Qualche volta una buona notizia. È accaduto il 20 novembre 2024 a Torino. La Corte d’appello ha assolto, per avere agito in stato di necessità, 19 ragazze e ragazzi, per lo più anarchici, che per oltre due anni hanno accolto migranti in una casa occupata a Oulx, in Valle di Susa, sul confine con la Francia. Poi lo sgombero e le misure cautelari. Ora, finalmente, un giudice ha detto quel che dovrebbe essere ovvio: salvare vite non è un reato.
volerelaluna.it Claudio Novaro
Sono note le vicende che hanno interessato da qualche anno a questa parte i confini della provincia di Torino, e segnatamente della Val di Susa, verso la Francia. Nel 2015, a seguito degli attentati iniziati a gennaio con la strage alla redazione di “Charlie Hebdo”, il Governo francese proclamava lo stato d’emergenza, chiudendo le frontiere e incrementando i controlli ai confini. Divenuta quasi impraticabile la via sino ad allora più percorsa dai migranti per raggiungere il territorio francese (la frontiera in Liguria, dopo Ventimiglia), il flusso migratorio, prima timidamente poi con sempre maggiore intensità, si spostava verso la Valle di Susa. Secondo quanto si legge nel rapporto di Medici per i diritti umani (Medu) dell’ottobre 2020, «a partire dal 2017 l’Alta Valle di Susa, e in particolare Bardonecchia, ha iniziato ad essere attraversata da un flusso consistente di migranti. […] A partire dal 2018 i flussi hanno continuato a crescere e progressivamente si sono spostati verso il valico del Monginevro». Cambia anche, nel corso del tempo, la provenienza dei flussi, che è inizialmente in larga parte subsahariana (con rotta del Mediterraneo Centrale) mentre «dalla fine del 2019 […si sostituisce la rotta subsahariana e del Mediterraneo Centrale con quella balcanica». Secondo le stime di Medu, «dal 2017 ad agosto del 2020 è probabile che circa 10.000 persone abbiano attraversato le Alpi passando dalla Valle di Susa».
Si tratta di un attraversamento che comporta innegabili rischi, e che ha provocato numerosi morti, specie nel corso della stagione invernale, con il raffreddamento del clima, la presenza di neve e la maggior difficoltà di orientarsi, l’inesperienza di molti migranti, spesso vestiti del tutto inadeguatamente. Con l’aumento del flusso migratorio sono aumentati anche i controlli di polizia (emblematico il caso diplomatico creatosi nel marzo 2018, con l’irruzione di cinque agenti armati delle dogane francesi nella stazione di Bardonecchia, alla ricerca di migranti), con il risultato di rendere più rischioso l’attraversamento delle persone in transito. Non è la montagna che uccide – hanno rilevato molti osservatori – ma la militarizzazione del territorio, che impone scelte, strategie, percorsi sempre più pericolosi per sottrarsi ai monitoraggi sempre più pervasivi delle forze dell’ordine.
Di fronte a questa ennesima emergenza umanitaria, accanto a modesti interventi istituzionali, si sono avute plurime iniziative di volontariato, che hanno coinvolti le reti di soggetti solidali sul versante italiano e su quello francese, e l’apertura, a Oulx, della “Fraternità Massi”, gestita dalla fondazione “Talità Kum”, con lo scopo di offrire pasti caldi ai migranti, pernottamento notturno (il rifugio era aperto dal tardo pomeriggio sino alla mattina) e consulenze medico-giuridiche. In questo stesso ambito, nel marzo 2018 un gruppo di attivisti della rete “Briser les Frontières”, in larga parte appartenenti ai circuiti anarchici, ha deciso di occupare il sottoscala della chiesa di Clavière, ribattezzata ironicamente “Chez Jésus”, puntualmente sgomberata nell’ottobre dello stesso anno, dopo la denuncia del parroco e la segnalazione del sindaco, da polizia e carabinieri. Dopo lo sgombero, nel successivo dicembre, gli occupanti si sono spostati ad Oulx, prendendo possesso della vecchia casa cantoniera, in disuso da anni, e rimettendola in sesto con un paziente lavoro di pulizia e ristrutturazione. In sintonia con le politiche securitarie di governo dei flussi migratori e di chiusura di tutti i luoghi di accoglienza “informali”, anche in questo caso le istituzioni hanno scelto la strada dello sgombero, avvenuto nel marzo del 2021, con l’attivazione di un procedimento penale a carico di chi aveva promosso e realizzato l’occupazione.
