«Vogliono abolire il Senato. Bene. E se domani arriva uno che vuole abolire la Camera, e non farla più elettiva? Se arriva Grillo e decide di costituire la Camera dei fasci e delle corporazioni? Sarebbe costituzionale anche questo?». A Rino Formica, ex ministro socialista, non piace per nulla l’idea di Matteo Renzi di abolire il Senato. Proposito che il Parlamento sembra accogliere o subire senza reagire. «L’articolo 139 della Costituzione», dice Formica, intervistato dal “Foglio” di Giuliano Ferrara, «ha stabilito che la forma repubblicana dello Stato non è modificabile. L’articolo 138, che stabilisce il metodo con cui il Parlamento può modificare il dettato costituzionale, riguarda i margini della Carta, non la sua architettura». Dunque, si chiede Formica: «Siete sicuri che il Senato si possa abolire o radicalmente trasformare?». Formica, sottolinea Andrea Mollica sul blog di Gad Lerner, rimarca come «la proposta di Renzi sia sovversiva, visto che altera la divisione dei poteri previsti dalla Carta costituzionale».
Superare i limiti dell’articolo 138 significa ignorare le regole che disciplinano la modifica della nostra Costituzione: stando alla legge, non si potrebbe avviare una trasformazione così radicale del nostro impianto istituzionale. «Secondo Formica il problema è che la rottura del rapporto fiduciario tra governo e Camere potrebbe condurre ad un “governo del presidente” che tradirebbe il nostro regime parlamentare». Una tesi che viene accolta dallo stesso Ferrara, secondo cui «in termini di ortodossia e di prassi democratica», Rino Formica ha «perfettamente ragione». Dunque, «bisogna fermare questo golpe». Posizione sostanzialmente condivisa da un grande giurista come Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Consulta. Già contrario alle riforme ventilate dal governo Letta, Zagrebelsky – in attesa di leggere una proposta formale – anticipa le sue idee al “Fatto Quotidiano”. Camera e Senato? «Sono assemblee moderatrici rispetto all’incalzare del consenso elettorale che deve essere incassato ad intervalli brevi dall’altra assemblea. La prima Camera è necessariamente miope. La seconda deve essere presbite. Deve fare valere le ragioni della durata su quelle dell’immediatezza».
Intervistato da Silvia Truzzi, dietro alle parole di Renzi il giurista torinese vede «il blocco d’unapolitica che gira a vuoto, funzionale al mantenimento dello status quo». Una volta, ricorda Zagrebelsky, Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani definirono “razza padrona” un certo equilibrio oligarchico del potere. «Oggi, piuttosto riduttivamente, la chiamiamo “casta”. Un’interpretazione è che un sistema di potere incartapecorito e costretto sulla difensiva, avesse bisogno di rifarsi il maquillage. Se questo è vero, è chiaro che occorrevano accessori, riverniciature: il renzismo mi pare un epifenomeno. Vorrei dire agli uomini (e alle donne) nuovi del governo: attenzione, voi stessi, a non prendere troppo sul serio la vostra novità». La classe dirigente italiana? «E’ decaduta a un livello culturale imbarazzante. La ragione è semplice: di cultura politica, la gestione del potere per il potere non ha bisogno. Sarebbe non solo superflua, ma addirittura incompatibile».
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