova, Rizziconi e Rosarno.

In queste terre si lavora dodici ora al giorno per 20-25 euro. La stessa storia che si ripete da quasi vent'anni.

Da novembre a marzo si raccolgono le arance e puntualmente arrivano nella punta della Calabria oltre 2.000 braccianti, per la maggior parte dell’Africa sub-sahariana. Nonostante il fenomeno si ripeta ormai da anni con lo stesso copione di desolazione, le condizioni di lavoro e di accoglienza dei migranti non cambiano mai. Mancano i servizi più essenziali. Niente corrente elettrica, I numerosi fuochi accesi tra le baracche assicurano il riscaldamento degli alloggi e dell’acqua, come anche la possibilità di cucinare. Si dorme in trenta o quaranta al freddo in case diroccate, tra pareti invase dall’umidità e tetti semi-distrutti che lasciano passare la pioggia. In queste condizioni le malattie si diffondono a macchia d’olio.

IL DIRITTO ALLA SALUTE NEGATO Per questo Medu è arrivata fin qui con il progetto “Terra Giusta”. Un team composto da un medico e due mediatori culturali a bordo di un furgone attrezzato ad ambulatorio visita, medica, fornisce informazioni sul diritto alla salute spesso negata. Un terzo dei migranti visitati riesce a consumare solo due pasti al giorno mentre la maggior parte delle malattie diagnosticate, in una popolazione giovane e sostanzialmente sana, è legata alle pessime condizioni abitative ed igienico-sanitarie e alle durissime giornate di lavoro. Ecco che mal di schiena diventano cronici, le vesciche sono la normalità, anche un semplice mal di denti diventa un calvario. «Andiamo con la clinica mobile nei contesti più isolati e meno conosciuti- spiega Alberto Barbieri, coordinatore di Medu - seguendo il ciclo della stagionalità. A gennaio in Calabria, poi in Campania nella piana del Sele, seguendo la diaspora dei raccoglitori fino alla Puglia. Forniamo un primo aiuto medico spesso negato negli ambulatori della zona che hanno orari ridotti o non sono adeguati ad accogliere i migranti». Così le malattie si diffondono e le condizioni drammatiche di chi si spacca la schiena nei campi si aggravano senza sosta.

DOPO LE RIVOLTE L’ABBANDONO La Calabria è una della mete della “transumanza” dei lavoratori stagionali, braccia di uomini senza diritti impegnate per mesi nella raccolta delle primizie che arrivano nei banchi della frutta e della verdura. Per tenere i prezzi bassi e concorrere con i prodotti spagnoli o marocchini si tolgono a loro i diritti e la dignità del lavoro. Tra questi campi nel 2010 sono scoppiati gli scontri di Rosarno. Nulla è cambiato delle condizioni disumane che incendiarono quella rivolta senza precedenti. Ad accendere la miccia è stato il ferimento con un'arma ad aria compressa di alcuni cittadini migranti e la volontà di reagire che covava da tempo nella colonia di lavoratori ammassati in condizioni ai limiti del sopportabile non ci ha messo molto ad esplodere. In poche ore centinaia di auto distrutte, cassonetti divelti e rovesciati sull'asfalto, ringhiere di abitazioni danneggiate e lo sgombero delle baraccopoli con le ruspe della Polizia. Due anni dopo all’inaugurazione della prima tendopoli regolare per i lavoratori stagionali nel comune di San Ferdinando, l’allora ministro per l’integrazione Andrea Riccardi dichiarava: «Rosarno non deve restare sola e non sarà sola». Nei fatti, quest’anno le comunità di stagionali e residenti della Piana di Gioia Tauro sembra essere ancora più sola che in passato.

Nella nuova tendopoli di San Ferdinando, allestita dal ministero dell’Interno circa un anno fa, le tende possono ospitare fino a 450 persone mentre attualmente il campo contiene circa il doppio di migranti, stipati, oltre che nelle tende, in baracche e rifugi improvvisati fatti di legno e teloni di plastica. «Non è possibile che ogni stagione assistiamo allo stesso copione. Dopo quello che è successo qui nel 2010 ci aspettavamo un cambio di rotta. Invece è stato tutto inutile» commenta sconsolato Barbieri.

Sofferenza ed emarginazione è un cocktail esplosivo. Lo scorso novembre, un ragazzo di trent’anni che non aveva trovato posto all’interno di questo campo è morto di freddo dopo una notte passata in macchina. La dimostrazione che dopo quattro anni da quei violenti scontri per i diritti e la dignità non è cambiato nulla.

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