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Evgeny Norin
rt.com
L’attuale crisi in Ucraina, dove la Russia ha riconosciuto le repubbliche ribelli del Donbass, sembra insolita, ma non si tratta di una storia nuova per il periodo post-sovietico. Qualcosa di simile agli eventi odierni nel Donbass aveva avuto luogo nel 1992 e l’enclave risultante esiste ancora.
Il territorio, formalmente non riconosciuto da parte della Moldavia, si era formato come risultato di una breve guerra, allo stesso tempo assurda e crudele. Quella guerra aveva molti paralleli con l’attuale conflitto – comprese anche le storie personali di molti dei suoi partecipanti.
Il crollo dell’Unione Sovietica era stato accompagnato da una serie di scontri armati. Alcuni sono passati alla storia come esempi di violenza folle e sfrenata, paragonabili solo ai conflitti in Africa e in Medio Oriente. Tuttavia, tra questi spicca una strana e piccola guerra nella regione della Transnistria.
Si tratta di un’area appena distinguibile sulla mappa, che si estende in direzione nord-sud lungo il fiume Dniester, al confine tra Ucraina e Moldavia, lunga circa 200 chilometri e larga solo una ventina. Alla fine dell’era sovietica, aveva una popolazione di circa 680.000 persone. Prima del crollo dell’URSS, la Transnistria era una terra sonnolenta dove non era successo quasi nulla da molti decenni.
Nel 1992, vi era stato un conflitto della durata diversi mesi, quando i ribelli, soprattutto Russi e Ucraini, avevano impugnato le armi contro il governo della nuova Moldavia indipendente. Nonostante la scala molto ridotta, quella guerra era stata una sorta di prologo di tutta la sanguinosa storia dei conflitti armati post-sovietici.
La Transnistria era entrata a far parte della Russia durante l’era imperiale della dinastia Romanov. Le guerre tra San Pietroburgo e l’Impero Ottomano avevano fatto guadagnare all’Impero Russo vaste estensioni di territorio a nord del Mar Nero. Sotto Caterina II, il confine passava lungo le rive del fiume Dniester e proprio a quell’epoca risale la costruzione di Tiraspol, la futura capitale della Transnistria. Un decennio e mezzo dopo, la Russia aveva riconquistato dai Turchi la Bessarabia – la parte orientale dell’antico principato moldavo, l’origine dell’attuale Moldavia.
Queste terre avevano vissuto più o meno pacificamente come parte dell’Impero Russo. Le radici del problema attuale risalgono agli eventi del 1917. Come risultato della Rivoluzione Russa e della guerra civile, la Moldavia era entrata a far parte della Romania, ma la Transnistria era rimasta all’Unione Sovietica. L’URSS aveva assunto il ruolo implicito di collettore delle terre imperiali russe e la Transnistria era stata considerata una regione distinta dalla Moldavia per scopi politici. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la Moldavia era stata annessa all’URSS, Transnistria compresa.
Il problema era che la Transnistria era una regione non integrata con la Moldavia. La sua struttura economica era molto diversa dal resto della repubblica. A differenza della Moldavia agraria, la Transnistria era principalmente un’area industriale. Nonostante rappresentasse solo il 17% della popolazione della Moldavia ed una porzione molto piccola del suo territorio, alla fine del periodo sovietico, la sua industria forniva il 40% del PIL della repubblica e fino al 90% delle forniture di energia elettrica.
Un’altra grande differenza era nella composizione etnica della regione. La maggioranza della popolazione moldava era costituita da Moldavi di lingua rumena, imparentati con i loro vicini di Bucarest. Tuttavia, in Transnistria, la maggioranza della popolazione era composta da Slavi – Russi e Ucraini. Per ovvie ragioni, il nazionalismo moldavo, che auspicava la rinascita dei legami con la Romania, non aveva trovato alcun sostegno in Transnistria. Nella regione industriale russofona e slava, le idee filo-sovietiche erano rimaste popolari anche durante la crisi che aveva portato al crollo della stessa URSS.
