giovedì 24 febbraio 2022

 La protesta spontanea degli autotrasportatori contro l’aumento del prezzo del gasolio risale l’Italia.

 

 

(Francesco Moscatelli – lastampa.it)

E comincia a preoccupare chi teme che la situazione possa degenerare dopo che ieri, a Foggia, un manifestante è stato accoltellato da un automobilista infastidito dalla colonna di mezzi che gli rendeva difficile il passaggio. Ma anche chi vede aleggiare, sullo sfondo, gli spettri dei «forconi» e dei «gilet gialli».

La mobilitazione degli autotrasportatori è partita domenica notte dalla Sicilia con i primi camion fermi tra Catania e Messina. Poi ha raggiunto la Puglia, la Calabria con i sit-in agli svincoli dell’A2 di Gioia Tauro e Rosarno, la Campania e il Lazio. Ieri è arrivata anche a Ravenna con duecento motrici che hanno rallentato l’accesso a porto San Vitale con ripercussioni su tutta la città: una prova generale di quello che succederà alle 6 di oggi quando gli autisti, oltre a bloccare gli ingressi dei terminal container Sapir e Setramar picchetteranno lo svincolo fra la Romea e il ponte della Romea dir, snodo vitale della viabilità adriatica fra Rimini e Venezia.

«Faremo sempre più casino finché non ci ascolteranno. Sciopereremo a oltranza» la linea che sta prendendo piede. A cui segue il corollario: «L’Italia vive di trasporto su gomma. Non siamo mica in Canada dove il primo ministro può congelare i conti correnti dei camionisti». E così l’iniziativa rilanciata nei gruppi WhatsApp dei padroncini di Ravenna potrebbe espandersi ad altre regioni del Nord. L’allarme è alto: «I blocchi degli autotrasportatori, l’inflazione e il caro energia rischiano di paralizzare la grande distribuzione» dice l’amministratore delegato del Gruppo Vegè Giorgio Santambrogio.

Parole che a Ravenna suonano ovvie. «A Roma forse non lo hanno ancora capito ma se ci fermiamo noi si ferma il mondo. Non solo non troveranno più la frutta ma nemmeno la carta igienica» fa la voce grossa Carmelo Spoto, in piedi davanti al suo camion, un bestione bianco con l’iniziale del suo cognome racchiusa in un triangolo come quella di Superman. Poco lontano, nelle acque del canale Candiano, ci sono le navi che da qui partono per trasportare in tutto il mondo le piastrelle di Sassuolo e il pellame toscano, ma anche per rifornire di materie prime le industrie italiane. «Durante la pandemia ci chiamavano eroi, certo non come medici e infermieri che hanno rischiato la vita in trincea, ma comunque tutti sottolineavano il nostro impegno per tenere unito il Paese – si sfoga Emilio Cellini, uno degli organizzatori della protesta in Romagna -. Adesso siamo tornati a essere il bancomat dello Stato. Agricoltori e pescatori hanno il gasolio a prezzo agevolato. Perché a noi, che con il gasolio ci lavoriamo, riservano un trattamento diverso? Ci chiedono di portare pazienza, ma chi ci vende il gasolio quando arriva il momento di essere pagato vuole i soldi, non la pazienza. Io ho due camion e da novembre, a parità di chilometri percorsi, ho speso per il carburante 1500 euro in più ogni mese».

Non è solo il gasolio a preoccuparli. Nell’elenco dei problemi quotidiani ci sono la crescita del prezzo degli additivi come urea e AdBlue, diretta conseguenza del caro-energia, gli pneumatici praticamente introvabili e il cui costo in ogni caso è aumentato del 40%, i rincari delle materie prime che fanno salire i conti finali delle riparazioni. «Da settimane chiediamo che il governo sostenga il settore – spiega Floriano Morgante, un altro padroncino di 25 anni che porta avanti l’attività di famiglia -. Martedì, dopo l’ennesima riunione finita in un nulla di fatto, abbiamo deciso che il tempo dell’attesa per quanto ci riguarda è finito. Così non si può andare avanti».

Anche perché l’idea di riversare gli aumenti sulla committenza, e a cascata sui consumatori, avrebbe come prima conseguenza quella di rendere ancora più spietata la concorrenza al ribasso del settore. Tra i manifestanti gira il volantino di Unatras, l’Unione nazionale dell’Associazione Autotrasporto Merci, che mette nero su bianco il fallimento delle trattative con la viceministra Teresa Bellanova, ex sindacalista tutta di un pezzo: «L’incontro al ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile si è concluso senza aver ancora prodotto i risultati tangibili che Unatras e gli autotrasportatori che autonomamente hanno deciso di attuare azioni di protesta si attendevano».

Sul piazzale del porto i padroncini condividono caffè, rabbia e sigarette con i loro dipendenti. Carmelo Privitera, 55 anni, è uno di loro. «Ho tre figli e faccio questo mestiere da sempre, sono nato sulle ruote – racconta orgoglioso -. Sono qui per solidarietà ma anche perché se ha difficoltà il mio capo il primo a subirne le conseguenze sono io. Quello che chiediamo è solo di lasciarci il nostro pezzettino di pane».

A non condividere per nulla la protesta sono invece le sigle ufficiali del settore, che nei loro comunicati si dissociano da quello che sta succedendo. Sottolineano che le divergenze non riguardano le rivendicazioni, ma il metodo, e avanzano dubbi pesanti. Il Cuar di Ravenna, ad esempio, il comitato che riunisce sotto la stessa sigla Cna, Legacoop, Confcooperative e Confartigianato, teme che «la protesta sia fomentata da soggetti estranei alla realtà del nostro territorio e arrivati a Ravenna nelle ore precedenti esclusivamente per creare confusione e illegalità agendo sul disagio dell’aumento dei costi». I manifestanti rispediscono le accuse al mittente e aggiungono: «C’è chi dice anche che protestiamo contro il Green Pass sapendo benissimo che qui abbiamo fatto tutti la terza dose. Mentono sapendo di mentire».

La tensione sta crescendo anche tra gli stessi autisti, perché molti vogliono comunque lavorare. E potrebbe crescere ancora di più quando nel weekend attraccheranno le prime navi che rischiano di restare vuote. Gli organizzatori della protesta di Ravenna se ne rendono conto. Nel tardo pomeriggio di ieri, riuniti davanti a un distributore di benzina per concordare gli ultimi dettagli in vista di stamattina, si ripetono l’un l’altro: «Le teste calde è meglio se le lasciamo a casa».

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