Corsa contro il tempo per approvare il disegno di legge per evitare nuove elezioni. Il governo Renzi vacilla anche su edilizia scolastica, cavallo di battaglia del premier. Approvato in Affari costituzionali, sarà discusso nel pomeriggio a Palazzo Madama e dovrà comunque tornare alla Camera.
La prima vera prova del governo Renzi si gioca sul disegno di legge per l’abolizione delle Province,
sponsorizzato e portato avanti dal braccio destro Graziano Delrio (e
ora sottosegretario alla presidenza del Consiglio). E nella corsa contro
il tempo per ottenere l’approvazione entro il fine settimana, la
maggioranza è stata battuta due volte in Commissione Affari Costituzionali al Senato.
In particolare, è stato approvato un emendamento dell’opposizione che
restituisce alle Province la competenza sull’edilizia scolastica. E’
stato, poi, bocciato un emendamento del relatore relativo all’indennità
del presidente. Dopo i primi due ostacoli, il testo Delrio ha avuto così
il via libera della commissione e approderà alle 15 all’esame
dell’assemblea per l’inizio della discussione generale. Soddisfatto al
termine il relatore Francesco Russo (Pd): “Aldilà di alcune posizioni divergenti -afferma- in commissione si è registrata un’ottima collaborazione,
senza la quale non saremmo arrivati a questo punto”. Il voto finale
dell’aula sul testo, che comunque dovrà tornare alla Camera, è previsto
per domani pomeriggio. Tra le modifiche approvate in commissione, c’è
anche un subemendamento del relatore Russo che modifica le regole per l’incompatibilità della carica da parlamentare con qualsiasi altra carica pubblica elettiva,
permettendo ai parlamentari di continuare a ricoprire cariche nei
Comuni inferiori a 15mila abitanti (anziché a 5mila, come prevede la
legge attuale).
Perché una corsa contro il tempo? Il rischio è quello di far scattare l’indizione dei comizi elettorali e quindi trovarsi con il paradosso che le strutture da rottamare si trovino a dover indire nuove elezioni per rinnovarsi. Ad essere coinvolte sono 52 province a statuto ordinario e altre 21 già commissariate nel 2012/2013. Se il ddl non sarà approvato entro fine marzo, l’appuntamento sarà per l’election day del 25 maggio prossimo. ”Terminato il G7, sono a Roma per lavorare sui nostri dossier: Province, Senato, Titolo V, Cnel, scuole, Patto di stabilità. #buongiorno”, così ha twittato nelle prime ore della giornata il premier Matteo Renzi.
“Una riforma che fa acqua da tutte le parti”, commenta il senatore M5s Giovanni Endrizzi. Ma non solo. I dubbi che accompagnano la riorganizzazione del tema arrivano da varie fonti accreditate. “Quello che dai media”, scriveva Luigi Oliveri su lavoce.info a gennaio 2014, “è definito il disegno di legge ‘svuota province’, in realtà non prevede né l’abolizione né il loro riordino. Anzi, crea una situazione molto più confusa di quella attuale. Processo di attuazione decisamente lungo e complesso, con risparmi solo illusori”. Ad essere criticato in primo luogo è il fatto che la legge non elimini le province: è prevista infatti una loro riorganizzazione. Là dove sarebbero eliminate, verrebbero sostituite dalle città metropolitane, a guida questa volta del sindaco del capoluogo. Una decisione che potrebbe mettere in discussione la “rappresentatività elettorale” del primo cittadino che dovrà gestire direttamente altre questioni che non riguardano direttamente ciò per cui è stato eletto.
“Mi ritengo molto soddisfatto – ha commentato il relatore Pd Francesco Russo - tutti i gruppi parlamentari hanno contribuito al testo uscito dalla commissione”. Il termine per la presentazione degli emendamenti in Aula è stato fissato per le 17 e Russo non ha escluso la possibilità che “qualche emendamento possa essere ripresentato”. Ha retto dunque l’accordo con le opposizioni, in particolare con Lega e Forza Italia, anche se quest’ultima chiede ancora l’elezione diretta del sindaco della Città metropolitana. Approvati quindi tutti gli emendamenti presentati dal relatore. Le principali novità riguardano il numero di Città metropolitane, che saranno solo dieci senza la possibilità per i capoluoghi di Sicilia, Sardegna e Friuli Venezia Giulia di diventarlo. Via anche la possibilità per le grandi Province (con 1 milione di abitanti) di diventare Città metropolitane. Confermato il commissariamento delle Province in scadenza fino al 31 gennaio 2014, il trasferimento di parte delle loro funzioni, e l’entrata a regime delle Città metropolitane il 1 gennaio 2015. Province e Città metropolitane saranno organi di secondo grado.