Finché l’Unione Sovietica era rimasta forte, queste differenze non avevano costituito alcun problema. Per l’URSS, il nazionalismo etnico era inaccettabile. I popoli erano affratellati dall’ideologia – almeno ufficialmente. Tuttavia, alla fine degli anni ’80, l’URSS era lacerata da una serie di difficoltà. In particolare, il problema del nazionalismo era riemerso più forte che mai. In un periodo in cui l’URSS stava vivendo una serie di problemi interni, l’ideologia sovietica perdeva rapidamente il favore della gente, mentre il populismo nazionalista guadagnava un forte slancio tra i popoli che vivevano alla periferia dell’URSS.
Nelle repubbliche nazionali, il progetto sovietico aveva incoraggiato la creazione di una classe di intellettuali e dirigenti, perchè questo faceva parte del credo internazionalista dell’ideologia socialista. Questo facilitava anche la creazione di stati funzionanti: sotto il dominio sovietico, le repubbliche etniche dell’URSS erano riuscite a ricostruire l’industria e a creare burocrazie nazionali più o meno efficienti. Nel frattempo, l’intellighenzia nazionale educata dall’URSS era anche in grado di adattare la propria ideologia all’idea di una secessione dall’Unione Sovietica.
Infine, un altro dettaglio importante: la 14a Armata sovietica era di stanza in Transnistria. Anche se il suo complesso di strutture militari era costituito da giganteschi arsenali e non da un vero e proprio contingente pronto al combattimento, c’era abbastanza materiale per armarne uno. Inoltre, erano presenti molti ufficiali in pensione che vivevano in Transnistria, che si tenevano in contatto tra loro e formavano una ‘corporazione’ abbastanza influente nella regione.
La Transnistria aveva cessato di essere un tranquillo e pittoresco angolo dell’URSS intorno al 1989, nel momento in cui la Moldavia aveva iniziato ad essere percorsa da un’ondata di nazionalismo e di romanticismo etnico. I leader dello stato emergente, da un lato, disconoscevano il loro passato sovietico, ma, dall’altro, facevano, in realtà, parte integrante dell’intellighenzia sovietica, con le loro vaghe idee sul funzionamento degli stati occidentali. Naturalmente, questo aveva influenzato anche le loro opinioni su come una nazione da poco indipendente avrebbe dovuto gestire le relazioni con i propri cittadini.
Le convinzioni di queste persone andavano dal sincero fanatismo al desiderio di giocare la carta nazionale per guadagnare favori politici. Tra loro c’era, per esempio, Mircea Druk – che, ai tempi d’oro dell’Unione Sovietica, aveva espresso convinzioni nazionaliste, ma che, in realtà, era solo un tipico rappresentante della nomenklatura sovietica che godeva del ruolo di funzionario privilegiato. Un altro leader del movimento indipendentista moldavo, Mircea Snegur, era stato anche lui originariamente un carrierista di partito, ma il crollo dell’URSS gli aveva offerto l’opportunità di trasformarsi, da ordinario funzionario regionale, a leader di uno stato piccolo, povero, ma separato.
Un problema a
parte era rappresentato dall’idea della riunificazione con la Romania,
alla quale i Moldavi sono vicini per sangue e lingua. Sebbene queste
opinioni potessero essere popolari nella società moldava “nativa”
dell’epoca, un tale futuro era assolutamente inaccettabile per i
Transnistriani.
Erano stati l’estremo radicalismo e la grande
ingenuità dei partecipanti all’evento, insieme alla mancanza di
disponibilità al compromesso, che avevano contribuito a far degenerare
la questione prima in uno scontro civile e poi in una guerra.
Tutto
aveva avuto inizio nel 1989, con l’introduzione in Moldavia di un
progetto di legge sull’adozione della lingua moldava come unico idioma
di stato e il conseguente passaggio all’alfabeto latino. Questa
decisione era stata presa unicamente sulla base dei sentimenti
nazionalistici degli ultra-patrioti moldavi, senza alcun tentativo di
sondare l’opinione pubblica sulla questione.
