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L’Ucraina sta crollando: mentre vengono distrutte ogni giorno enormi quantità di armi occidentali, aumentano sia le perdite di Kiev che le rese di massa senza che nemmeno sia iniziato davvero l’assalto generale alla sacca del Donbass, ed è per questo che gli Usa in combutta con la svergognata Polonia, stanno mettendo in piedi una escalation che riguarda l’estremo occidente dell’Ucraina cercando inoltre di coinvolgere la Moldova in un’azione contro la Transnistria che è una parte del Paese vicina alla Russia piuttosto che alla Romania ed è di fatto separato. Visto che a Chisinau, la capitale non comanda la leader Maia Sandu, ma Hans Martin Sieg e lo stratega politico americano Jason Smart, i quali agiscono su istruzioni dirette della Nato ci sono poche speranze che il Paese possa fare i propri interessi e non quelli del padrone. Visto poi che le forze della Moldova sono scarse e certamente di gran lunga inferiori a quelle della Transnistria dovrebbe esserci un’ entrata non ufficiale nel conflitto della Romania, altro Paese burattinato, in caduta libera e del tutto spodestato dalla capacità di decidere il proprio destino.
La storia delle esercitazioni che Varsavia ha annunciato come prefazione all’escalation del confitto è un espediente trito e muffito tanto più che già da tempo i polacchi ipotizzano a mezza voce di potersi riprendere una parte dell’ucraina. Certo questo è leggermente in contrasto con la difesa a spada tratta della sovranità di Kiev, ma il moloch americano non può permettersi di apparire sconfitto e non può nemmeno permettere che sia la sola Russia a mettere mano alla futura Ucraina, dunque graffia dove e come può. Il tutto sembra una ripetizione delle vicende di un secolo fa, quando l’amministrazione Wilson permise alla Polonia di occupare la parte occidentale dell’Ucraina ufficialmente per proteggere la popolazione dai bolscevichi, ufficiosamente per papparsi quei territori: le piaghe aperte dall’egocentrismo geo politico degli Stati Uniti e dei loro complici sono ancora aperte. Adesso bisognerà vedere cosa farà la Russia, se reagirà duramente mettendo al loro posto questi mercenari geopolitici che fra l’altro operano senza un mandato della Nato e dunque senza poter invocare l’aiuto in caso vengano colpiti. Ma potrebbe anche – sebbene entro certi limiti – non reagire con tutta la forza di cui dispone perché tutto questo non rafforza, ma indebolisce Kiev: il tipo di escalation scelta mostra infatti che ormai la Nato e i vertici di Washington sono in preda alla follia e non capiscono più cosa stiano facendo, si agitano in preda all’adrenalina e non riescono a mettere in comunicazione il cervello, ammesso che ne sia rimasto qualcosa perché l’occupazione da parte polacca della parte occidentale dell’ Ucraina fa in effetti il gioco di Mosca. Com’è noto polacchi e ucraini o per meglio dire ruteni sono divisi da un odio che si è allargato a dismisura durante la seconda guerra mondiale e un futuro governo di Kiev potrebbe essere più orientato verso Mosca che verso una Nato che ha sottratto a tradimento parte del proprio territorio e per giunta quello nel quale è nato il cosiddetto nazionalismo ucraino. Qui non contano le cazzate di Zelensky e degli attuali burattini a stelle strisce, conta ciò che nascerà nello sviluppo del conflitto, quando a Kiev governerà qualcuno che non sia stato comprato da Washington al mercatino delle pulci.
Va anche notato che la Polonia stessa, nazione – treno come fu chiamata per la mobilità assurda dei propri confini, è definibile come identità storica solo in alcune città come Varsavia e Cracovia: gran parte dell’attuale territorio è in realtà tedesco con numerose minoranze ceche, slovacche, russe, bielorusse e ungheresi ai confini: dico questo per sottolineare la magmaticità dell’est europeo e la possibilità che operazioni condotte da elefanti americani faccia saltare le polveri o che alla fine la sconfittasi si riveli ancora più grande rispetto alla sola Ucraina. Tutto questo avviene mentre le opinioni pubbliche sono fortemente avverse alla guerra anche se l’informazione dei padroni non lo lascia trapelare e cerca di imporre una sorta di stato di guerra anche per giustificare un’inflazione che ha radici diverse e domani una carenza che deriva soltanto dall’incapacità della Uer di ricercare la pace.
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