Verso il corteo che venerdì 28 marzo arriverà sotto le finestre della Regione Lazio: "chi decide gli obiettivi di spesa? Chi decide come attuare le priorità dei fondi sul territorio locale? A quale modello di sviluppo ci si riferisce pensando a questi investimenti?"
Matteo Renzi, al suo secondo Consiglio Europeo come primo ministro, ha richiesto che non venga contato nella soglia del 3% il cofinaziamento statale o regionale richiesto per usufruire dei fondi strutturali europei.
Non è un caso che uno delle prime domande del “giovane” primo ministro riguardi proprio i Fondi europei: l’Italia deve imparare a spendere tutti i fondi che le vengono assegnati in un momento in cui non si può più fare affidamento sulla spesa pubblica nazionale.
La storia della mala gestione dei fondi strutturali nel nostro Paese è ormai ventennale. Ci sono regioni che non sono state in grado di spendere nemmeno la metà dei fondi assegnati, mentre in nome di austerity e spending review si tagliano anche i servizi essenziali. In questo quadro ci sembra centrale aggredire il tema di come le risorse vengono gestite nel nostro Paese e nei nostri territori. Per questo abbiamo deciso di aderire alla manifestazione regionale, indetta da Usb per il prossimo 28 marzo, per una diversa gestione dei Fondi europei.
I fondi strutturali sono principalmente due: il Fondo sociale europeo (FSE) e il Fondo per lo sviluppo regionale europeo (FSRE); nel complesso alla regione Lazio, per il periodo 2014-2020, sono stati assegnati più o meno due miliardi di euro, circa tre miliardi a Roma Capitale.
Gli obiettivi e le linee guida per la gestione di questi fondi vengono decise tramite trattative complesse tra Commissione europea, stato ed enti locali. Entro questo anno dovrebbe essere approvato l’accordo di partenariato, ma notizia di questi giorni, la Commissione ha completamente bocciato la bozza di accordo redatto dal nostro governo, perché ritenuto troppo vago negli obiettivi e negli indicatori di risultato. Insomma ancora una volta non si specifica come verranno spesi questi soldi e quali siano i risultati attesi sulla base degli investimenti fatti.
Nel frattempo tutte le regioni hanno cominciato a definire i propri accordi e linee guida relativi all’utilizzo dei fondi, attivando una serie di “processi partecipativi” sul territorio per il coinvolgimento della società civile, che potremmo definire dall’alto verso il basso.
Nel Lazio questo “processo di ascolto” della società civile si chiama Lazio Idee: un insieme dei grandi incontri, piccole formazioni, un sito con materiale informativo e un portale dove poter scrivere il proprio contributo per il partenariato. Difficile pensare che questo processo possa essere risolto con un po' di “trasparenza e comunicazione”.
La questione dei Fondi europei pone domande ben più radicali: chi decide gli obiettivi di spesa? Chi decide come attuare le priorità dei fondi sul territorio locale? A quale modello di sviluppo ci si riferisce pensando a questi investimenti? Questi sono temi profondamente politici, che non possono essere affrontati con semplici siti di informazione né ci si può nascondere dietro tecnicismi di sorta.
Democratizzare il processo di allocazione delle risorse: questa è la vera posta in gioco sui Fondi europei. E vorremmo ribaltare uno dei leitmotiv del dibattito europeo: questa volta siamo noi – centri sociali, palestre popolari, teatri occupati, associazioni di base e cooperative fuori dalle grandi filiere del mercato, fabbriche recuperate, reti sociali di neo-mutualismo – che vogliamo fare “i compiti a casa” e abbiamo deciso di farli bene!
Se il Fondo sociale europeo deve promuovere “politiche per l’occupazione, per l’inclusione sociale, per il supporto alle imprese e per l’istruzione e la formazione” - così come definito dal regolamento europeo - vogliamo decidere noi come sviluppare queste linee guida sul nostro territorio: reddito minimo di cittadinanza per inoccupati e disoccupati, promozione della “buona occupazione”, valorizzando le nuove esperienze di “economia dei lavoratori” e di autorganizzazione produttiva (come le fabbriche recuperate), sostegno alle esperienze di welfare dal basso (studentati autogestiti, scuole di italiano e scuole popolari, progetti di mutualismo territoriale), sostegno al diritto allo studio, eliminazione degli stage gratuiti e della mafia dei finti corsi di formazione.
Non è più accettabile che le scelte su questi fondi siano decise nelle stanze chiuse dei tavoli di concertazione tra lobby politiche, grandi imprese, sindacati confederali, associazioni di categoria, legittimate poi da iniziative di facciata sulla “partecipazione della società civile”, come gli Stati generali del partenariato.
Per queste ragioni, in prima istanza, bisogna chiudere l’era del clientelismo e delle lobby che fino ad oggi hanno dominato la gestione dei Fondi europei.
La questione non è semplicemente assediare le risorse, ma è decidere su queste risorse, far emergere la corruzione di questa gestione e ribaltare le tecniche di governance per costruire una riappropriazione democratica di questi fondi.
Dentro questa partita si gioca una sfida più grande: definire uno spazio europeo democratico, fondato su un welfare comune ed universale. La battaglia per una diversa gestione dei Fondi europei è un primo passo per il ribaltamento di ciò che viene chiamata la governance multi-level, un meccanismo di governo multiforme che, in molti casi, stritola e sussume la partecipazione e il conflitto, anche attraverso il finanziamento delle iniziative della società civile.
Non ci interessa aggiungere un posto al tavolo delle lobby e della concertazione. Vogliamo rovesciare il tavolo e costruire un processo di riappropriazione democratica che immagini un'Europa sociale dei diritti e della cittadinanza.
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