In Transnistria, la
situazione era particolarmente difficile. Da un lato, la gente era
spaventata dalla retorica nazionalista sempre più dura, e, dall’altro,
quasi tutti nella regione parlavano moldavo. Un forte senso di
solidarietà si era già sviluppato tra la popolazione della Transnistria e
i lavoratori delle grandi imprese industriali e i militari in pensione
erano molto uniti. Nello stesso anno, avevano formato il Consiglio Unito
dei Collettivi del Lavoro (UCLC), che rappresentava gli interessi
generali della Transnistria.
Nell’estate del 1990, la Moldavia (ora Repubblica di Moldavia) aveva dichiarato l’indipendenza. E, il 2 settembre, veniva proclamata la Repubblica Moldava Pridnestroviana al Congresso dei deputati della Transnistria. Era guidata da un russo etnico di nome Igor Smirnov – figlio di un preside e di una giornalista, che aveva lavorato nell’industria per tutta la vita. Anche se viveva in Transnistria solo dagli anni ’80, Smirnov era il direttore di un impianto elettrico a Tiraspol ed era già noto nella regione.
I Transnistriani erano motivati da diverse considerazioni. Da un lato, date le maldestre politiche del neo-proclamato governo moldavo e, in particolare, la sua retorica, la popolazione della Transnistria aveva paura di essere discriminata dai nazionalisti. Dall’altro, molte persone volevano conservare lo stile e l’ordine di vita sovietico o, viceversa, desideravano sgravi fiscali per la regione economicamente più importante della Moldavia.
Tuttavia, a Chisinau, la capitale della Moldavia, avevano già preso posizione: i romantici del luogo consideravano tutti i progetti per l’autonomia [della Transnistria] nient’altro che un’insurrezione inscenata da un gruppo ammutinati. Così, era nato lo scontro.
Da un lato della barricata c’erano i Transnistriani – Russi e Ucraini di etnia filorussa o addirittura sovietica. Dall’altra la maggior parte dei Moldavi, di idee nazionaliste.
In realtà, la situazione era molto più complicata. Tra i Transnistriani, c’erano molti Moldavi con idee socialiste o che, semplicemente, si erano uniti alla milizia per solidarietà con amici e vicini. E, tra le forze di sicurezza moldave, c’erano molti Russi rimasti per prospettive di carriera o per fedeltà al nuovo stato.
La 14a Armata sovietica, che aveva il suo quartier generale in un’antica fortezza del XVI secolo nella città di Bender, era stata fin dall’inizio un importante alleato della Transnistria. Nel caos che aveva accompagnato il crollo dell’URSS, aveva in pratica smesso di prendere ordini da Mosca. Anche se alcuni degli ufficiali esitavano, molti, in realtà, simpatizzavano con i Transnistriani, soprattutto quelli le cui famiglie vivevano in Moldavia.
La guerra vera e propria era ostacolata dalla mancanza di armi, ma ne era rimasta un’enorme quantità nei magazzini del Paese. Di conseguenza, entrambe le parti avevano saccheggiato gli arsenali sovietici. La Moldavia aveva creato le proprie forze armate, inizialmente sulla base di distaccamenti volontari e polizia. In Transnistria, avevano formato una propria milizia e la Guardia Repubblicana.
All’inizio, i Moldavi avevano cercato di risolvere il problema nel modo più semplice possibile. Smirnov era stato rapito mentre si trovava in Ucraina, probabilmente con la connivenza dei servizi segreti locali. Tuttavia, in quel momento, il confronto non aveva ancora raggiunto il livello di una vera e propria guerra e il leader dei ribelli era stato rilasciato a fronte delle sue minacce di spegnere le luci in Moldavia, visto che tutta l’elettricità proveniva dalla Transnistria.
