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Il Centre for Defence Strategies e la solita retorica trita e ritrita
Proprio quando pensavamo che il dibattito pubblico non potesse diventare più surreale, arriva il Centre for Defence Strategies dall’Ucraina con un nuovo rapporto “Toy Soldiers: Nato military and intelligence officers in Russian active measures”. Questa organizzazione, ricca di membri illustri e con curriculum di tutto rispetto, ha deciso di etichettare alcuni dei nostri generali più stimati come “soldati giocattolo” al servizio delle “misure attive” russe. Non serviva un’istituzione così strutturata per riproporre la solita retorica dozzinale: bollare come “putiniano” qualsiasi espressione di dissenso o lettura alternativa rispetto alla narrativa che l’Ucraina cerca di imporre, con notevole successo, in tutta Europa.
Chi sono i veri “Toy Soldiers”?
Nel rapporto intitolato “Toy Soldiers: Ufficiali militari e di intelligence della NATO nelle misure attive russe“, il Centre for Defence Strategies punta il dito contro generali italiani del calibro di Marco Bertolini, Fabio Mini, Roberto Vannacci e Leonardo Tricarico. bollando le loro opinioni espresse in molte interviste come “filorusse” o “putiniane”, con epiteti diffamatori come “Toy Soldiers” (soldati giocattolo) tesi a screditare la loro credibilità.
Ma non è tutto: questi ufficiali hanno servito il nostro Paese e la NATO con onore e dedizione, ma secondo il centro ucraino sarebbero parte di una campagna di influenza promossa da Mosca. Un’accusa pesante che suona più come una farsa che come un’analisi seria.
Un rapporto che sa di farsa
Ma chi c’è dietro questo Centre for Defence Strategies? Il presidente è Andrij Zagorodnyuk, ex ministro della Difesa ucraino dal 2019 al 2020. Il Think ucraino è presieduto da Oleksandr V Danylyuk, ex consigliere del ministero della Difesa di Kyiv, che insegna sul tema di minacce ibride anche a funzionari di governo in collaborazione con il King’s College London. Dettagli non da poco, visto che l’organizzazione sembra avere un interesse particolare nel sostenere una certa narrativa ed a definirsi ‘indipendente‘. È come se un ex allenatore diventasse arbitro della partita: un conflitto d’interessi grande come una casa.
La sua leadership, fortemente connessa a Londra, mostra un’inquietante sovrapposizione con figure già note per aver promosso interventi militari controversi, come il generale Wesley Clark. Quest’ultimo, noto per il suo ruolo nella guerra contro la Serbia, incarna una visione interventista che ha segnato decenni di politica estera angloamericana neocon.
L’operato del centro sembra richiamare dinamiche già viste con altre organizzazioni manipolatorie, come il cosiddetto Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, un’entità con base a Coventry, spesso accusata di distorcere i fatti della guerra in Siria per favorire una narrativa occidentale preconfezionata. Anche in questo caso, il parallelismo appare evidente: un centro lontano dal teatro di guerra, ma con il potere di influenzare politiche e opinioni a livello globale.
La colpa di avere un’opinione
La vera “colpa” dei nostri generali? Hanno osato fare ciò che dovrebbero fare tutti gli esperti: analizzare, riflettere e, se necessario, criticare. La loro ‘colpa’ è l’aver espresso opinioni critiche e ponderate sul conflitto in Ucraina, sottolineando i devastanti costi umani e materiali di una guerra senza fine. In un mondo ideale, queste voci autorevoli arricchirebbero il dibattito pubblico. Ma nel mondo del Centre for Defence Strategies, ogni dissenso è sospetto, ogni analisi diversa è una minaccia da eliminare con l’etichetta di “filorusso”.
Non sono solo i generali italiani a sollevare questioni
È curioso notare che anche think tank statunitensi come la RAND Corporation hanno espresso preoccupazioni simili. Nel loro report “Planning for the Aftermath: Assessing Options for U.S. Strategy Toward Russia After the Ukraine War”, gli analisti Samuel Charap e Miranda Priebe esortano gli Stati Uniti a cercare una rapida conclusione del conflitto. Avvertono che una guerra prolungata potrebbe danneggiare gli interessi americani e aumentare il rischio di un confronto diretto tra Russia e NATO. Ma nessuno osa bollare questi esperti come “putiniani”.
Il gioco sporco delle Etichette
Sembra che il vero obiettivo del Centre for Defence Strategies sia quello di soffocare qualsiasi voce critica. L’uso di epiteti denigratori come “soldati giocattolo” è una tattica per screditare e delegittimare, piuttosto che per contribuire a un dibattito costruttivo. È la solita retorica di bassa lega: se non sei con noi, sei contro di noi.
L’interferenza di questa organizzazione nel dibattito pubblico italiano è allarmante. Non possiamo ignorare che esistano tentativi di influenzare l’opinione pubblica attraverso la diffamazione di figure autorevoli. Questo non è solo un attacco a singoli individui, ma una minaccia alla libertà di espressione e al pluralismo delle idee nel nostro Paese.
Un’ingerenza da non sottovalutare
È fondamentale che l’Italia protegga il diritto dei suoi cittadini a esprimere opinioni diverse, specialmente quando queste provengono da esperti con una vasta esperienza. Questa non è una semplice diatriba tra esperti. È un attacco al libero pensiero e al diritto di esprimere opinioni divergenti. Permettere che organizzazioni straniere influenzino il nostro dibattito pubblico è pericoloso e inaccettabile. Non possiamo lasciare che voci autorevoli vengano messe a tacere da chi ha interessi palesemente di parte.
L’azione del Center for Defence Strategies non è solo un attacco ai singoli ufficiali italiani, ma rappresenta un pericolo per l’intera Europa. Mettendo a tacere voci autorevoli e indipendenti, questa organizzazione contribuisce a perpetuare un clima di conflitto e instabilità, a beneficio di interessi esterni. È evidente che l’obiettivo non è il bene dell’Ucraina o dell’Europa, ma il mantenimento di uno stato di guerra che alimenta le industrie belliche e rafforza il controllo angloamericano sull’agenda geopolitica.
L’Italia deve proteggere il diritto a un dibattito libero e pluralistico. Non possiamo permettere che chi esprime un pensiero diverso venga etichettato in modo denigratorio. È fondamentale difendere il pluralismo delle idee e il rispetto reciproco, pilastri su cui si fonda la nostra democrazia.
Difendiamo la Libertà di Pensiero
La libertà di espressione non è negoziabile. La libertà di pensiero e la circolazione delle idee sono la linfa vitale della democrazia. Dobbiamo essere vigili e pronti a difendere il diritto di tutti a esprimere la propria opinione, specialmente quando proviene da persone con esperienza e competenza. Non possiamo permettere che organizzazioni esterne influenzino il nostro dibattito pubblico con tattiche divisive e retorica incendiaria. È il momento di alzare la voce, di difendere il pluralismo e di promuovere un confronto sano e rispettoso. Solo così potremo affrontare le sfide globali con realismo e responsabilità, senza cadere nelle trappole della propaganda e della manipolazione.
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