Il processo di primo grado, iniziato nell’ottobre del 2021, si è concluso, dopo 9 udienze dibattimentali, nel dicembre 2022, con una declaratoria di improcedibilità per difetto di querela per i soli due imputati che dovevano rispondere della violazione di domicilio del sottoscala della chiesa di Clavière e con un proscioglimento per particolare tenuità del fatto nei confronti di 19 imputate e imputati a cui veniva contestata l’occupazione della casa cantoniera di Oulx. Nel corso dell’istruttoria dibattimentale, in cui sono stati sentiti 15 testimoni d’accusa e 13 indicati dalle difese, è emerso, per dirla con le parole usate dal tribunale in sentenza, la «innegabile funzione di supporto che la gestione dell’immobile occupato ha fornito […] nel campo dell’assistenza e dell’accoglienza dei migranti transitanti […] verso il confine francese». Vale la pena di riportare qualche estratto delle testimonianze raccolte nel corso del processo, perché consentono di apprezzare nel dettaglio il ruolo e l’importanza che la casa occupata aveva assunto:
«Erano spesso e volentieri famiglie con donne, con bambini, puerpere, donne incinte, anziani, o persone che comunque vada che avevano molte fragilità anche per il cammino che avevano fatto, l’unico luogo che desse accoglienza durante il giorno era la casa cantoniera, mentre il rifugio Massi ospitava perlopiù quelli che venivano respinti alla frontiera del Monginevro e a quella del Frejus».
«A volte arrivavano anche … superavano le 70 persone al giorno, erano lì accolte. Per averne una misura, quando il 23 di marzo viene sgomberata la casa cantoniera, il Fraternità Massi si trova a gestire i flussi che hanno superato spesso gli 80, 100 persone».
«Quando è stata chiusa, io mi ricordo quel giorno, sono arrivate 63 persone che erano presenti alla casa cantoniera e di lì abbiamo poi iniziato ad aprire tutto il giorno e tutta la notte … per il semplice motivo che eravamo rimasti l’unica risorsa di accoglienza sul territorio».
«La composizione dei flussi è … molte famiglie, nuclei anche plurigenerazionali, quindi vuol dire il nonno, il papà e il nipote, molte donne incinte … neonati, puerpere, persone che avevano patito aborti lungo il cammino, persone che avevano fragilità e sofferenze dovute a dei cammini che vanno dai 2 ai 6 anni e a respingimenti nei Balcani che a volte superano i 50 tentativi, oltre a tutte quelle violazioni di diritti. Che sono l’essere picchiati, l’essere rimandati indietro scalzi, l’essere fatti passare nell’acqua gelata, e l’aver dovuto … anche affrontare i cammini … a volte di 15 giorni, nelle boscaglie …».
«Le persone che arrivavano … a Oulx, oltre ad avere enormi problemi agli arti inferiori, spesso infezioni, ferite, vesciche che … se non fratture, poi portavano con sé tutta un’altra serie di problemi … che erano legati a una vita miserrima, condotta per tutto il cammino, problemi polmonari o di funzioni cardiache, problemi pediatrici …, problemi ginecologici … E ultimo, persone che arrivano lì, sindromi psicologiche o psichiatriche post traumatiche».
«Spesso … i respinti che venivano accolti al Fraternità Massi poi durante il giorno si spostavano alla casa cantoniera … Le persone desiderano sentirsi utenti, desiderano sentirsi migranti, desiderano sentirsi persone. Ed effettivamente la casa cantoniera aveva o tendeva o cercava questa orizzontalità, che non sempre è possibile nei centri più formali».
«I posti informali hanno una capacità di restituire dignità personale anche in condizioni estremamente difficili, cosa che non sempre viene garantita dai posti formali …».
«Il Fraternità Massi fino a dicembre 2021 era costituito da un grande salone … da due stanze al piano superiore e da una piccola cucina … la casa cantoniera aveva spazi diversi. E le persone all’interno potevano liberamente muoversi, dal scegliersi i vestiti per poter partire, a scegliere cosa cucinare, al poter avere una stanza che potevano anche … interessante, modellare un po’ con i loro bisogni, no? E alle loro… alle necessità di intimità che hanno famiglie».
«Nella Bibbia c’è scritto che chi salva una vita salva il mondo intero. E io trovo che quei ragazzi al di là delle legalità, abbiano salvato molte vite. In quel periodo lì non ci sono stati morti, quindi è servita».