In ogni caso, era chiaro che le vere battaglie stavano profilandosi all’orizzonte. In Transnistria erano arrivati volontari dalla Russia e dall’Ucraina, spesso con convinzioni politiche opposte – dai comunisti ai monarchici. I Cosacchi russi, rivitalizzati dal crollo sovietico, avevano inviato un numero insolitamente grande di volontari, che si distinguevano per le uniformi arcaiche e il temperamento violento.
La milizia locale comprendeva anche molti dei personaggi che vengono alla ribalta proprio nei periodi di anarchia. Il più sorprendente era il tenente colonnello Yuri Kostenko, un ufficiale dell’esercito sovietico e un veterano della guerra in Afghanistan. Si era ritirato dall’esercito a causa del suo carattere difficile e, all’inizio degli anni ’90, era diventato uno dei primi imprenditori privati della città di Bender. Durante l’escalation del conflitto, Kostenko aveva formato un suo battaglione della Guardia Repubblicana ed era diventato famoso per il suo folle coraggio e, allo stesso tempo, per la sua crudeltà e per la mancanza di rispetto per gli ordini dei suoi superiori. Le opinioni su di lui erano molteplici. A Bender, era visto da alcuni come il principale combattente del crimine e, da altri, come il principale boss del crimine. In ogni caso, i nemici gli riconoscevano il coraggio e gli amici gli rimproveravano la ferocia. Aveva rapidamente stabilito contatti con alcuni ex colleghi, che avevano aiutato il suo gruppo a procurarsi delle armi. Molti distaccamenti erano stati creati in modo simile, con gli ufficiali della 14a Armata sovietica che partecipavano attivamente alla formazione della milizia con il tacito permesso del comandante dell’esercito, Gennady Yakovlev.
Nel 1990, l’URSS era già in punto di morte e la guerra stava scoppiando in Transnistria. I primi scontri si erano verificati nella città di Dubossary, nel centro geografico della repubblica. Il 2 novembre 1990, la polizia moldava aveva cercato di entrare nella città ma era stata accolta da una folla ostile ma disarmata. Uno dei poliziotti aveva avuto paura ed aveva aperto il fuoco, uccidendo tre persone. La polizia stessa non si aspettava questo corso degli eventi, ma le uccisioni avevano provocato orrore e indignazione. La guerra aveva iniziato a prendere una vita propria. Fino a quel momento, le reclute non erano entrate nella milizia, ma ora la gente della città correva in massa ad arruolarsi nei centri di reclutamento.
I piani dei Moldavi erano semplici e abbastanza
logici – attraversare il fiume Dniester utilizzando i ponti e tagliare
la Transnistria in due.
Non lontano da Dubossary, c’era una piccola
scultura su una collina che raffigurava un pioniere che suonava una
tromba. Le trincee erano state scavate sotto questo trombettiere e la
statua veniva utilizzata come punto di riferimento per i tiri. Alla fine
dei combattimenti, il ragazzo di gesso, crivellato da schegge e
proiettili, sembrava il vero simbolo di una svolta epocale.
Tuttavia, nessuna delle due parti aveva un esercito regolare e, invece di una guerra lampo, Moldavi e i Transnistriani avevano combattuto in trincea per mesi interi. In ogni caso, questa era ben diversa dalla guerra di trincea della Prima Guerra Mondiale e questo perchè entrambe le parti erano mal preparate e mancavano di armi pesanti, il che impediva un combattimento efficace. Un’altra notevole differenza era il bellissimo panorama.
In generale, molti combattenti avevano considerato l’imminente guerra alla stregua di un picnic paramilitare. Soldati e miliziani venivano spesso al fronte con taniche di vino, a volte con le fidanzate, e si facevano entusiasticamente fotografare in uniforme e con le armi. Un combattente ricordava che nella terra di nessuno si trovavano enormi alberi carichi di ciliegie, che i combattenti spesso andavano a raccogliere, esponendosi al fuoco nemico. Ma poi si godevano i frutti per i quali avevano rischiato la vita.
