domenica 27 febbraio 2022

Il pacifismo dei carnefici

Ormai sono rimasti solo gli chef televisivi a esecrare le pennette alla vodka e il cocktail di scampi, vestigia degli anni ’70 e ’80, proprio come la memoria di Sigonella, gran parte dell’opinione pubblica che può giovarsi di una tribuna o di un posto in prima fila davanti a Maggioni & Mentana, celebra con entusiasmo i riti di quei decenni.

 

ilsimplicissimus2.com Anna Lombroso

A cominciare dalla teoria degli opposti estremismi, che ha trovato nuovi adepti tra antagonisti passati nelle file delle sardine che da giorni predicano la doverosità di non farsi arruolare negli eserciti dei due imperialismi che ogni giorno di più sembrano intenti a mettere in scena una tragedia impersonata dai commedianti del teatro dei pupi.

L’interpretazione contemporanea della non-violenza secondo il progressismo neoliberista delle piazze che per l’occasione sono state autorizzate all’assembramento, non si differenzia da quella contro la quale si battevano Dolci, Capitini, Don Milani e che esigeva una militanza critica e disobbediente, e consiste nel fare l’opportuna distinzione tra chi arma la mano dai palazzi del potere compresi quelli di istituzioni parallele extra ordinem, e chi invece esprime legittima collera per l’umiliazione e lo sfruttamento subito.

Lo stesso vale per il pacifismo secondo la lettura che ne danno carnefici in piena attività e anime belle convertite al total look nero come i commessi di Prada, un tema in questi anni cancellato da qualsiasi agenda politica e ideale in veste di mesto e codardo relitto del secolo breve, rimosso perfino dall’attrezzatura  confessionale che lo commemora una volta l’anno con una Marcia nel 2021 dedicata opportunamente alla “cura”, ridicolizzato da tutta la compagine politica riformista che ha prodotto negli anni presidenti che hanno rinnovato la loro popolarità con parate militari e ministre e ministri addetti a rifornire gli arsenali come unico modo per garantire la pace, alla faccia dei disfattisti vigliacchi.

Ieri mentre su impulso degli Usa, Germania, Francia, Italia, Belgio e Gran Bretagna armavano Kiev e Draghi finalmente ammesso a n colloquio con Zelensky prometteva gli aiuti bellici nazionali, mentre tutti esultavano perché  l’azione “sconsiderata” dello zar ha avuto l’effetto sottolineato dal direttore di Repubblica  di “rivitalizzare politicamente tanto la Nato che il presidente americano” concordando con lui sul fatto che restino aperte solo due opzioni:   «iniziare una terza guerra mondiale, entrare in guerra con la Russia, fisicamente. Oppure assicurarsi che un Paese che agisce in modo così contrario al diritto internazionale paghi un prezzo per averlo fatto», da Norcia dove il vento continua a soffiare su macerie e indifferenza, si levava una voce, quella di Mattarella che ammoniva  “Noi non possiamo accettare che la follia della guerra distrugga quello che i popoli hanno realizzato in sette decenni di collaborazione e obiettivi comuni….Per la pace e la libertà gli italiani saranno certamente intransigenti, determinati, uniti”.

È perfino banale domandarsi in quale anfratto della balena bianca morente avesse trovato riparo l’eletto bis durante il governo d’Alema, dove non arrivavano gli echi della guerra alla cui partecipazione fisica eravamo stati costretti dall’empio Milosevic e dall’apatia dell’Onu, o chiedersi dove fosse   quando l’indipendenza delle Repubbliche Popolari del Donbass, proclamata a seguito di un referendum popolare e dopo il golpe occidentale del 2014 che defenestrò con la violenza l’allora Presidente Yanukovich, venne soffocata nel sangue dai golpisti e dalle milizie naziste di Pravy Sector, in piazza Maidan, gli stessi che il due maggio di quell’anno assaltarono la casa dei sindacati di Odessa,  uccidendo decine di militanti sindacali, strangolando donne incinta con i fili del telefono, bruciando vivi e gettando dalle finestre dei piani alti attivisti e oppositori. E ormai noioso ritornare sulla strana accezione di diritto internazionale che connota chi ha messo il suo visto di stampi sui patti scellerati stretti con il “governo” della Libia dal succedersi di due governi che aveva incaricato per contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina da un Paese alla cui distruzione e morte per fame e sete avevamo contribuito attivamente.