Bene, aver salvato molte vite non ha tuttavia sottratto gli imputati dall’applicazione di misure cautelari. A 17 sugli iniziali 18 indagati viene applicata all’inizio di giugno 2020 la misura del divieto di dimora dai comuni di Clavière, Oulx, Cesana, Bardonecchia e Salbertrand, una misura funzionale a tagliare alle gambe a qualsiasi loro iniziativa politica contro le frontiere o di solidarietà verso i migranti. Il Tribunale del riesame di Torino, un paio di settimane dopo, inopinatamente, conferma le misure con una motivazione che vale la pena di citare almeno per sommi capi. «Le condotte perpetrate – hanno osservato i giudici del tribunale – non si sono esaurite in atti di solidarietà umana e carità (sic!) verso il prossimo, ma hanno integrato […] gli estremi dei reati in contestazione, per di più talvolta sovrapponendo talaltra sostituendo alle ragioni umanitarie dell’occupazione finalità di diversa matrice». In particolare, «a iniziative di natura assistenziale […] si erano aggiunte opere di propaganda politica e di protesta in contrasto con il sistema di accoglienza organizzato dalle amministrazioni locali. […] Nel giro di pochi mesi tali iniziative della rete anarco-ambientalista […] avevano assunto concreti aspetti di strumentalizzazione dei loro interventi in quanto espressione di un’azione di contrasto alle politiche governative in materia dei flussi migratori e promozione di una rotta migratoria clandestina nella zona del valico del Monginevro, apertamente sollecitata da una manifestazione […] denominata “Camminata contro le frontiere per muoversi liberamente da Claviere a Monginevro”».
Un’ordinanza cautelare non contiene solo una ricognizione di un atto di rilevo penale, ma esprime una gerarchia di valori, un modello di relazioni sociali. Al di là della tortuosità della costruzione sintattica della frase da ultimo citata, il punto di vista del tribunale del riesame assume un significato chiaro: passi la carità verso i migranti, ma l’attivismo politico contro le frontiere per la libertà di movimento, come aspirazione necessaria di tutte le persone, quello proprio no. Aveva osservato qualche mese prima la Rete di solidarietà Briser les Frontieres: «Se ci saranno morti su queste Alpi la colpa non sarà della neve o del ghiaccio. Se altre persone perderanno degli arti per ipotermia, o se rischieranno la vita, non sarà colpa del freddo, o dei passeurs. La responsabilità è tutta politica ed è di chi ha deciso di creare questa frontiera e di coloro che la controllano».
Nel corso delle indagini, per imbastire il capo di imputazione sull’occupazione dello stabile, il nucleo operativo del comando provinciale dei carabinieri di Torino, ha effettuato molteplici e continuativi servizi di osservazione e controllo a distanza (dall’inizio di dicembre 2018 sino al giugno 2019), installando anche alcune telecamere nei pressi dell’edificio occupato per poter filmare e monitorare le presenze all’interno della casa e arrivando, persino, a monitorare gli spostamenti all’interno della valle di alcuni occupanti. Un investimento notevole di risorse economiche e umane che non ha però dato i frutti sperati, visto, come detto, che in prima battuta il tribunale ha pronunciato una sentenza di proscioglimento per tenuità del fatto.
Contro questa, pur positiva, decisione hanno però interposto appello imputate e imputati, chiedendo alla corte di secondo grado di assolverli nel merito perché il fatto non costituisce reato, attraverso il riconoscimento della scriminante dell’aver agito perché spinti dallo stato di necessità di salvare altri soggetti dal pericolo attuale di un danno grave alla persona. Tale circostanza era stata negata dal primo giudice sul presupposto che difettava, «nel caso di specie, la prova della ricorrenza di una situazione di pericolo inevitabile di danno grave alla persona di carattere immanente e transitorio per tutta la durata dell’occupazione». In altre parole, non sarebbe stato dimostrato che «gli odierni imputati siano intervenuti in occasione di specifiche situazioni di imminente pericolo».
Il 20 novembre scorso, con una sentenza la cui motivazione sarà leggibile solo tra qualche giorno, la Corte d’appello di Torino ha, invece, mandato assolti tutti gli imputati e le imputate, riconoscendo la causa di giustificazione dello stato di necessità e ritenendo, dunque, che la condotta di occupazione dello stabile dismesso trovasse la sua ragione ultima nella necessità di tutelare il diritto alla vita e all’integrità fisica di ogni singolo migrante che percorreva la rotta Olux- Clavière- Monginevro. Un piccolo ma significativo barlume di luce in questi tempi bui di di ossessione securitaria e di feroce governo della circolazione di esseri umani. Soprattutto, una limpida risposta alla criminalizzazione della solidarietà e del conflitto che emergeva, come abbiamo visto, dalle incongrue scelte di parte della magistratura torinese e degli inquirenti, fondate addirittura su un’applicazione estesa di misure cautelari.
Nessun commento:
Posta un commento