In questi giorni a corredo di sconfortanti riflessioni sul 25 aprile si è visto il restyling di una foto storica, il drappello di partigiani guidato da tre intrepide compagne con lo sguardo fermo ma un’ombra di sorriso, aggiornato con tinte pastellate in modo che i severi impermeabili maschili diventassero spolverini verde oliva e greige Armani, come per anni è stato fatto con le cartoline di fine ottocento.
(Anna Lombroso per il Simplicissimus)
Poco male, se non fosse un segnale in più del revisionismo oleografico che interviene sulla nostra storia per renderla compatibile con militanze dell’ultima ora, manipolando a un tempo storia e cronaca, permettendo all’osceno Mughini di dire le stesse menzogne di Benigni e di opinionisti molto esibiti dalla stampa ufficiale: l’Italia è stata liberata dagli alleati che per anni avevano rifornito di armi e aiuti i partigiani, la Resistenza è stata una resa di conti, una guerra civile condotta da gente che si prendeva le sue vendette personali. Quindi non ci sarebbe paragone possibile tra gli italiani imbelli soliti cambiare divisa, casacca e nemico, con la strenua lotta di liberazione degli ucraini contro la Russia.
A accompagnare la grancassa interventista ci si mettono anche gli storici infastiditi dalla visibilità di altri colleghi più autorevoli e illustri, che si esibiscono come Elia Rosati che forte della sua analisi sul fenomeno Casa Pound e autore del libro “L’Europa in camicia nera” dichiara serenamente che l’Ucraina “non è un Paese nazista ma è un Paese nella cui vita politica partiti e movimenti neonazisti – attualmente molto minoritari – sono presenti da decenni, cosa non rara nei Paesi dell’Est”, e che se è vero che ha dottato simboli e personaggi, come Bandera, “inseriti in un passato legittimo e considerati padri della patria”, rappresentano una entità minoritaria.
“Il battaglione Azov, secondo Rosati, conta su un gruppo di circa tremila volontari: numeri che mostrano l’irrilevante incidenza di questa formazione”, all’interno di un esercito nazionale piccolo ma tenace che, conferma lo storico, “in questi due mesi ha potuto contare su tre miliardi di dollari di finanziamento in strumentazioni militari da parte degli Stati Uniti”.
Ormai c’è un concorso della cerchia intellettuale a ridicolizzare la dichiarazioni di Putin di voler denazificare l’Ucraina, come l’ubbia di un matto feroce, e a legittimare l’indole democratica del paese invaso che peraltro si è fatto passare sulla testa un golpe, non ha mai ritenuto che l’empio passato collaborazionista dovesse essere messo all’indice, ha permesso che i partiti dell’opposizione venissero cacciati dal Parlamento, che il primo atto del giovane presidente, dopo aver dichiarato di volere la pulizia etnica dei russi del Donbass, assegnandola come incarico di servizio ai manipoli neonazisti, fosse la promulgazione di una legge razziale, quella sui “popoli indigeni dell’Ucraina“, che stabilisce che solo gli ucraini di origine scandinava, così come i tartari e i caraiti hanno “il diritto di godere pienamente di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali”, privando così i cittadini di origine slava degli stessi diritti.
Queste gerarchie di ideologie e misure illiberali, repressive e discriminatorie hanno, come è ovvio, l’intento di normalizzare il fascismo che si sta riorganizzando come declinazione del totalitarismo occidentale, economico, finanziario e tecnocratico, fare intendere che fermenti nazionalisti quando ci sono, sono l’effetto aberrante di istanze populiste e sovraniste sottovalutate e che vanno isolate con pugno di ferro, a meno che non si integrino eroicamente in una lotta di popolo, per via del loro intento destabilizzante che nei paesi dell’Europa ha assunto le fattezze del complottismo, del misoneismo anti scientifico, della critica insensata e irrazionale al principio di autorità e al progresso, veicolo secondo questi impresari del disordine, di discriminazioni, disuguaglianze e controllo sociale.