È magari un po’ meno ovvio interrogarsi sull’unità patria e sulla libertà interne, filo conduttore della comunicazione del Colle, dall’alta carica che ha dato il via libera a quei decreti sicurezza che hanno sancito l’instaurarsi di un ordine pubblico autorizzato a favorire disuguaglianze, criminalizzando gli ultimi per rassicurare la brava gente, che guarda con approvazione alla divisione dei suoi cittadini tramite strumenti di discriminazione e emarginazione, che ha incaricato un presidente del consiglio imposto da una nomenclatura estera che ha come pilastro ideale il rafforzamento di chi gode già di potere, ricchezza e privilegi per mettere ai margini e estromettere dal consorzio civile il tessuto sociale, economico e culturale del Paese, imputato di essere improduttivo e parassitario.

Piacerebbe a ognuno di noi stare a guardare i golpisti del capitalismo finanziario delle banche, delle multinazionali e dei governi che si ammazzano con gli altri golpisti finanziati dalle stesse fonti e che recitano la lotta politica per l’egemonia, piacerebbe a tutti stare sul davanzale a fare i cecchini contro chi ci vuole arruolare con uno o l’altro esercito, ognuno di noi vorrebbe non sentire la fitta del coltello alla gola puntato contro per farci scegliere la civiltà occidentale che incarna il progresso e il benessere per essere legittimato a prendere altrettanto ragionevoli distanze dallo zar e dalle sue “nostalgie” imperiali.

E piacerebbe a ognuno di noi stare dalla parte dei popoli che pagano lo stesso prezzo di miseria e lutto: quelli di Donetsk e Lugansk,   alla fame e alla paura dalle continue minacce e aggressioni armate, gli ucraini che vivono uno stato di umiliazione, povertà e sfruttamento per mano di un governo filo nazista al servizio  dell’oligarchia trasversale e che grazie alla sua sudditanza dovrebbe essere premiata con la cooptazione nell’alleanza armata.

Il fatto è che l’arruolamento coatto in una fazione è sempre un processo che da noi viene avviato da chi sta in alto e che di volta in volta ci annette a una delle curve, virtuali e fisiche: così per essere democratico, antifascista, ambientalista, femminista, per stare dalla parte della Scienza e del Progresso, devi stare con il Draghi boccheggiante sull’orlo del ridicolo, rinviando qualsiasi forme di opposizione a quando scadranno le vecchie e nuove emergenze aggiuntive, e con la Nato, con il Papa, con le imprese che benevolmente ci garantiranno luce e gas tramite accordi stretti con gli strozzini del fracking, delle trivelle, del nucleare.

Gli altri, i reietti, i sociopatici, gli irragionevoli, volenti o nolenti daranno di certo e con tutta evidenza assoldati nelle milizie della barbarie, con gli orsi primitivi e sanguinari, con le mafie più rischiose di quella nostrane, con l’arcaico imperialismo refrattario alle opportunità della globalizzazione dettata a Washington, con i ciarlatani, con i complottisti, con i terrapiattisti, anche se con le ultime esternazioni è arduo insistere sull’unità di intenti con  Meloni e il Salvini rinsavito.

Ma non sarà che adesso abbiamo davvero l’occasione di riprenderci la possibilità di riprenderci le scelte con la lotta a chi ci ha tolto e vuole toglierci tutto, ieri, oggi e domani?

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