A volte questi picnic erano interrotti da battaglie veramente feroci. I Moldavi cercavano di sfondare il fronte, mentre la milizia razziava costantemente i magazzini della 14a armata, portando via armi e munizioni. A volte, il personale di guardia chiedeva persino ai razziatori di essere legato o anche malmenato, in modo da poter fingere che l’equipaggiamento era stato veramente rubato nonostante la loro opposizione.
Durante il periodo di questi sanguinosi picnic, l’URSS era crollata, ma questo aveva cambiato di poco la situazione sul campo. La parte moldava non era riuscita a sfondare il fronte intorno a Dubossary. Il problema più importante era che poche persone in Transnistria o in Moldavia volevano veramente combattere. E, mentre le milizie difendevano le proprie case, i Moldavi non avevano questa motivazione. Non c’era una ragione seria per questa guerra e poche persone volevano morire in essa. Come risultato, i combattimenti erano fiacchi.
Nell’estate del 1992, i Moldavi avevano deciso di cambiare la direzione dell’offensiva. Questa volta l’obiettivo era la città di Bender. A differenza di quasi tutto il resto della Transnistria, questa città è situata sulla riva occidentale del Dniester, quindi non era necessario attraversare il fiume. Al contrario, il ponte sul Dniester era alle spalle dei difensori della città. Inoltre, per gli standard locali era una grande città, con più di 140.000 abitanti e l’importante base della 14a armata era situata proprio lì, il che significava che nella città era presente sia un arsenale che un forte contingente di sostenitori della Transnistria.
Tutte queste ragionevoli considerazioni avevano spinto i militari moldavi verso una battaglia risolutiva. Tuttavia, non tutto era andato secondo i piani, e i ministri e i generali si erano reciprocamente accusati dell’insuccesso. Alla fine, molti avevano cercato di dare la colpa al presidente Mircea Snegur, che, a sua volta, aveva affermato di non sapere nulla dei combattimenti.
Stranamente, il dipartimento di polizia moldavo aveva continuato a lavorare a Bender, per lo più difendendosi. Tuttavia, il 19 giugno, la polizia aveva arrestato un maggiore della Guardia Transnistriana che si muoveva incautamente per la città accompagnato solo da un autista. Nella città era quindi scoppiata una rivolta spontanea e la stazione di polizia era stata circondata. In quel momento, si stava avvicinando a Bender un gruppo di truppe moldave, proprio mentre nelle scuole della città si stavano svolgendo le feste di laurea. Più tardi, ai Moldavi era stato ricordato il tempismo estremamente inopportuno dell’attacco.
L’assalto a Bender si era immediatamente trasformato in una lotta incredibilmente caotica per le strade. I Moldavi erano riusciti a passare il ponte sul Dniester, mentre le milizie transnistriane cercavano di entrare con la forza in città dalla riva orientale. I Moldavi avevano messo in posizione alcuni cannoni, mirando ai veicoli che cercavano di raggiungere il ponte. Sembrava una battaglia dell’era napoleonica, con i cannoni che sparavano direttamente ai veicoli e ai carri armati che cercavano di entrare a Bender.
È interessante notare che questa batteria era comandata da un colonnello di etnia russa di nome Leonid Karasev, che viveva in Moldavia ed era un sostenitore del patriottismo locale. Lui stesso aveva iniziato a fare fuoco con uno dei cannoni, dopo che le giovani reclute si erano spaventate. Nel frattempo, sulla sponda orientale, i Cosacchi, avendo bevuto molto, erano saliti nelle macchine e avevano attraversato il ponte sfidando il fuoco dell’artiglieria e catturando la batteria con un combattimento corpo a corpo. Karasev era sopravvissuto, ma i cannoni erano andati perduti. Più tardi, [quei cannoni] erano stati portati in giro per Bender coperti da graffiti e scritte del genere “Non sparerò più.” Alla fine, i rinforzi erano iniziati ad affluire a Bender dalla riva orientale, mentre i soldati e gli ufficiali che sostenevano i Transnistriani, molti dei quali avevano la famiglia in città, avevano iniziato ad uscire dalla fortezza di Bender “per andare a fare la guerra.” Per unirsi alla battaglia bastava uscire dal portone.
