Il Cdm corre ai ripari, dopo che ieri la maggioranza era andata sotto per due volte in Commissione. Renzi: "E' un segnale chiaro, forte e netto, con 3mila posti per i politici in meno". Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio: "Avremo un Paese più semplice. Oggi poniamo le basi per la riforma dell'Italia".
Il governo Renzi però al Senato ha ballato. Un risultato sul filo se si pensa che la maggioranza che disse sì alla nascita dell’esecutivo Renzi il 25 febbraio scorso poté contare su 169 senatori. E anche oggi ha rischiato: la richiesta di sospendere i lavori dell’Aula, avanzata in apertura di seduta dal sottosegretario Bressa per consentire ai tecnici di scrivere il maxiemendamento e al ministro delle Riforme Boschi di porre ufficialmente la questione di fiducia, è stata messa ai voti, per decisione di Linda Lanzillotta (Sc), ed è stata accolta sempre con 4 voti di scarto (134 sì, 128 no e due astenuti). Nel caso poi l’istanza di sospensione fosse stata respinta, l’Assemblea avrebbe dovuto fare i conti con la richiesta sospensiva (del testo) annunciata nel frattempo dal leghista Roberto Calderoli. Per evitare rischi e per “poter sbandierare la bandierina del taglio delle province in vista del voto per le Europee”, hanno sottolineato più volte in Aula i senatori M5S, il governo gioca la carta del voto di fiducia. E passa con Forza Italia che non sembra intenzionata a fare delle vere e proprie barricate. Tra ieri e stamattina le assenze “azzurre”, si spiega nel centrodestra, dimostrano che in Fi non si intende creare veri problemi . E alla fine rientra anche il dissenso dei centristi. L’unico che vota contro è Maurizio Rossi, mentre Tito Di Maggio, dopo un durissimo intervento contro il testo, preferisce alla fine lasciare l’Aula.
Un disegno di legge discusso e contestato da molte parti, dall’opposizione fino ai protagonisti delle istituzioni. “Il ddl è assolutamente insufficiente”, ha commentato Antonio Saitta, presidente della Provincia di Torino e Unione delle Province d’Italia, “pieno di contraddizioni, crea solo confusione e incertezza sulle competenze. E non abolisce le Province, che alla fine saranno ancora 107, con meno competenze e funzioni, e più confusione. Cambierà solo il sistema elettorale che diventerà di secondo grado. E poi il ddl non prevede tempi brevi per il passaggio di consegne, e quindi l’idea è che si andrà avanti di proroga in proroga”. E Saitta sottolinea anche che “il ddl prevede che nella riorganizzazione delle competenze qualche funzione vada anche alle Regioni, sul futuro delle quali è in atto una discussione; quindi, si danno delle competenze che poi è possibile che torneranno indietro”. Il provvedimento è contestato da più parti: da chi vorrebbe tenere in vita il sistema attuale, da chi lo considera troppo tenero e da chi, preoccupato del riordino delle competenze, ritiene necessario un ddl costituzionale. La commissione Bilancio al Senato ha espresso un parere non ostativo molto articolato, con cinque condizioni di copertura su altrettanti articoli o parti di essi, e sei osservazioni. In particolare, nel parere si segnala che “varie disposizioni del provvedimento tendono inevitabilmente ad ampliare i margini di discrezionalità del governo nella predisposizione dei decreti attuativi”. La commissione Bilancio ha anche avanzato osservazioni sul rischio che con questo ddl aumentino i costi per lo Stato. “Non può escludersi – si legge – la duplicazione di costi e funzioni” dalla norma che “consente l’elezione diretta del sindaco e del Consiglio delle Città metropolitane”.
Il Partito democratico ostenta entusiasmo nonostante le polemiche. “Il ddl Delrio”, ha commentato il presidente del gruppo al Senato Luigi Zanda, “è il primo tassello di un complesso di riforme istituzionali che comprende anche le modifiche al titolo V della Costituzione, la fine del bicameralismo perfetto con la trasformazione del Senato, la nuova legge elettorale e l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti votata qualche settimana fa. Queste riforme elencate in sequenza dimostrano che c’è una forte idea di cambiamento. E quando il processo di riforme istituzionali sarà terminato, la forma dello stato italiano sarà diversa“. Il capogruppo di “Per l’Italia” Lucio Romano ha annunciato il sì alla fiducia al governo Renzi, esprimendo invece numerose perplessità. “Siamo del tutto consapevoli della necessità di una politica concretamente innovatrice che riduca costi e pesi delle rappresentanze istituzionali. Anche se avremmo auspicato un provvedimento più incisivo e una riduzione certa dei costi. Teniamo però conto dei rilievi formulati dalla Corte dei Conti, dei legittimi interrogativi sull’opportunità di creare città metropolitane sostanzialmente sovrapponibili ad alcune province e soprattutto della necessità di far seguire il riordino in discussione oggi alla riforma del Titolo V della Costituzione“. “Tuttavia -ha concluso il capogruppo- votiamo la fiducia, perchè convinti della necessità di affermare ancora una volta che questa maggioranza è tenuta insieme da un forte collante riformatore e dalla convinzione di guardare costruttivamente al futuro”.
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