Dopo due anni durante i quali stampa e Tv hanno assolto al compito di passacarte delle autorità, ieri, per la seconda volta, si sono prodigate in un potente sforzo informativo.
il Simplicissimus Anna Lombroso
La prima è stata quando giornalisti investigativi si sono impegnati, a conforto degli svariati identikit dei famigerati novax, nella ricerca delle oscure fonti di finanziamento dei nuovi insurrezionalisti e nella pubblicazione dei risultati delle indagini a tappeto nei covi dei complottisti.
Ieri invece sono usciti dal silenzio, raccomandato allo scopo di non suscitare speculazioni e pericolosi sentimenti divisivi, per indagare sulle “vere” cause del suicidio del giovane insegnante di Rende – non assumendo dei sonniferi in una anonima stanza d’hotel- – col fine evidente di sgombrare il campo da ipotesi fantasiose che potevano istillare il dubbio incauto che le ragioni dell’insano gesto fossero “politiche”.
Era necessario dimostrare che scegliere di fare la torcia umana davanti a una caserma dei Carabinieri nella città natale, contrastava con il senso civico dimostrato vaccinandosi e equipaggiandosi del certificato di cittadinanza, era un’azione incompatibile con la missione di educatore, consistente nel generare sentimenti di rispetto e obbedienza di autorità, fede nella scienza e nel progresso, osservanza scrupolosa di regole e leggi, anche se esplicitamente ingiuste e insane. Attestando così che siamo di fronte all’azione dissennata di uno psicolabile, di un maniaco depresso che ha voluto, in forma estrema, manifestare il suo stato patologico.
Da alcuni lettori sono stata redarguita per aver avallato nel mio post (qui: https://ilsimplicissimus2.com/2022/02/01/il-etstamento-della-scuola-pubblica-159164/) l’azzardata convinzione, che sarebbe stata smentita dai famigliari, che l’insegnante si sia tolto al vita per la disperazione che potrebbe cogliere chi è costretto a tradire principi e valori morali e professionali, chi si sente coartato e costretto a subire una coercizione intimidatoria per svolgere il suo lavoro, chi, se ha ceduto, se ne vergogna, perché considera l’essersi soggetto a un ricatto, un disonore inconciliabile con la missione pedagogica.
Eppure mica occorre essere Don Milani per sostenere fino al sacrificio personale che l’obbedienza a comandi vergognosi e disonorevoli, che possono recare un danno soprattutto ai soggetti più vulnerabili nella loro innocenza e integrità, non è una virtù.
Sarebbe sufficiente essere così consapevoli dei diritti che garantiscono la libertà, anche in presenza di uno stato di necessità, da opporsi nei limiti del possibile a soprusi di regime, a disuguaglianze incrementate da una condizione sempre più precaria, a discriminazioni che ogni giorno di più evocano altre forme di apartheid e espulsione dalla società di gente come noi, amici, colleghi, parenti, studenti, diventati secondo un processo sempre più accelerato, nemici in casa e pericolosi sediziosi, intenti a destabilizzare il sistema con i loro comportamenti suscettibili di diventare contagiosi.
L’anonimo insegnante andava quindi retrocesso a spostato, a squilibrato, perché la sua disperazione personale e civile non regge il paragone con i monaci tibetani che hanno popolato l’immaginario collettivo tramite Hollywood e men che mai Palach, nel timore che diventasse l’allegoria del malessere profondo che viene nutrito da due anni da quelli che vogliono renderci la vita difficile, no o sivax, come accessorio fecondo della paura. E peraltro diagnosticato da associazioni di addetti ai lavori, psichiatri e psicologi che producono centinaia di indagini che non hanno risalto sulla stampa, un male di vivere che ha come effetto sperato la disponibilità a prestarsi a all’adempimento di obblighi non condivisi pur di ricostruire una parvenza di normalità.
In questi giorni tutti assistono allo sgretolarsi del monumento di menzogne efferate, manipolazioni vigliacche, malversazioni speculative che hanno caratterizzato la gestione della pandemia. Il governo stenta ad ammettere, sguazzando nel suo fango velenoso, centellinando indecorose licenze per discotecari in vista di San Valentino, lasciando intendere che forse nel giro di qualche giorno di potrebbe allentare la stretta di alcune limitazioni, mentre fa capire che resterà il regime “verde” almeno fino a quando non sarà raggiunto l’obiettivo augurabile delle tre dosi e poi 4 per tutti, allo scopo di smaltire le dosi, acquisire la benevolenza dei padroni e in futuro estendere l’applicazione del lasciapassare, a giorni “illimitato”, ad altri ambiti e contesti.
Ma non sono mica i soli a non voler metter fine a questo horror del filone fantascientifico. E non parlo di opinionisti che hanno trovato una vena d’oro, filosofi frustrati che possono prendersi qualche rivincita su maestri più illustri, zanzarologi e morbillologi posseduti dai demoni della notorietà, infettivologi dichiaratamente sotto protezione dell’industria farmaceutica.
Parlo di gente comune che reclama la certezza a qualsiasi costo di non morire, non ammalarsi, non sternutire, che perora l’opportunità di comprarsi la salvezza eterna con raffiche di dosi e la promessa di una eterna medicalizzazione erogata dallo Stato con le risorse destinate all’assistenza e alla cura. Ma c’è dell’altro: il successo della narrazione pandemica consiste nell’aver esaltato la sostituzione della responsabilità personale e collettiva con la delega a chi sa, con il ripristino dell’istituto della fiducia caduto in disuso e che deve essere riservato alle autorità governative e alle istituzioni fino a due anni fa oggetto di risentita disaffezione, come a quelle scientifiche messe in discussione per almeno una trentina di anni per via di una accertata dipendenza e subalternità ai voleri dell’industria e del mercato.
È perfino banale accomunare questo sentimento al carattere antropologico della servitù volontaria che persuade il popolo a concedere al tiranno potere assoluto in cambio di sicurezza, appagamento di mediocri aspettative, miserabili licenze elargite al posto dei diritti, e in cambio di rinunce, sacrifici e abiura a elementari principi di autodeterminazione. Ma c’è davvero da temere che molti abbiano preso gusto a questa sospensione della vita civile, che permette di appartarsi dalla cittadinanza, di non assumersi l’onere della scelta e il peso della coscienza, con l’effetto non trascurabile di godere dell’autorizzazione a collaborare alla divisione manichea tra buoni e cattivi, tra meritevoli e indegni.
È plausibile che il giovane “maestro” non abbia resistito al dolore di scoprire che la libertà è diventata un peso che si compra a caro prezzo, se si odia chi la cerca, la vuole e la pratica con sacrificio, se si invidia chi se la conquista perché muovendosi e agendo si è accorto delle catene e ha deciso a ogni costo di disfarsene.
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