https://www.sinistrainrete.info
di Lorenzo Tecleme
Le porte della galera, mai aperte per chi ha commesso i crimini di guerra denunciati da Wikileaks, si spalancano per chi quei crimini li rivela
Il suo nome è sconosciuto alle cronache per anni. Attivista e giornalista con un passato da programmatore, nel 2006 Julian Assange fonda Wikileaks, un portale specializzato in fughe di notizie pescate negli archivi di governi e grandi aziende. L’idea alla base del progetto è la trasparenza, concetto caro tanto al pensiero di sinistra quanto a quello più genericamente libertario. «Tre cose non possono essere nascoste a lungo: la Luna, il Sole e la Verità» è stato lo slogan di Wikileaks.
Il suo operato passa sostanzialmente sotto silenzio fino al 2010, quando gli Afghan War Logs e gli Iraq War Logs conquistano le prime pagine di tutto il mondo. Si tratta di due distinte fughe di notizie, le più grandi della storia degli Stati uniti d’America, contenenti decine di migliaia di documenti prodotti dal Pentagono e destinati a rimanere segreti. I file raccolti da Assange e il suo team raccontano ciò che gli alti comandi statunitensi pensano davvero dei conflitti in Afghanistan e Iraq.
Si parla del fallimento delle strategie occidentali e dell’aumento degli attentati, si documentano migliaia di vittime civili mai rese pubbliche e nascoste nei resoconti ufficiali, si raccolgono (e insabbiano) prove di probabili crimini di guerra. Il più celebre tra i documenti resi pubblici è passato alla storia come Collateral Murder. Un video di dieci minuti in cui si vede un elicottero d’assalto statunitense colpire e uccidere diciotto persone e ferirne altre due a Baghdad nel luglio del 2007. I soldati statunitensi erano convinti di colpire miliziani nemici. In realtà le vittime erano tutte civili: due di loro erano giornalisti, e i due feriti erano bambini.
Questo video fa il giro del mondo, e a detta di molti analisti ha un ruolo fondamentale nell’allontanare l’opinione pubblica occidentale dal supporto al conflitto. Collateral Murder diventa uno dei simboli dell’insensatezza della guerra al terrore lanciata da George W. Bush. Wikileaks rende disponibili in anteprima i documenti a un numero selezionato di grandi media internazionali: Der Spiegel, The Guardian, The New York Times, Al Jazeera, Le Monde.
Assieme all’ondata di indignazione, però, monta anche il caso giudiziario. Nel maggio del 2010 Chelsea Manning, la whisteblower che aveva fornito ad Assange e soci i documenti top-secret riguardanti l’Iraq, viene arrestata in Kuwait e poi estradata negli Stati uniti. Le condizioni della sua prigionia sono considerate durissime, tanto che l’anno seguente duecentocinquanta giuristi americani firmano una lettera di condanna della sua carcerazione. Scarcerata nel 2017 a seguito della grazia concessa dall’allora presidente Barack Obama, è tornata in prigione nel 2019. La nuova accusa è quella di aver rifiutato di testimoniare contro Julian Assange in un processo. Solo nel marzo del 2020 è definitivamente libera.
Ancora più complessa – e tragica – è la vicenda di Assange. Mentre è al centro dell’attenzione mediatica per le rivelazioni di Wikileaks, due donne in Svezia lo denunciano per stupro. L’accusa è quella di aver avuto rapporti consenzienti con entrambe, ma di essersi rifiutato di usare un preservativo – condotta illegale per la legge di Stoccolma. Assange, che si trova nel Regno Unito, viene raggiunto da un mandato d’arresto, ma si rifiuta di comparire e chiede asilo politico all’ambasciata ecuadoriana a Londra, che glielo concede. L’Ecuador, guidato in quegli anni dal leader socialista Rafael Correa, è in rotta di collisione politica con gli Stati uniti e ben contento di fare uno sgambetto diplomatico a Washington. In seguito le accuse verranno archiviate, e più di un dubbio viene avanzato sulla loro solidità. In ogni caso, il rifiuto di Assange a consegnarsi alla giustizia inglese è legato alla paura di essere poi estradato negli Stati uniti per ben altri reati: spionaggio, rivelazione di segreti di stato, crimini informatici.