Capitolo nero anche quello che riguarda i risparmi. Gli esperti infatti denunciano che nel testo prodotto dall’ex ministro agli Affari regionali Graziano Delrio non affronta in modo dettagliato la questione risparmi. Come infatti segnalato sempre Oliveri su lavoce.info, il processo di riorganizzazione prende a ispirazione lo studio dell‘istituto Bruno Leoni e un possibile risparmio di circa 2 miliardi, anche se per quanto riguarda il risparmio dall’abolizione degli enti, la cifra sarebbe di soli 160 milioni. Ad essere più certa invece, è la rilevazione della Corte dei conti che parla di risparmi incerti e rilancia: si guadagnerebbero solo 35 milioni, visto che già nell’estate del 2011 si era proceduto con una forte riduzione delle strutture organizzative.
Perché una corsa contro il tempo? Il rischio è quello di far scattare l’indizione dei comizi elettorali e quindi trovarsi con il paradosso che le strutture da rottamare si trovino a dover indire nuove elezioni per rinnovarsi. Ad essere coinvolte sono 52 province a statuto ordinario e altre 21 già commissariate nel 2012/2013. Se il ddl non sarà approvato entro fine marzo, l’appuntamento sarà per l’election day del 25 maggio prossimo. ”Terminato il G7, sono a Roma per lavorare sui nostri dossier: Province, Senato, Titolo V, Cnel, scuole, Patto di stabilità. #buongiorno”, così ha twittato nelle prime ore della giornata il premier Matteo Renzi.
“Una riforma che fa acqua da tutte le parti”, commenta il senatore M5s Giovanni Endrizzi. Ma non solo. I dubbi che accompagnano la riorganizzazione del tema arrivano da varie fonti accreditate. “Quello che dai media”, scriveva Luigi Oliveri su lavoce.info a gennaio 2014, “è definito il disegno di legge ‘svuota province’, in realtà non prevede né l’abolizione né il loro riordino. Anzi, crea una situazione molto più confusa di quella attuale. Processo di attuazione decisamente lungo e complesso, con risparmi solo illusori”. Ad essere criticato in primo luogo è il fatto che la legge non elimini le province: è prevista infatti una loro riorganizzazione. Là dove sarebbero eliminate, verrebbero sostituite dalle città metropolitane, a guida questa volta del sindaco del capoluogo. Una decisione che potrebbe mettere in discussione la “rappresentatività elettorale” del primo cittadino che dovrà gestire direttamente altre questioni che non riguardano direttamente ciò per cui è stato eletto.
“Mi ritengo molto soddisfatto – ha commentato il relatore Pd Francesco Russo - tutti i gruppi parlamentari hanno contribuito al testo uscito dalla commissione”. Il termine per la presentazione degli emendamenti in Aula è stato fissato per le 17 e Russo non ha escluso la possibilità che “qualche emendamento possa essere ripresentato”. Ha retto dunque l’accordo con le opposizioni, in particolare con Lega e Forza Italia, anche se quest’ultima chiede ancora l’elezione diretta del sindaco della Città metropolitana. Approvati quindi tutti gli emendamenti presentati dal relatore. Le principali novità riguardano il numero di Città metropolitane, che saranno solo dieci senza la possibilità per i capoluoghi di Sicilia, Sardegna e Friuli Venezia Giulia di diventarlo. Via anche la possibilità per le grandi Province (con 1 milione di abitanti) di diventare Città metropolitane. Confermato il commissariamento delle Province in scadenza fino al 31 gennaio 2014, il trasferimento di parte delle loro funzioni, e l’entrata a regime delle Città metropolitane il 1 gennaio 2015. Province e Città metropolitane saranno organi di secondo grado.
Capitolo nero anche quello che riguarda i risparmi. Gli esperti infatti denunciano che nel testo prodotto dall’ex ministro agli Affari regionali Graziano Delrio non affronta in modo dettagliato la questione risparmi. Come infatti segnalato sempre Oliveri su lavoce.info, il processo di riorganizzazione prende a ispirazione lo studio dell‘istituto Bruno Leoni e un possibile risparmio di circa 2 miliardi, anche se per quanto riguarda il risparmio dall’abolizione degli enti, la cifra sarebbe di soli 160 milioni. Ad essere più certa invece, è la rilevazione della Corte dei conti che parla di risparmi incerti e rilancia: si guadagnerebbero solo 35 milioni, visto che già nell’estate del 2011 si era proceduto con una forte riduzione delle strutture organizzative.
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