La battaglia per Bender avrebbe potuto essere molto più distruttiva di quanto non fosse stata in realtà, dato che una parte significativa della città era occupata da impianti industriali, faceva un gran caldo e il clima era secco. I treni che trasportavano carburante erano bloccati alla stazione, e i silos cerealicoli della città erano pieni di semi di girasole essicati. Gli incendi erano scoppiati immediatamente e avevano minacciato di distruggere completamente la città.
Bender si era salvata grazie agli incredibili sforzi del suo servizio antincendio. I vigili del fuoco erano arrivati anche da Chisinau, dalla parte opposta del fronte. Il vigile del fuoco Vyacheslav Chechelnitsky ha ricordato che doveva uscire ogni giorno per una dozzina di chiamate. Formalmente, i combattenti erano pronti a lasciare che i pompieri facessero il loro lavoro, ma, in pratica, entrambi gli schieramenti erano composti da distaccamenti di milizie paramilitari, volontari e, nel migliore dei casi, da poliziotti con i nervi fragili.
Inoltre, l’artiglieria che colpiva la città spesso mancava il bersaglio o, semplicemente, sparava sulle piazze. Pertanto, molti veicoli antincendio tornavano dalle chiamate letteralmente crivellati di schegge e i pompieri spesso dovevano strisciare verso gli incendi tirandosi dietro le manichette. Tuttavia, alla fine dei combattimenti, i pompieri avevano potuto congratularsi con loro stessi: Bender era stata salvata dal fuoco. Vyacheslav Chechelnitsky aveva pagato un prezzo terribile per questo trionfo, poiché il fratello Igor, anche lui pompiere, era stato ucciso ucciso da un colpo di mortaio mentre spegneva un dormitorio in fiamme.
Per diversi giorni, nelle vie cittadine si erano susseguite battaglie caotiche. Nel frattempo, si erano verificati importanti cambiamenti nella politica della Russia. La 14a Armata, un tempo sovietica, era stata formalmente trasferita alle forze armate russe, trasformando la guerra in Transnistria in un problema di Mosca.
Successivamente, il generale Alexander Lebed, all’epoca nelle alte sfere dell’esercito russo, era arrivato nella repubblica in incognito per scoprire cosa stesse succedendo in Transnistria. Era arrivato ad una conclusione ovvia: in città c’era un caos sanguinoso e la 14a Armata era effettivamente fuori controllo, visto che combatteva in modo indipendente e spontaneo.
Lebed aveva iniziato con il ristabilire l’ordine nelle retrovie e ad arrestare i saccheggiatori e i banditi che uscivano allo scoperto. Poi, nella notte del 2 luglio, aveva organizzato un breve, ma intenso bombardamento di artiglieria sulle truppe moldave che avanzavano. Dall’alto della sua esperienza di generale sovietico, Lebed disprezzava i ribelli della Transnistria, che considerava anarchici, mentre considerava fascisti i militari moldavi con il loro governo nazionalista e aveva promesso di “trovare loro un posto dove farli frustare,” Tuttavia, le sue minacce e i suoi attacchi si erano concentrati sull’esercito moldavo, la parte più attiva delle due.
La guerra era finita in modo assai brusco. Infatti, Lebed aveva usato la 14a Armata come una mazza per colpire chiunque non volesse cessare i combattimenti. Tra coloro che non erano contenti della sospensione delle ostilità c’era il carismatico capo dei ribelli, il tenente colonnello Kostenko. Kostenko durante la guerra era riuscito a farsi molti nemici, compresi i suoi stessi superiori, ai quali non obbediva per principio. Una notte, il capo dei ribelli era stato intercettato su un’autostrada e ucciso. In seguito, si sarebbe trasformato in una specie di “re sotto la montagna,” [un personaggio] che, secondo una leggenda locale, a volte torna a visitare la propria tomba. Tuttavia, leggende a parte, dobbiamo comunque ammettere che questo Robin Hood del 20° secolo è morto.