Negli anni che Assange passa rinchiuso nel piccolo appartamento dell’ambasciata, Wikileaks continua la sua attività. Alcune nuove rivelazioni dell’organizzazione vengono salutate con favore dalla stampa che già aveva accolto gli Iraq e Afghanistan War Logs. Altre, in particolare quelle relative a Hillary Clinton, rese note in piena campagna elettorale, gli alienano i favori della stampa progressista, procurandogli accuse di putinismo. In ogni caso, la persecuzione giudiziaria nei suoi confronti è denunciata da tutte le principali Ong che si occupano di diritti umani e libertà di stampa: Consiglio d’Europa, Reporter Senza Frontiere, Human Rights Watch, Amnesty International. Anche l’Onu, per bocca dell’inviato speciale per la tortura Nils Melzer, che alla vicenda Assange ha da poco dedicato un libro, si esprime. «[Assange presenta] i segni tipici dell’esposizione prolungata alla tortura psicologica» scrive Melzer.
L’ultimo capitolo della vicenda è di questi giorni. Dopo il cambio di governo in Ecuador nel 2019 Assange perde lo status di rifugiato politico e viene arrestato dalle autorità britanniche. Nel frattempo in Spagna la magistratura indaga sulla società responsabile della sicurezza dell’ambasciata – che avrebbe per anni spiato Assange per conto della Cia – e trenta ex-agenti di Cia e Pentagono rivelano a Yahoo News! come l’amministrazione Trump avesse elaborato piani per rapire o addirittura uccidere Assange all’interno dell’ambasciata. Niente di tutto questo, però, ferma gli eventi. Il 20 aprile di quest’anno la Suprema Corte britannica dà il via libera all’estradizione negli Usa. Ad attendere Assange oltre l’Atlantico una probabile condanna a 170 anni di carcere. Di fatto, l’ergastolo.
Il precedente
La vicenda di Assange è umanamente tragica. Le porte della galera, mai aperte per chi ha commesso i crimini di guerra denunciati da Wikileaks, si spalancano per chi quei crimini li rivela. «Mio figlio rischia di morire in carcere» ha detto meno di un anno fa il padre di Assange.
Ma ancora più inquietanti sono le possibili conseguenze di questa storia. La paura in chi si occupa di libertà di stampa è quella del precedente: d’ora in poi chi in occidente rivela segreti di stato – anche se quei segreti provano atrocità, corruzione, scandali di ogni genere – sa che la conseguenza potrà essere il carcere a vita (e la legge statunitense potrebbe in linea teorica spingersi fino alla pena di morte). «Tutti gli atti elencati nell’atto di accusa – incoraggiare una fonte a fornire informazioni classificate, nascondere l’identità della fonte e dare indicazioni alla fonte su come ottenere l’informazione – sono ciò che i giornalisti fanno ogni giorno, in particolare quelli che si occupano di questioni sensibili legati alla sicurezza nazionale. Stabilire questo standard per il quale qualcuno può essere accusato e perseguito per cospirazione criminale metterebbe in pericolo il lavoro di tantissimi giornalisti» scriveva Branko Marcetic tre anni fa su Jacobin Magazine.
La questione Assange, insomma, va al di là della sua persona. E il giudizio politico sulla vicenda va oltre la simpatia o antipatia per il personaggio, o la sua idea di giornalismo, o le scelte editoriali fatte da Wikileaks negli anni. «Il problema non è se amare o non amare Julian Assange. Il problema è se accettare o meno che un contributo al giornalismo venga assimilato allo spionaggio» è il riassunto di Reporters Sans Frontiers.
Quando l’aggressore è un paese geopoliticamente avverso al nostro – come la Russia in Ucraina – è facile mostrarne i crimini. Quando a compiere gesti simili siamo noi, o i nostri vicini di casa, è molto più difficile. Per questo serve, a noi e alla nostra idea di democrazia, che continuino a esistere grilli parlanti come Julian Assange, cattivi maestri che «diffondono ciò che qualcuno non vuole si sappia», per usare la celebre definizione di giornalismo di Horacio Verbitsk. Ma se la persecuzione giudiziaria diventa la norma, sarà sempre più difficile replicare l’esempio di Assange, Manning, Snowden e altri celebri giornalisti e whisteblower.
Per questo, ora più che mai, dobbiamo chiedere la liberazione di Julian Assange.
Nessun commento:
Posta un commento