In questi giorni ha avuto un certo risalto su siti di informazione che si dichiarano estranei al pensiero mainstream, un articolo di Toby Rogers, economista dell’Università di Sydney in Australia e che si occupa dei temi della libertà medica, nel quale si interroga su che fine abbiamo fatto i “progressisti” che hanno accettato, par di capire, imposizioni autoritarie di stati e governi che hanno potuto persuadere popoli privati di uno spazio politico e decisionale, di aver ricevuto un incarico morale per poter agire con i lockdown, le mascherine, le restrizioni, le vaccinazioni massa con preparati sperimentali mostrandosi come genitori solerti e affettuosi che cercano di proteggere i bambini da un pericolo esterno.
Rogers lamenta che perfino intellettuali e pensatori progressisti non siano riusciti a vedere il carattere fortemente autoritario dello stato in queste misure, cosa che invece è risultata chiara a molte persone tendenzialmente di destra.
Fosse italiano avrebbe già capito che qui di progressisti invece ce n’è anche troppi, spesso sono gli stessi che fino a due anni fa esercitavano una moderata critica nei confronti della politica, qualcuno addirittura si spingeva a ritenere questa Europa non riformabile, altri si esponevano a dichiarare che si doveva creare un blocco sociale che riproponesse la qualità di una lotta di classe da condurre insieme a nuovi attori e che d’improvviso ha ritrovato la fiducia nell’autorità costituita, hanno anteposto a ogni affermazione il certificato di avvenuta vaccinazione e le referenze di antifascisti a sostegno dell’Ucraina e dell’intervento “diversamente” armato, che concordano ora sulla opportunità morale dei sacrifici.
Si sono accomodati nella tana di rendite di posizione, privilegi, sinecure garantite in un parlamento svuotato di poteri da una maggioranza impegnata a mantenere in vita un governo golpista, su cui in maniera del tutto irragionevole e estemporanea rivendica di rappresentare il rapporto privilegiato con la cittadinanza un partito di affaristi, di soggetti in evidente conflitto di interesse a cominciare da quello con la democrazia che campeggia usurpata sul loro nome, che fino a ieri hanno agito del conto delle case farmaceutiche passando brillantemente a accreditarsi come piazzisti di armamenti.
Una volta si diceva che il Progresso era come il dio Giano bifronte, che tanti successi, tante vittorie sulla natura matrigna, sull’ignoranza, sulla malattia e sulla fame compensavano gli effetti collaterali. Adesso è evidente che sono questi ad aver avuto la netta preponderanza: incremento delle disuguaglianze, impari accesso alle risorse, tecnologie al servizio della semplificazione per i ceti dominanti e della sorveglianza e degli ostacoli all’accesso al processo decisionale per la gente comune, guerre di conquista per l’approvvigionamento delle risorse necessarie a mantenere la supremazia di oligarchie avide, circolazione di capitali, virus, disinformazione, sperimentazioni criminali biologiche e politiche per testare la resistenza di popolazioni al potere autocratico.
In più ci tocca anche subire la pretesa di superiorità etica, le graduatorie e gerarchie di diritti consessi in forma di elargizioni arbitrarie per i meritevoli, il primato dell’obbedienza che permette il godimento di qualche licenza, la religione dell’austerità redentiva che in premio al sacrificio consente un minimo standard di sicurezza al posto del promesso benessere.
Ormai da un’immagine di Progresso in veste futurista, caratterizzata da movimento, spirito di iniziativa, dinamismo, dissacrazione dei miti e abbattimento di totem stantii, siamo passati repentinamente al Progresso in forma fascista, quello dell’asse delle superpotenze unite dalla lotta all’orso russo ferino e incompatibile con lo sviluppo e la circolazione dello stile di vita occidentale, alle celebrazioni dello spirito patrio e del coraggio virile, alla necessità fatale della guerra anche in vista di benefiche ricostruzioni, alla censura e alla persecuzione degli oppositori, alla supremazia di figure leader dotate delle qualità dell’evoluzionismo scientista come le due quote rosa di Finlandia e Svezia, che rivelano la loro specificità di genere grazie alla ineluttabilità dell’ingresso delle loro nazioni nella Nato, alla competitività promossa a lotta fratricida.
Questo Progresso ha un nemico e un obiettivo, i popoli e la loro retrocessione allo stato di servi.
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