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Raggiunto nella notte l’accordo tra il Consiglio e il Parlamento Europeo sul Digital Services Act,
la legge che, così viene annunciata, per la prima volta al mondo avrà
un forte potere regolatorio sulle grandi aziende tecnologiche. Nello
specifico, secondo la definizione della legge stessa, su piattaforme
digitali e motori di ricerca che abbiano più di 45 milioni di utenti
attivi mensilmente.
La presidente della Commissione europea ha salutato l’accordo come un evento storico:
“le nostre nuove regole proteggeranno gli utenti online, garantiranno
libertà di espressione e opportunità per le imprese. Ciò che è illegale
offline sarà effettivamente illegale anche online nell’UE. Un segnale forte per persone, aziende e paesi in tutto il mondo”, così ha esultato la Von der Leyen su Twitter.
Da
quanto si legge nel comunicato pubblicato nelle scorse ore, la legge
sembra indirizzata a evitare che le piattaforme digitali possano
ospitare traffici illegali, frodi, messaggi violenti. E tenda inoltre a
evitare la profilazione degli utenti e a proteggere i minori da
contenuti inadeguati.
Ma come è noto, la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni, e il timore è che dietro i nobili propositi delle gerarchie europee si nascondano scopi ben più prosaici, a cui la stessa Von der Leyen non ha mai fatto mistero di aspirare: cioè un intervento muscolare sulla diffusione di informazioni ritenute scomode o non funzionali agli scopi dei vertici europei.
Tra i diversi punti dell’accordo si trova infatti quello del cosiddetto “meccanismo di crisi”. A questo proposito il comunicato recita che: “Nel contesto dell’aggressione russa in Ucraina e del particolare impatto sulla manipolazione delle informazioni online, un nuovo articolo è stato aggiunto al testo introducendo un meccanismo di risposta alle crisi.
Questo meccanismo sarà attivato dalla Commissione su raccomandazione
del consiglio dei coordinatori nazionali dei servizi digitali. Consentirà di analizzare l’impatto delle attività delle piattaforme sulla crisi in questione e di decidere misure proporzionate ed efficaci da mettere in atto per il rispetto dei diritti fondamentali”.
Pur nel lessico ovattato e vago del testo, difficile leggere in questo punto qualcosa di diverso dalla volontà di esercitare uno stretto controllo sull’informazione.
D’altra parte, una delle prime misure volute dalla presidente della
Commissione Europea a seguito dell’intervento russo in Ucraina era stata
proprio quella di silenziare le testate di RT e Sputnik, privando i cittadini europei del punto di vista russo sulla guerra in corso.
Proprio
nei giorni scorsi, la legge ha incassato il sostegno di due pezzi da
novanta del partito democratico americano. Barak Obama è infatti tornato
prepotentemente sul tema dell’informazione online, e durante
una conferenza alla Stanford University ha affermato che “la
disinformazione è una minaccia per la nostra democrazia e continuerà ad
esserlo a meno che non collaboreremo per affrontarla”. In contemporanea,
Hillary Clinton ha scritto su Twitter: “Per troppo tempo, le piattaforme tecnologiche hanno amplificato la disinformazione
e l’estremismo senza responsabilità. L’UE è pronta a fare qualcosa al
riguardo. Esorto i nostri alleati transatlantici a spingere il Digital
Services Act oltre il traguardo e rafforzare la democrazia globale prima
che sia troppo tardi”.
Insomma, in uno stile che ormai
abbiamo imparato a conoscere fin troppo bene, secondo cui il green pass
equivale alla libertà e inviare armi serve alla pace non poteva mancare
il concetto che la censura sia un servizio alla democrazia.
A seguito dell’accordo raggiunto a Bruxelles, il DSA dovrà essere ratificato dal Parlamento e dalla Commissione,
una volta completato questo processo, il testo entrerà in vigore 20
giorni dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Ue e le regole inizieranno ad applicarsi 15 mesi dopo.
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