Il conflitto in Transnistria era arrivato ad un punto morto. Anche se si era rivelato sanguinoso, con un totale di un migliaio di morti, tra cui circa 400 civili, era stata chiaramente una “guerra senza una causa” e le parti erano state in grado di ascoltare la voce della ragione. A tutt’oggi, la Transnistria non ha completamente tagliato i legami con la Moldavia. Anche se la Repubblica Moldava Pridnestroviana non è mai stata ufficialmente riconosciuta, la sua economia e le sue infrastrutture sociali funzionano. Il leader dei ribelli, Igor Smirnov, era diventato presidente e lo era rimasto fino al 2011, quando aveva perso le elezioni. Anche se era stato spesso accusato di corruzione, vale la pena notare che, dopo aver perso le elezioni, aveva tranquillamente passato le consegne.
I veterani della Transnistria avevano partecipato ad altre guerre nell’ex URSS. Uno dei più straordinari è stato Igor Girkin, più tardi conosciuto con lo pseudonimo di “Strelkov”. Era arrivato in Transnistria come un normale ribelle, armato con un fucile a caricamento manuale della Seconda Guerra Mondiale, appena laureato all’Istituto Storico e Archivistico di Mosca. Quest’uomo irrequieto ha combattuto in Bosnia dalla parte dei Serbi, poi in Cecenia dalla parte dell’esercito russo e, nel 2014, ha guidato per diversi mesi i ribelli in Ucraina orientale in una guerra che ha molto in comune con quella della Transnistria. Ironicamente, lì, ha dovuto affrontare in battaglia i nazionalisti ucraini che, insieme a lui, avevano combattuto in Transnistria dalla parte dei ribelli. Le biografie di molti dei partecipanti alla guerra sono simili. Alcuni hanno combattuto per motivi idealistici, altri per puro amore dell’avventura, partecipando alle battaglie nei Balcani, in Abkhazia, Ossezia e Cecenia – in breve, in tutte le guerre e i conflitti susseguitisi al crollo dell’URSS.
Dopo la guerra, lo status della Transnistria stessa si era rivelato ambiguo. Un piccolo contingente russo di interposizione è ancora nella repubblica e dà lavoro lavoro a molti dei suoi residenti. Ma la repubblica non ha ottenuto alcun riconoscimento internazionale.
Tuttavia, è sorprendente che, rispetto ad altri punti caldi, le ostilità in Moldavia sono state mantenute al minimo. Oggi, Transnistriani e Moldavi spesso intrattengono con successo legami personali e contatti economici. Anche se la Transnistria difende con molto rigore la sua autonomia, è riuscita a non distruggere i legami con lo stato da cui si è separata. Fortunatamente, dopo la guerra, le idee nazionaliste avevano iniziato a perdere rapidamente popolarità.
I problemi della Transnistria e della Moldavia di oggi sono simili – entrambe sono repubbliche povere e provinciali. Tuttavia, se parliamo specificamente del conflitto armato, questa guerra si è rivelata una delle meglio congelate nello spazio post-sovietico.
La guerra in Transnistria è un vero monumento alla stupidità e all’idealismo umano. La guerra è una tragedia umana, ma molti dei suoi partecipanti ricordano la Transnistria come la più romantica delle loro guerre. Questa repubblica moldava pridnestroviana si è conservata e, anche se il suo orientamento socialista si è trasformato in un orientamento filorusso o, addirittura, in una sorta di fusione tra irredentismo russo e nostalgia sovietica, continua ad esistere e la parte moldava non è disposta a risolvere il conflitto con la forza.
Evgeny Norin
Fonte: rt.com
Link: https://www.rt.com/russia/554330-uprising-transnistria-donbass-ukraine/
24.04.2022
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
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