Gent. ma Senatrice Segre,
non se ne abbia a male se continuo a rivolgermi a lei e a ribattere ai suoi interventi pubblici.
(Elena Basile – lafionda.org)
Mi costa emotivamente rivolgermi a lei che mi ha querelato per razzismo.
Naturalmente,
non starebbe a me e neanche a lei stabilire qualcosa di cui è
incaricata la Corte Internazionale di Giustizia, organo delle Nazioni
Unite. Eppure, dati i tempi inevitabilmente lunghi del giudizio della
Corte, tante voci si esprimono in materia.
Lei afferma che non c’è
genocidio perchè non c’è una sistematica azione di sterminio di un
gruppo etnico. Vi sono crimini di guerra legati alla guerra. Osserva che
storicamente il genocidio non è stato funzionale a una guerra. E
conclude affermando che l’accusa di genocidio proietterebbe su Israele
il male assoluto che renderebbe poi difficile la pace. Addirittura crede
che si tratti di “libidine” se si afferma che un popolo che ha subito
il genocidio lo stia eseguendo su un altro popolo.
Cominciamo con
l’esaminare la Convenzione sul genocidio di Ginevra, firmata affinché
dopo l’Olocausto tali orrori non si ripetessero.
Per genocidio si
intende ciascuno degli atti seguenti commessi con l’intenzione di
distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico: a) uccisone
dei membri; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale dei membri
c) sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a
provocare la sua distruzione fisica totale o parziale.
Mi sembra che in questi 3 criteri sui 5 stabiliti dalla Convenzione rientri pienamente l’operato di Israele.
Che
il genocidio non sia stato in passato funzionale a una guerra non
significa che, qualora lo sia, non debba essere riconosciuto come
genocidio.
Quello che fa propendere anche il grande intellettuale
israeliano Ori Goldberg per l’esistenza di un genocidio a Gaza è la
sistematicità della distruzione: azioni coordinate eliminano donne,
bambini, la classe dirigente, dottori, giornalisti, professori,
operatori UNRWA, radono al suolo ospedali, scuole e chiese, provocano
espulsioni di massa, carestia, disumanità, realizzando la frantumazione
dell’esistenza palestinese a Gaza.
La motivazione del genocidio – afferma Goldberg – è stata in passato come oggi l’autodifesa.
Molti,
come mi sembra anche Travaglio, affermano trattarsi di pulizia etnica e
non di genocidio in quanto il movente sarebbe l’espulsione dalla
Palestina. Insomma, se i Palestinesi lasciassero la Palestina, gli
Israeliani non si impegnerebbero nel genocidio.
Goldberg afferma che
il genocidio è legato alla pulizia etnica. Quest’ultima si verifica se
si perseguita e si pratica violenza su un gruppo per fargli lasciare un
territorio. Si tratta tuttavia di azioni frammentate che diminuiscono se
i membri del gruppo cedono.
Ori Goldberg nota che a Gaza si è giunti
dalla pulizia etnica al genocidio per il coordinamento sistematico
degli atti di distruzione messi in atto.
Senatrice, non è con
libidine, come afferma, che si riversa questa atroce accusa su un popolo
che ha subito il genocidio. È con disperata tristezza. Comprenderà che
se la vittima diventa carnefice il senso della Storia scompare.
Un
abusato dovrebbe – più di chiunque non abbia subìto alcun abuso – essere
sensibile e denunciare il crimine alle prime avvisaglie, appena ne vede
l’ombra.
Goldberg, a prescindere dalla definizione giuridica che
spetta alla CIG, sente infatti l’esigenza di una posizione politica al
riguardo.
Senatrice, lei afferma che con l’accusa di genocidio si
considera Israele artefice di un male assoluto e questo sarebbe negativo
per la pace. Mi permetto di dissentire. Solo se Israele sarà in grado
di andare fino in fondo alla consapevolezza della notte che l’ha
travolto avrà la possibilità di risorgere. E’ quanto accaduto
storicamente ad altri Stati e popoli.
Noi, le comunità ebraiche, i
cattolici, la società civile laica, dovremmo essere lì per accompagnare
il popolo e lo Stato di Israele in questo percorso doloroso.
Gli
ebrei di oggi, le vittime, sono i Palestinesi. L’umanesimo e una
possibile luce per l’umanità possono essere ritrovati solo nella difesa
determinata e senza compromessi dei diritti del Popolo di Palestina.
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